Poesia femminile del Cinquecento: protagoniste e opere

Biografie e opere delle protagoniste della poesia femminile del '500: Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Veronica Franco. Analisi dei loro sonetti più famosi.
Poesia femminile del Cinquecento: protagoniste e opere
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1Introduzione alla poesia femminile del ‘500

Ritratto di Vittoria Colonna: nobildonna e poetessa italiana. Dipinto di Sebastiano del Piombo
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Virginia Woolf nel suo saggio Le donne e il romanzo scriveva: «In passato, la virtù della scrittura femminile stava sovente nella sua divina spontaneità, come il canto del merlo o del tordo. Non era appresa; sgorgava dal cuore» (in Le donne e il romanzo). In questo senso guardare indietro a un fenomeno di cui spesso ci si è interessati poco ci consente di ritrovare nella letteratura i veri motivi della sua esistenza: il diverso sentire la vita e non un mero esercizio di bravura tecnica

Per trovare i primi importanti nomi di scrittrici occorre risalire fino agli ultimi anni del Quattrocento e ai primi del Cinquecento: per singolari coincidenze storico-culturali, si sono concentrate in questo periodo le produzioni letterarie di donne a loro modo tutte straordinarie, con destini diversi, accomunate dalla passione per la poesia a cui hanno confidato i loro più segreti tormenti. 

Nobili cortigiane dalla vita libertina e colte poetesse con un forte afflato spirituale, tutte appartenenti a quel periodo bello e controverso chiamato Rinascimento. Erotismo e spiritualità si tendono la mano e rappresentano i due lati di una stessa medaglia.

È l’incontro non solo con lo stile di Petrarca, ma anche la sua complessa psicologia e la sua ansia di infinito sponsorizzato in quegli anni dall’illustre intellettuale Pietro Bembo (Prose della volgar lingua, 1525) produssero i loro canzonieri: il petrarchismo fu un movimento talmente esteso da coinvolgere per la prima volta anche le donne. Si tratta di un momento storico, se si riflette bene: fu davvero il primo esempio di apertura alla scrittura femminile nella cultura italiana. 

Un movimento intenso, sebbene di breve durata perché nel tardo Cinquecento e nel Seicento barocco, si persero quasi subito le condizioni per questa libertà intellettuale al femminile (il Concilio Tridentino del 1545 ha avuto questa tra le sue conseguenze oltre alla redazione del celebre Index librorum prohibitorum – l’indice dei libri proibiti).

Per un duraturo, sebbene faticoso, moto di emancipazione femminile occorrerà attendere il tardo Settecento che porterà in seguito a un ruolo intellettualmente sempre più avanzato delle donne tra Ottocento e Novecento, fino ai giorni nostri dove questo percorso ancora non è del tutto completo.

2Chi sono le poetesse del ‘500?

2.1Vittoria Colonna: poesie e opere

Ritratto di Vittoria Colonna
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Vittoria Colonna (1492-1547) è una figura complessa e affascinante: già nel 1532 Ariosto ne cantava le lodi nell’ultima edizione del Furioso (XXXVII, 15-21), e nel 1535 un suo sonetto veniva incluso nella seconda edizione delle Rime di Bembo. Figlia di Fabrizio Colonna e Agnese di Montefeltro, Vittoria Colonna fu educata in modo splendido nelle principali discipline del sapere.

Nel 1509 sposò Francesco Ferrante d’Avalos, Marchese di Pescara e in seguito vittorioso comandante dell’esercito imperiale di Carlo V. Da sposata si trasferì nel Castello Aragonese di Ischia e frequentò il vivace ambiente culturale napoletano.

Fu amica e confidente di Michelangelo e, dopo la morte del marito, sentì sempre una grande attrazione per la spiritualità. In molti suoi scritti emerge una vera e propria simpatia per il Protestantesimo.

Dopo la morte del marito (3 dicembre 1525), la Colonna cambiò totalmente il proprio stile di vita: abbandonò i palazzi di famiglia e gli abiti sontuosi, con l’intenzione di trascorrere i suoi giorni in povertà in un convento romano. Per il marito, di cui fu appassionatamente innamorata, scrisse liriche in vita e in morte, come Petrarca fece con la sua Laura.

Il corpus poetico, edito da A. Bullock (1982) comprende circa 140 rime di argomento amoroso, 210 componimenti a tema sacro più una parte della sua corrispondenza. L’unica raccolta allestita personalmente dalla poetessa è contenuta nel ms Vaticano latino 11539 e venne donata a Michelangelo nel 1540 ca. Vediamo adesso due testi della poetessa tratti dalla raccolta delle rime amorose, il sonetto X, dedicato al marito, e il CXVIII, alla poetessa “collega” Veronica Gambara; infine per farci un’idea più precisa, anche un sonetto preso invece dalla raccolta di poesie religiose.

Sonetto X

A quale strazio la mia vita adduce
Amor, che oscuro il chiaro sol mi rende,
E nel mio petto al suo apparire accende
Maggior disio della mia vaga luce!
Tutto il bel che natura a noi produce,
Che tanto aggrada a chi men vede e intende,
Più di pace mi toglie e sì m'offende,
Ch'ai più caldi sospir mi riconduce.
Se verde prato e se fior vari miro,
Priva d'ogni speranza trema l'alma
Ché rinverde il pensier del suo bel frutto
Che morte svelse. A lui la grave salma
Tolse un dolce e brevissimo sospiro,
E a me lasciò l'amaro eterno lutto.

Sonetto CXVIII, a Veronica Gambara

Di nuovo il cielo dell'antica gloria
Orna la nostra etade, e sua ruina
Proscrive; poscia che tra noi destina
Spirto c'ha di beltà doppia vittoria.
Di voi ben degna d'immortale istoria,
Bella donna, ragiono, a cui s'inchina
Chi più di bello ottiene, e la divina
Interna parte vince ogni memoria.
Faransi i chiari spirti eterno tempio:
La carta il marmo fia, l'inchiostro l'oro,
Chè 'l ver costringe lor sempre a lodarvi.
Morte col primo, o col secondo ed empio
Morso il tempo non ponno omai levarvi
D'immortal fama il bel ricco tesoro.

Dai sonetti di argomento religioso, sonetto IV

Parrà forse ad alcun che non ben sano
Sia 'l mio parlar di quelle eterne cose,
Tanto all'occhio mortal lontane e ascose,
Che son sovra l'ingegno e il corso umano.
Non han, credo, costor guardato al piano
Dell'umiltade, e quante ella pompose
Spoglie riporti, e che delle ventose
Glorie del mondo ha l'uom diletto invano.
La fè mostra al disio gli eterni e grandi
Obblighi, che mi stanno in mille modi
Altamente scolpiti in mezzo al core.
Lui, che solo il può far, prego che mandi
Virtù che sciolga e spezzi i duri nodi
Alla mia lingua, onde gli renda onore.

2.2Le poesie di Gaspara Stampa

Gaspara Stampa
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Nata da una colta ma modesta famiglia di commercianti gioiellieri d’origine milanese, Gaspara era una cortigiana di alto livello, bellissima, seducente e talentuosa. La casa Stampa divenne un salotto letterario tra i più frequentati dai maggiori musicisti, pittori e letterati di Venezia.

Gaspara, ammirata come cantante oltre che per la sua bellezza, “era circondata da un nuvolo di adoratori”. La condizione delle cortigiane oggi farebbe scalpore (anzi, forse no): si trattava di donne libere che intrattenevano personaggi di alto lignaggio con la loro maestria nelle arti e con la loro bellezza. Erano professioniste della corte in tutti i sensi, rendendola splendida e piena di intrighi e di licenziosità.

Tra le numerose relazioni, probabilmente la più sentita fu, nel 1548, con il conte Collaltino di Collalto, al quale dedicò gran parte dei 311 componimenti delle sue Rime. L’uomo, tuttavia, ricambiò solo a tratti la passione di Gaspara che si faceva chiamare Anasilla, diminutivo-vezzeggiativo dal nome latino del Piave (Anaxus) che bagnava il feudo dei Collalto, allontanandosi spesso da Venezia a lungo. Nel 1551 la loro relazione si interruppe in via definitiva: Gaspara ne soffrì molto, ma ben presto si gettò in nuovi amori, in particolare con Bartolomeo Zen.

Nel 1554, il 23 aprile, a soli 31 anni, Gaspara morì dopo quindici giorni di febbri intestinali a seguito di un’intossicazione; la sintomatologia corrisponderebbe con l’avvelenamento, tuttavia mai provato: il sospetto ha fatto comunque supporre che fosse stata morte per suicidio. Una fine tragica e misteriosa come quella delle moderne rock-star, se volessimo azzardare un paragone.

Le liriche di questa poetessa sono incentrate sulla sua vicenda amorosa finita con l’abbandono da parte dell’amato e il suo canzoniere è uno dei più interessanti della poesia del ‘500.

Sonetto I di Gaspara Stampa

Voi, ch'ascoltate in queste meste rime,
In questi mesti, in questi oscuri accenti
Il suon degli amorosi miei lamenti
E delle pene mie tra l'altre prime;
Ove sia chi valore apprezzi e stime,
Gloria, non che perdon, de' miei tormenti,
Spero trovar fra le ben nate genti,
Poi che la lor cagione è sì sublime.
E spero ancor che debba dir qualcuna:
Felicissima lei, da che sostenne
Per sì chiara cagion danno sì chiaro!
Deh, perchè tanto amor, tanta fortuna,
Per sì nobil signore a me non venne,
Chè anch'io n'andrei con tanta donna a paro!

Sonetto XIX

Come chi mira in ciel fiso le stelle,
Sempre qualcuna nuova ve ne scorge,
Che non più vista pria fra tanti sorge
Chiari lumi del mondo, alme fiammelle;
Mirando fiso l'alte doti e belle
Vostre, signor, di qualcuna si accorge
L'occhio mio nuova, che materia porge,
Onde di lei si scriva e si favelle.
Ma, sì come non può gli occhi del cielo
Tutti, perchè occhio vegga, raccontare
Lingua mortal e chiusa in uman velo;
Io posso ben i vostri onor mirare,
Ma la più parte d'essi ascondo e celo
Perchè la lingua all'opra non è pare.

2.3Veronica Franco

Corte italiana al tempo di Gaspara Stampa
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Ma non fu solo petrarchismo: la "cortigiana honesta" Veronica Franco (1546-1591) è autrice di terze rime – alla maniera dantesca e in generale della poesia in stile comico sperimentata anche da Sacchetti, Lorenzo il Magnifico e Antonio Pucci: il contenuto è spesso e non troppo velatamente erotico.

La freschezza di queste voci e il loro approccio nuovo alla materia poetica rese queste scrittrici più originali e più brave dei loro colleghi petrarchisti uomini, molti dei quali, pedissequi imitatori di maniera. La cosa più sorprendente è che alcune di queste cortigiane offrirono una rilettura personale al capolavoro di Petrarca, rovesciandone la prospettiva, esprimendo il punto di vista della donna, ancora relegata a mero oggetto del desiderio dei poeti. Invece qui la poetessa asserisce che farà gustare le delizie dell’amore.

Epistola poetica I a Marco Veniero

E qual ella si sia, la mia bellezza,
quella che di lodar non sète stanco,
spenderò poscia in vostra contentezza:
dolcemente congiunta al vostro fianco,
le delizie d’amor farò gustarvi,
quand’egli è ben appreso al lato manco;
e ‘n ciò potrei tal diletto recarvi,
che chiamar vi potreste per contento,
e d’avantaggio appresso innamorarvi.

Epistola poetica XVI: Ad un malèdico, che l'ha con suoi versi oltraggiata, risponde a lungo, e ribatte le ingiurie, che colpivano la condizione di lei. 

Non so se voi stimiate lieve risco
entrar con una donna in campo armato;
ma io, benché ingannata, v’avvertisco
che ‘l mettersi con donne è da l’un lato
biasmo ad uom forte, ma da l’altro è poi
caso d’alta importanza riputato.
Quando armate ed esperte ancor siam noi,
render buon conto a ciascun uom potemo,
ché mani e piedi e core avem qual voi;
e se ben molli e delicate semo,
ancor tal uom, ch’è delicato, è forte;
e tal, ruvido ed aspro, è d’ardir scemo.
Di ciò non se ne son le donne accorte;
che se si risolvessero di farlo,
con voi pugnar porían fino a la morte.
E per farvi veder che ‘l vero parlo,
tra tante donne incominciar voglio io,
porgendo essempio a lor di seguitarlo. 

2.4Veronica Gambara: poesie e opere

Ritratto di Veronica Gambara (1485-1550), poetessa italiana
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Nella notte tra il 29 e il 30 novembre 1485 nasce nel castello di Pralboino, nella pianura a sud di Brescia, Veronica Gambara, figlia dei feudatari locali. Brescia è animata da un vivace fermento culturale e l’opera di Petrarca qui è ben conosciuta, grazie all’attività delle numerose tipografie locali e a letture pubbliche che ne celebrano il mito. La sua è una famiglia numerosa, nobile, assai colta e imparentata con importanti esponenti, anche femminili, della cerchia umanistica delle corti padane dell’epoca. 

A Veronica, come ai suoi fratelli e sorelle, è impartita un’ottima educazione umanistica: studia latino, filosofia, teologia e retorica. Una formazione completa. Inoltre fra le famiglie nobili era consueto il ludo letterario che comprendeva sia cimentarsi con le liriche sia dissertare sulla letteratura; così la giovane poetessa comincia a scrivere versi fin dall’adolescenza trascorsa tra Pralboino e Brescia, imparando i trucchi del mestiere e sviluppando uno stile personale

Diventa presto celebre nella sua città e ottiene le attenzioni di Pietro Bembo che la menziona in suo sonetto prima ancora di incontrarla. Mentre la sua produzione poetica aumentava (sebbene disorganica) iniziarono carteggi con importanti intellettuali dell’epoca (Pietro Bembo e Pietro Aretino in primis), purtroppo giunti a noi lacunosi. 

Per dirla in breve, la contessa si presenta a noi come una donna rinascimentale non incasellabile in una sola dimensione: è insieme letterata, accorta politica e reggente del feudo del marito, lucida intellettuale profonda conoscitrice del suo tempo, instancabile animatrice di cenacoli culturali. 

Veronica Gambara conobbe i più grandi intellettuali del tempo, ottenendone lode e rispetto: Pietro Bembo e Bernardo Tasso (padre di Torquato), il tremendo Pietro Aretino, ma anche Ludovico Ariosto. Quest’ultimo nella conclusione dell’Orlando Furioso, omaggia la poetessa: «O di che belle e saggie donne veggio, e di che cavalier il lito adorno! Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio veggo dal molo in su l’estremo corno; Veronica Gambara è con loro, / sì grata a Febo e al santo aonio coro».

Sonetto I di Veronica Gambara

Mentre da vaghi e giovenil pensieri
Fui nodrita, or temendo, ora sperando,
Piangendo or trista, ed or lieta cantando,
Da desir combattuta or falsi, or veri,
Con accenti sfogai pietosi e feri
I concetti del cor, che spesso amando
Il suo male assai più che 'l ben cercando,
Consumava dogliosa i giorni interi.
Or che d'altri pensieri e d'altre voglie
Pasco la mente, a le già care rime
Ho posto ed a lo stil silenzio eterno.
E, se allor, vaneggiando, e quelle prime
Sciocchezze intesi, ora il pentirmi toglie,
Palesando la colpa, il duolo interno.

Sonetto XIII di Veronica Gambara

Vero albergo d'amore, occhi lucenti,
Del frale viver mio fermo ritegno,
A voi ricorro ed a voi sempre vegno
Per trovar qualche pace a' miei tormenti,
Chè a l'apparir de' vostri raggi ardenti
Manca ogni affanno, ogni gravoso sdegno,
E di tal gioia poi resta il cor pregno,
Che loco in me non han pensier dolenti.
Da voi solo procede, occhi beati,
Tutto quel ben che in questa mortal vita
Può darmi il cielo e mia benigna sorte.
Siatemi dunque più cortesi e grati,
E col valor de la beltà infinita
Liberate il mio cor d'acerba morte.

Madrigale I di Veronica Gambara

Occhi lucenti e belli,
Com'esser può che in un medesmo istante
Nascan da voi sì nove forme e tante?
Lieti, mesti, superbi, umili, alteri
Vi mostrate in un punto, onde di speme
E di timor m'empiete,
E tanti effetti dolci, acerbi e fieri
Nel core arso per voi vengono insieme
Ad ognor che volete.
Or poi che voi mia vita e morte sete,
Occhi felici, occhi beati e cari,
Siate sempre sereni, allegri e chiari.

2.5Altre poetesse del ‘500

Ritratto di Laura Battiferri Ammannati mentre legge i sonetti del Petrarca
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Laura Battiferri Ammannati, nata a Urbino nel 1523, muore a Firenze nel 1589. Lei lamenta in alcune sue struggenti ottave che inutilmente la primavera rimena il bel tempo, se in lei persiste il cordoglio e il pianto per le durezze dei dolori affettivi. Ci sono infine Isabella Morra, Isabella Andreini, con la quale la poesia si affrancò dal petrarchismo più rigido; e, infine, Francesca Turrini e Laura Terracina. Incontriamo poi Tullia d’Aragona, che nacque a Roma nel 1508 e morì a Firenze nel 1556. La sua poesia propone toni più tenui che quella di Veronica Colonna, di cui ignora il sentimento religioso. Anzi con malizia si diverte a ironizzare e sbeffeggiare la religiosità come nel celebre sonetto al predicatore Bernardo Ochino, il quale viene etichettato, per non dire “bollato”, come un tale che vorrebbe ignorare, se non addirittura negare il libero arbitrio. Le più importanti sono comunque le prime tre: Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Veronica Franco.

    Domande & Risposte
  • Chi sono le poetesse più famose del Rinascimento italiano?

    Vittoria Colonna, Gaspara Stampa e Veronica Franco.

  • Come è morta Gaspara Stampa?

    Di febbre intestinale dovuta forse ad avvelenamento o suicidio.

  • Chi era il marito di Vittoria Colonna?

    Francesco Ferrante d’Avalos, Marchese di Pescara.