Re Lear: trama, analisi dei personaggi, riassunto e commento
Re Lear di William Shakespeare: riassunto con trama, analisi dei personaggi, linguaggio, temi principali, significato e commento
Indice
RE LEAR DI SHAKESPEARE
Re Lear è una tragedia in 5 atti scritta da William Shakespeare sia in versi che in prosa tra il 1605 e il 1606. La storia di Re Lear prende spunto dalla mitologia britannica.
RE LEAR: PERSONAGGI PRINCIPALI DELL'OPERA
Re Lear è un personaggio cauto e tranquillo di bell'aspetto anche se anziano. A causa di due delle sue tre figlie impazzisce ed è costretto a vagare solo con i suoi sudditi più fedeli.
Goneril è la figlia primogenita di Lear. E' la più grande e perciò la prima ad essere data in sposa. Il suo carattere è molto egoista ed avaro.
Regan è la secondogenita di Lear. Il suo carattere è molto simile a quello di Goneril.
Cordelia è l'ultimogenita di Lear. E' l'unica delle tre figlie a voler bene a suo padre, infatti, è anche l'unica a stargli vicino nel suo lungo declino.
Duca di Albany è il marino di Goneril, un uomo con pochi scrupoli. Il Duca di Albany trama la morte di un amico del re non sapendo che alle sue stesse spalle si tramano dei loschi piani.
Duca di Cornovaglia è il marito di Regan, un uomo di bell'aspetto.
Matto di corte è un personaggio che appare molto spesso, sempre a seguito di Lear. Il suo ruolo nella tragedia è quello di essere come una coscienza terrena per il re. Ha un aspetto molto stravagante e scherzoso. I suoi discorsi, anche se a prima vista possono sembrare privi di alcun senso, risultano sempre pieni di saggezza.
Conte di Kent è in principio un amico stretto del re. Viene cacciato, a causa di un litigio, da Lear stesso. Kent resta comunque fedele al suo re continuando a servirlo sotto mentite spoglie. Il suo aspetto è rassicurante, maturo, intelligente e colto.
RIASSUNTO DELLA TRAGEDIA RE LEAR
Re Lear è un re buono e generoso ed ha tre figlie: Goneril, Regan e Cordelia. In seguito al loro matrimonio, Lear decide di rinunciare al trono e dividere il regno tra Goneril e Regan diseredando la figlia Cordelia che, in grave disaccordo con il padre, pensa che la sua scelta sia quella di un vecchio pazzo che si priva del potere finendo vittima dell'ingordigia e dell'egoismo delle due sorelle maggiori.
Cordelia viene scacciata dal regno, ma pur lontana, con l'aiuto del Matto e del re di Francia, suo marito, si interesserà sempre della sorte del padre. Le due sorelle, eredi e regine, si mostrano molto dolci e cortesi con il padre, ma nel momento in cui Lear, essendo ormai molto vecchio, rinuncia a tutti i suoi poteri di re, esse gli negano anche i privilegi regali lasciandolo solo e incompreso. Solo pochi servitori gli resteranno fedeli e continueranno a servirlo, e tra questi c'è un vecchio amico di Lear che lo segue sotto mentite spoglie, a causa di un litigio. Lear, ormai abbandonato a se stesso, decide di vagare con la sua piccola scorta per i boschi perché vuole stare lontano dalle sue figlie senza cuore. Il tempo passa e Lear, seguito costantemente dal suo fedele Matto che diventa la voce della sua coscienza, inizia a perdere il lume della ragione e impazzisce.
Sottoposto a privazioni, vaga per le sue terre mentre l'unica che lo può consolare è sua figlia Cordelia. Così accade: Cordelia si ricongiunge al padre ma trova la morte insieme al Matto mentre a Lear non resta che piangere disperatamente per aver compreso il torto fatto alla figlia prediletta che veramente lo aveva sempre teneramente amato.
Ascolta su Spreaker.COMMENTO ALL'OPERA DI SHAKESPEARE
La grande fortuna scenica che il Re Lear ha avuto in Europa e nel mondo negli ultimi decenni costituisce la più evidente e decisa smentita del giudizio romantico e post-romantico sulla "irrapresentabilità dell'opera". In realtà, lungi dall'essere poco teatrale, essa può ben dirsi l'opera più teatrale di Shakespeare, ciò nel senso che in essa il linguaggio del drammaturgo raggiunge la sua più alta, e specifica, intensità ed espressività. Nel dramma, composto attorno al 1605, quando era più profonda la sua riflessione sull'uomo e sulla sua condizione, Shakespeare crea un linguaggio, volendo esplorare e conoscere il movimento e le ragioni della vita, ha così approfondito le proprie risorse e qualità da aver bisogno, del proprio elemento naturale, il teatro. Disse Giorgio Strehler, in una intervista a proposito del suo Lear del 1972: "E' una tragedia che si inteatra. Tutte le cose del testo che ho capito, le ho capite giorno per giorno sulla scena". Ed è giusto perché nel Re Lear la parola, pur caricandosi d'eccezionale intensità è, più che in ogni altra opera shakespeariana, legata all'azione scenica. La parola, cioè, pur "poetica" è più che mai elemento di quel più vasto tessuto, fatto di parole e azione, movimenti scenici e recitazioni che l'immagine teatrale.
IL LINGUAGGIO DEL RE LEAR
Shakespeare crea, qui, un linguaggio teatrale il cui segno precipuo è quello di una totalità espressiva. Se questa "totalità" è congeniale al Novecento assai più che al Settecento e all'Ottocento, ancor più congeniale il Re Lear risulta al nostro secolo in quanto, il linguaggio qui, non è solo strumento ma oggetto di rappresentazione. In tutto il teatro Shakespeariano al dramma dei personaggi s'intreccia quello del drammaturgo che s'interroga in un periodo di crisi quale è quello tra il '500 e il '600, sulla validità stessa delle parole che usa, percependo e analizzando e tentando di sanare la frattura verificatasi tra la parola e la cosa, nel re Lear tale dramma raggiunge una delle tappe decisive del suo percorso e il problema del linguaggio diventa componente centrale dell'opera.
"Noi dobbiamo accettare il peso di questo tempo triste. Dire ciò che sentiamo e non ciò che conviene dire", afferma Edgar alla fine della tragedia. Ma per giungere a questa consapevolezza, a questa distinzione tra la parola "falsa" e la parola "vera", occorreva passare attraverso la violenza e il dolore, la follia e la morte. Nel momento in cui, abdicando, Lear separa il nome di Re dalla sostanza in cui esso si invera, egli commette la colpa che determina la sua caduta. Il linguaggio, invece di illuminarlo, lo fa cieco.
L'incapacità di distinguere rende possibile l'inganno crudele che su di lui esercitano le figlie Regan e Goneril, così come, nell'intreccio secondario in cui la vicenda di Lear specularmente si riflette, Gloucester si fa ingannare dalle parole di Edmund. E vanamente quanti stanno accanto al vecchio re tentano di fargli "leggere" il significato del mondo. Non ci riesce Cordelia. Neppure Kent. E nemmeno il Matto, prodigioso fool di questo dramma la cui azione è una azione tutta linguistica, tesa a far recuperare al re (con la dissacrazione, l'ironia, la beffa, i giochi verbali) il senso vero della parola. Lear si chiude nel proprio linguaggio e adesso consegna la sua sfida agli uomini, alla natura, agli dei.
Non di forza, però, i suoi discorsi impetuosi e ruggenti sono espressione bensì d'impotenza, inadeguatezza e fragilità. Le sue parole non modificano il reale, la tempesta dilaga e contro di essa le parole di Lear nulla possono, rimangono, mero preludio alla follia da cui viene aggredito e le scene della follia a metà del dramma sono anzitutto una rappresentazione della distruzione della parola, e tanto più che la deflagrazione del linguaggio di Lear è accompagnata dai discorsi del fool e di Edgar. Se l'emergere di Lear della follia alla conclusione dell'opera, è anche il suo riacquistare la parola vera, il suo imparare a leggere l'alfabeto del mondo, questa comprensione coincide con la sua morte. Lear non potrà più valersi di tale conoscenza: non potrà, come vorrebbe, parlare con Cordelia. Cordelia è morta, uccisa dalla parola da quella di Edmund che ha inviato l'ordine fatale, ma prima ancora da quella di Lear il quale allora non può che morire a sua volta. La grande divaricazione, la grande frattura tra la parola e la cosa non può ricomporsi nel presente ma solo nel futuro, nel "mondo nuovo" di Edgar. Un'altra ragione, oltre che la centralità del problema del linguaggio spinge la cultura del '900 a rappresentare il Re Lear con tanta frequenza e con tanto impegno, ed è il riconoscimento di situazioni e problemi affini a quelli del nostro tempo.
I TEMI DEL RE LEAR
Il tema dell’ingratitudine filiale. Oggi, forse il tema della ingratitudine filiale ci colpisce meno di quanto avveniva nel '700 o nell'800, ma se ne individuassimo l'espresso e implicito problema generazionale, il rapporto tra i padri e i figli, ecco che possiamo scorgervi una tensione particolarmente operante nella nostra società, che è ancora più vero della violenza: in un secolo come il nostro, che ha visto le più grandi tragedie collettive della storia, come non riconoscere le insidie che ci minacciano nei simboli di violenza che scandiscono il Re Lear?
Il tema del potere. Ed è vero altresì del tema del potere. L'angoscia e la solitudine, la disperazione e la follia, il senso del vuoto, dell'illusorietà, della precarietà della vita, tutto ciò che lacera la nostra coscienza e tutti i segni delle nostre contraddizioni, nevrosi e paure, trovano nel Re Lear una drammatica lancinante prefigurazione, efficace e dolorosa, in quanto espressa in un linguaggio molto vicino a quello della drammaturgia contemporanea.
Se nel Re Lear c'è una desolazione e una angoscia in cui l'uomo in assoluto può riconoscere la propria e l'uomo del nostro tempo un'immagine della propria condizione c'è anche il riconoscimento di alcuni fondamentali valori che possano dare un senso, una ragione, alla vita.
Il tema della maturità. "La maturità è tutto" dice Edgar e la maturità, ripeness, che Lear e Gloucester, Edgar, Kent e Albany, faticosamente conseguono è appunto la capacità di vivere e morire con la consapevolezza che l'esistenza non è, malgrado tutto, il gioco capriccioso degli dei di cui dice Gloucester e nemmeno il "grande palcoscenico di pazzi" evocato da Lear, ma un arduo, lento, doloroso e fin crudele cammino verso una verità che tutto contribuisce a oscurare. Un mondo crolla, qui, ed è il mondo medioevale e, insieme, il sistema ideologico e sociale ad esso legato con cui l'età elisabettiana si era sostenuta per decenni. Ma il Re Lear è anche il treno su cui Shakespeare ridisegna una fisionomia dell'uomo, ritrova un ordine in base al quale vivere e in base al quale costruire una tragedia. E il Re Lear è grande tragedia moderna perché quest'ordine non è fuori o al di sopra dell'uomo e non è un ordine trascendente che è dato acquistare come nel dramma medioevale verso un intervento soprannaturale. Nonostante l'uso frequente di immagini attinte all'esperienza religiosa, quest'ordine è laico, è umano, e l'uomo lo cerca nella propria coscienza e umanità.
Certo, è un ordine fondato su quel dubbio che Amleto scopriva come essenza del vivere: precario, fragile. Ma alcuni valori (come la solidarietà, l'amore e la pietà) si scorgono e vivono, tra le rovine, e alcuni personaggi li hanno riconosciuti e fatti propri, attraverso le proprie stesse colpe ed errori. Il palcoscenico, alla fine, è coperto di cadaveri ma Edgar, il figlio di Gloucester resta sulla scena, accettando il proprio destino, la propria condizione storica. Perché Edgar, estenuato dall'esperienza patita eppure fortificato da essa è appunto l'uomo moderno, consapevole dei propri limiti e della propria fragilità ma anche della possibilità di affrontare la realtà e di agire su di essa. E' il nuovo principe che, reso maturo dal dolore e dalla stessa degradazione, potrà durare un qualche precario equilibrio al "mondo fuor di sesto".
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