Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda: trama, analisi e personaggi
Indice
- Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: introduzione
- Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: genesi del romanzo
- Ambientazione
- Personaggi: l’investigatore Don Francesco “Ciccio” Ingravallo
- Ingravallo e la soluzione a “vortice”: la verità nebulosa
- Trama del romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
- Il giallo fisico e metafisico (o quantistico?): la conclusione che non conclude
- Concetti chiave
1Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: introduzione
Può un romanzo giallo far parte della grande letteratura? Domanda spinosa e forse mal posta perché, almeno secondo uno dei celebri aforismi di Oscar Wilde, esistono solo «libri scritti bene e libri scritti male», a prescindere dal loro genere e dalla loro moralità.
Il giallo è il genere del popolino per eccellenza: tutti ne abbiamo almeno letto uno nella nostra vita che fosse di Grisham o Ken Follett, Agatha Christie o Conan Doyle, Simenon o Camilleri, poco importa. Che goduria vedere un investigatore al lavoro! Che emozione quando il mistero viene svelato!
In più pensiamo ai personaggi a cui finiamo fatalmente per sentire parte del nostro immaginario: “La signora in giallo” Jessica Fletcher, Miss Marple, il tenente Colombo, il commissario Montalbano, il commissario Maigret, Hercule Poirot e Sherlock Holmes tanto per citarne alcuni.
Il giallo ha qualcosa di magico e di profondamente umano: esprime la tensione all’ordine, tensione che nasce dalla voler risolvere il garbuglio dove verità e menzogna sono legate. Scoprire la verità, acciuffare l’assassino furbo: questo ci promette il giallo.
Gadda amava questo genere e decide di fare il suo più grande tentativo letterario: un giallo ambientato a Roma, città dei garbugli per eccellenza, città caotica e piena di maschere dove ognuno si trova a recitare la parte e a nascondersi nel pasticcio per celare la verità inconfessabile.
Gadda, che era un ingegnere, sente il romanzo giallo come uno strumento ideale per dare alla letteratura il suo scopo più alto e, in un certo senso, più morale: scoprire la realtà rappresentandola, dipanandola lentamente, stame dopo stame, tirando uno ad uno i fili del terribile “gnommero”, il gomitolo al cui estremo capo dovrebbe (si spera) esserci la soluzione finale.
- Anno di pubblicazione: 1957
- Anno di ambientazione: 1927
- Numero di capitoli: 10
- Genere: romanzo giallo.
- Ambientazione: Roma e dintorni (ad esempio Marino).
- Protagonista: Don Ciccio Ingravallo
- Vittima del furto: contessa Menegazzi
- Vittima dell’assassinio: Liliana Balducci
- Colpevoli: incerti.
2Quer pasticciaccio brutto de via Merulana: genesi del romanzo
Lo scrittore milanese comincia a scrivere questo racconto giallo all’inizio del 1946 sfruttando un fatto vero, cioè l’omicidio di due vecchie signore romane per mano di una ex domestica.
Si tratta all’inizio di un racconto lungo, ma l’impeto creativo di Gadda trasforma il progetto del racconto in un romanzo vero e proprio che consacrerà l’autore al grande pubblico.
Il romanzo piace subito e molto anche grazie al suo stile iper-realistico, che mescola elementi svariati tra monologhi interiori e narrazioni, commenti detti ad alta voce, dialetti di tutti i tipi (in primis il romanesco e il molisano) ma anche grazie alla strategia della pubblicazione a puntate.
Le prime cinque puntate vedono la luce sulla rivista “Letteratura” e una sesta viene annunciata, anche se mai pubblicata.
La stesura procede faticosamente finché, nel luglio del 1953, l’editore Garzanti propone a Gadda di ultimare il Pasticciaccio.
Nel giugno del 1957, Garzanti riceve l’ultimo capitolo e un mese più tardi il libro è sugli scaffali delle librerie generando grande scalpore e reazioni contrastanti.
Gadda è tentato di dare al commissario Ingravallo un’altra avventura, ma alla fine desiste. Il romanzo come storia resta insoluto ma letterariamente è più che compiuto.
Il giallo infatti pur approdando alla scoperta di un responsabile, l'ultima domestica di Liliana, non dà però conferma del fatto lasciando insoluto l’enigma poliziesco.
Il successo del Pasticciaccio fu amplificato dalla quasi immediata riduzione cinematografica: Pietro Germi ispirandosi al romanzo scrive, dirige e interpreta il film “Un maledetto imbroglio” (1959).
Troppo poveramente si schematizza, troppo arbitrariamente si astrae dal monstruoso groviglio della totalità… (Gadda, Meditazione, SVP 842)
3Ambientazione
Il romanzo è ambientato a Roma nel Febbraio del 1927. Sono anni molto particolari perché il regime fascista è cominciato da due anni e tutto deve essere ammodernato ed equilibrato.
Ogni tipo di difformità non può essere tollerata. Roma, tuttavia, è una città multiforme e piena di squilibri, gloriosa e disperata, splendida e decadente, dove il disordine è parte integrante del tessuto umano e culturale.
Già questo aspetto appare un’implicita polemica perché Gadda sembra sottolineare che la realtà non accetta banalizzazioni.
Non scordiamo che il romanzo viene scritto a partire dal 1946 e quindi dopo la guerra in un clima di liberazione generale dall’angoscia della guerra e dalla coercizione subita durante il regime.
4Personaggi: l’investigatore Don Francesco “Ciccio” Ingravallo
Spesso gli investigatori hanno dei vizi peculiari e dei vezzi unici.
Maigret fuma la pipa, in modo nervoso; Poirot è tiranno dell’eleganza e delle affettazioni; Montalbano ama mangiare bene; Sherlock Holmes fuma la pipa e suona il violino; il tenente Colombo fuma sigari pestilenziali; la signora Fletcher scrive romanzi gialli… Facciamo allora la conoscenza con il nostro investigatore e allo stesso tempo con lo stile iper-realistico e fantasmagorico di Gadda:
Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi.
Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po' tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d'Italia, aveva un'aria un po' assonnata, un'andatura greve e dinoccolata, un fare un po' tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d'olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana.
Una certa praticaccia del mondo detto "latino", benché giovine (trentacinquenne), doveva di certo avercela: una certa conoscenza degli uomini: e anche delle donne.
Francesco Ingravallo conduce quella vita solitaria, trasandata e un po’ disperata che somiglia tanto a quella del Tenente Colombo.
È una persona energica e di polso e non disdegna, quando serve, di parlare in modo franco usando il suo dialetto (molisano) che anima e vivacizza le pagine del romanzo.
È un uomo consapevole della complessità del reale e di quanto sia difficile perseguire quella che si chiama “verità”.
Ha dei vizi o dei vezzi? Nella versione di Pietro Germi Ingravallo fuma il sigaro toscano, mentre nel romanzo finge di fumare una sigaretta (mezza sigaretta sempre spenta).
5Ingravallo e la soluzione a “vortice”: la verità nebulosa
Le idee di Ingravallo si possono dedurre non solo dai movimenti e dalle azioni, ma anche da quanto ci dice il narratore stesso. Leggiamo:
Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti.
Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, ognommero, che alla romana vuol dire gomitolo.
Ma il termine giuridico “le causali, la causale” gli sfuggiva preferentemente di bocca: quasi contro sua voglia. L’opinione che bisognasse “riformare in noi il senso della categoria di causa” quale avevamo dai filosofi, da Aristotele o da Emmanuele Kant, e sostituire alla causa le cause era in lui una opinione centrale e persistente: una fissazione, quasi: che gli evaporava dalle labbra carnose, ma piuttosto bianche, dove un mozzicone di sigaretta spenta pareva, pencolando da un angolo, accompagnare la sonnolenza dello sguardo e il quasi-ghigno, tra amaro e scettico, a cui per “vecchia” abitudine soleva atteggiare la metà inferiore della faccia, sotto quel sonno della fronte e delle palpebre e quel nero pìceo della parrucca.
Che significa il gomitolo-groviglio-pasticcio? Significa quello che avevamo anticipato all’inizio: l’uno non esiste, ma esistono “uni”, relazioni, contaminazioni, nodi che rendono la verità complessa e indecifrabile, negativa e non positiva (come avrebbero detto i filosofi positivisti.
Tutto è confuso e i rapporti di causa-conseguenza sono alterati come in una moltiplicazione all’infinito, che non conosce una vera e propria soluzione (come il romanzo). L’idea di confrontarsi con il groviglio è il cuore del romanzo ed è anche la soluzione stilistica di Gadda che ci offre una lingua tutta intrecciata e piena di neologismi e bizzarrie di ogni sorta.
6Trama del romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana
Dopo la presentazione di Ingravallo, eccoci a Roma, palazzo di Via Merulana, civico 219, detto palazzo degli ori: «E il palazzo, poi, la gente der popolo lo chiamaveno er palazzo dell’oro. Perché tutto er casamento insino ar tetto era come imbottito da quer metallo».
Per chi conosce Roma, sa che siamo tra la Basilica di San Giovanni, il Colosseo e il Rione Monti.
Dalle prime pagine apprendiamo che Ingravallo conosce i Balducci, una coppia molto ricca e molto sfortunata per l’assenza di figli naturali.
Viene riferito ad Ingravallo alcuni giorni dopo che al 219 c’è stata una sparatoria. Ingravallo resta sbalordito e si reca subito al palazzo dove c’è un tumulto generale (comincia a delinearsi il pasticciaccio).
Appura che un giovane si era introdotto in casa della contessa Menegazzi e l’aveva rapinata. La refurtiva era cospicua.
Al commissario sembra subito evidente che il rapinatore debba avere un complice, ma l’unico indizio che si riesce a reperire sulla scena del crimine è un biglietto del tram, caduto dalla tasca del ladro (giacché la contessa esclude si possa trattare di una delle sue domestiche).
La caccia al ladro comincia ma sembra impossibile determinare con esattezza i dati e gli spostamenti di questo: emerge un unico particolare dai vari interrogatori, una sciarpa di colore vedere con cui il ladro si era, diciamo, camuffato.
Mentre Ingravallo è intanto a scoprire qualcosa di più sul ladro ecco che nello stesso palazzo, dopo appena tre giorni, nell’appartamento dei Balducci proprio a fianco alla Menegazzi, viene trovata morta con la gola tagliata l’affascinante, Liliana Balducci, già nota al commissario.
E sotto sotto possiamo dire che c’era quasi del tenero tra Ingravallo e la Balducci. Si tratta di un crimine atroce, di un omicidio terribile e difficile da giustificare con la sola causa del furto.
Non si uccide in modo così cruento solo per rubare, ma siamo davanti a un pasticcio e quindi i fili di questo gomitolo cominciano a tirarsi l’un l’altro creando una rete intricata.
Le indagini procedono in modo parallelo, ma sembrano quasi toccarsi, lambirsi, come se si trattasse di due fatti in fondo concatenati se non altro per lo spazio e il tempo in cui sono avvenuti.
Il primo nella lista degli indagati è il cugino della vittima, il dottor Giuliano Valdarena, che ha rinvenuto il cadavere e ha dato l’allarme.
Tra l’altro a casa sua sono ritrovati soldi e gioielli: la sua posizione è molto scomoda, ma sembra non essere stato lui, ma non è neanche del tutto innocente. Sembra infatti che ci sia un rapporto un po’ torbido tra i due cugini.
Dall’interrogatorio incalzante viene fuori che Liliana è profondamente ossessionata dall’impossibilità di avere figli al punto che ritiene necessario circondarsi di figli surrogati – cioè serve molto giovani, nipoti acquisite – che tiene in casa per brevi periodi.
Si capisce allora che Liliana vorrebbe un figlio da Giuliano visto che il marito, a quanto pare, non può darglieli. Tuttavia glielo impedisce la sua fede cristiana e la devozione per il marito Remo.
Vorrebbe almeno adottare il figlio che nascerà dal matrimonio del cugino Giuliano con la sua sposa: il primo figlio è per me, datelo a me, aveva detto.
Voi siete giovani, avrete tutto il tempo del mondo per farne altri. Nonostante le falle nella versione di Valdarena, questi viene scagionato.
L’indagine prosegue serrata: al commissariato compare Don Corpi, il padre spirituale e confessore della Balducci, che dà lettura del testamento.
Liliana Balducci è una donna giovane: pensava già alla morte? Ebbene sì, e tra l’altro era stato redatto poco prima che venisse uccisa. La cosa sa di bruciato.
Da questo momento in poi le indagini abbracciano il ventaglio di domestiche e nipoti adottive di Liliana.
Ingravallo è coadiuvato nel lavoro dal Commissario Fiumi e il brigadiere Pestalozzi.
Si ritorna a sospettare del giovane con la sciarpa verde e le indagini si spostano nel paese di Marino a sud di Roma.
Le indagini si concentrano su Zamira Pàcori, una maga-tintora, fattucchiera e sarta che ha ritinto la sciarpa e sul suo laboratorio brulicante di donne.
I gioielli della contessa Menegazzi, oggetto di un turbato sogno del brigadiere, vengono ritrovati in un casello ferroviario e grazie ad altri interrogatori si identifica il giovane dalla sciarpa verde che però resta da rintracciare.
Il romanzo si interrompe bruscamente con la perquisizione della povera casa e l’interrogatorio di Ingravallo ad una delle cameriere della donna uccisa: Tina, questa figlia adottiva, messa alle strette dall'interrogatorio di Ingravallo grida la sua innocenza e il delitto resta un caso aperto: un pasticciaccio brutto, senza soluzione.
7Il giallo fisico e metafisico (o quantistico?): la conclusione che non conclude
Nel 1927 il fisico Werner Karl Heisenberg aveva formulato il principio di indeterminazione in meccanica quantistica, stabilendo l’impossibilità di determinare esattamente la posizione di un corpo in un determinato sistema e quindi aveva di fatto rivoluzionato uno dei concetti fondanti della meccanica classica.
Aveva detto: «Nell'ambito della realtà le cui condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere [...] è piuttosto rimesso al gioco del caso».
Gadda era un ingegnere e quindi capiva bene la fisica e era affascinato da questa rivoluzione della meccanica.
Questo significa che la perfetta linearità del romanzo giallo diventa una pura utopia: niente è del tutto prevedibile e non esiste la linearità dei rapporti di causa-conseguenza.
Così ecco l’idea del pasticcio, del groviglio, del ciclone che fonde tutti i venti insieme.
Semplificando, dunque è come se Gadda avesse applicato il principio di indeterminazione di Heisenberg al suo romanzo e, più in generale, a tutta la realtà che lui si sforza di rappresentare nel modo più fantasmagorico possibile.
Ecco perché il giallo di Gadda non può avere una soluzione univoca, perché tutti sono coinvolti nel groviglio e condividono se non la responsabilità almeno la partecipazione. Nessuno può dirsi escluso dalla vicenda.
C’è anche però qualcosa del Nobel per la Fisica del 1933, Paul Dirac. Leggiamo quanto dice: «Se due sistemi interagiscono tra loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possono più essere descritti come due sistemi distinti, ma in qualche modo, diventano un unico sistema. In altri termini, quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce».
Non sono due i fattacci che accadono, ossia il furto e l’omicidio? E siccome accadono sullo stesso pianerottolo, quasi in un medesimo spazio-tempo, ecco che allora non si può dire – per quanto siano scollegati – che non siano intricati l’uno nell’altro.
L’ingegner Gadda ci regala un romanzo fisico e metafisico insieme. Da leggere assolutamente.