Plinio il Giovane: vita e opere
Indice
1Plinio il Giovane (62 d.C.-114)
Plinio il Giovane è uno scrittore che mi ha sempre affascinato perché non ho mai capito cosa dovessi studiare di lui: non ha scritto poemi epici, né romanzi alla greca, né elegie o epigrammi, né opere storiografiche. Se di lui ci restano solo lettere e un panegirico all’imperatore, vuol dire che la sua influenza al livello artistico non è stata poi così alta.
Eppure perché lo studiamo? Credo che la risposta sia questa: Plinio è il ritratto più interessante di un tipico intellettuale dell’età imperiale, figlio (adottivo) d’arte, in continuo dialogo con l’imperatore tra autonomia e servizio non diversamente da quanto accadrà agli intellettuali rinascimentali.
Nel Panegirico a Traiano, infatti, Plinio il Giovane spiega come dovrebbe comportarsi un princeps e di fatto continua la tradizione degli specula principis, i modelli da seguire per gli uomini di potere che ispirerà anche Il principe di Machiavelli.
Ma non solo: la sua fama è legata alla famosa eruzione del Vesuvio del 79 d. C. perché suo è il resoconto dettagliato di quanto accadde in quei giorni e rappresenta per gli archeologi una fonte insostituibile.
2La vita di Plinio il Giovane
Plinio il Giovane era nipote di Plinio il Vecchio, fratello della madre, celebre per aver assistito (anche troppo da vicino, perché morì per i gas venefici) alla spaventosa eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; si chiamava, in verità, Gaio Cecilio Secondo, ma dal momento che il padre morì prematuramente, fu adottato dallo zio che gli diede il proprio nome.
Della sua vita abbiamo conoscenze deducibili dall’epistolario e da fonti epigrafiche. Nacque a Como nel 62 d.C. e, dopo i primi studi, si perfezionò a Roma dove fu allievo di Quintiliano e del rètore greco Nicete Scerdote. Divenne un buon oratore e insieme a Tacito, nell’anno 100, sostenne l’accusa nel processo contro Mario Prisco, governatore della provincia d’Africa che si era macchiato di crimini efferati.
3Le opere di Plinio il Giovane
Gran parte della produzione di Plinio è andata perduta: non abbiamo nulla o quasi delle sue poesie in stile neoterico, delle sue orazioni giudiziarie e celebrative. Di lui ci rimangono il famoso Panegirico a Traiano e dieci libri di lettere.
3.1Panegyricus: il Panegirico a Traiano
Partiamo dal nome: nella Grecia classica il panegirikòs logos era il discorso che si teneva in occasioni di riunioni panelleniche: l’esempio più illustra di questa tradizione ci viene da Isocrate (380 a.C. ca.). Successivamente il nome passò ad indicare un discorso encomiastico in generale. Un nome greco per una consuetudine tutta romana. Questa è l’unica orazione pervenutaci dalla morte di Cicerone ai due secoli successivi ed è l’unica fonte sui primi anni del principato di Traiano. Il Panegirico a Traiano è l’occasione di una riflessione politica.
Secondo Plinio (con un filo di utopia che sempre accompagna il dover essere di chi gestisce il potere) l’imperatore deve collaborare con il Senato, all’insegna di virtù quali la mansuetudo e la clementia. Secondo lui, questa caratteristica è propria di Traiano e vale la pena di prenderlo come esempio vivente di una felice gestione del potere. Ne parla con l’amico Vibio Severo in una celebre lettera in cui gli spiega:
«Officium consulatus iniunxit mihi, ut rei publicae nomine principi gratias agerem. Quod ego in senatu cum ad rationem et loci et temporis ex more fecissem, bono civi convenientissimum credidi eadem illa spatiosius et uberius volumine amplecti, primum ut imperatori nostro virtutes suae veris laudibus commendarentur, deinde ut futuri principes non quasi a magistro sed tamen sub exemplo praemonerentur, qua potissimum via possent ad eandem gloriam niti».
[L’incarico di console mi impose il compito di redigere una lode ufficiale dell’imperatore nel nome dello Stato. Avendo portato a termine questo compito come da consuetudine nel giusto luogo e tempo, ritenni cosa molto conveniente per un buon cittadino raccoglierla in un volume più ampio e ben scritto: in primo luogo perché l’imperatore potesse apprezzare mediante lodi sincere le sue vere virtù e in secondo luogo affinché i futuri imperatori ne ricavassero un’ammonizione non come se venisse fuori da un maestro, ma da un esempio concreto, così da capire in che modo essi potessero ottenere la medesima gloria].
Traiano era soprannominato (lo sappiamo anche dalle testimonianze numismatiche) Optimus princeps: era rispettoso delle libertà senatorie e quindi Plinio può affermare: iubes esse liberos: erimus (66.4), «ci ordini di essere liberi: lo saremo». In Traiano si conciliano due opposti, la fortitudo e la moderatio, la severitas e l’humanitas, l’austeritas e la hilaritas: ut nihil severitati eius hilaritate, nihil gravitati semplicitate, nihil maiestati humanitate detrahitur! (4.6) «Come la sua austerità non viene sminuita dalla sua giovialità, la sua dignità dalla sua spontaneità, la sua maestà dalla sua amabilità!» Occorreva proprio questa via di mezzo, difficile, ardua; un imperatore capace di gestire il Senato e la sua forza aristocratica: valorizzarlo senza concedere troppo potere, senza mostrarsi debole, capace di aumentare la prosperità e la pace dello Stato, senza mostrarsi debole al nemico.
Dal momento che si tratta di un compito difficile, non tutti possono diventare imperatori: Plinio sostiene che il principio adottivo di successione dell’imperatore è di gran lunga migliore di quello dinastico. Davanti al ritratto offerto da Plinio si trova nella posizione di non potersi tirare indietro: lui viene preso a modello e deve quindi essere all’altezza di tale modello, non solo per sé, ma anche per il futuro.
In questo senso è possibile allontanare da Plinio l’accusa di servilismo intellettuale, perché lo scopo politico – a cui lui sinceramente teneva – è ben più importante di quello encomiastico.
Attraverso quest’opera, Plinio cercava anche di rivalutare il ruolo del Senato perché in fondo come tutti gli intellettuali era anche lui un repubblicano convinto; tuttavia l’avvento del Principato era ineluttabile. Plinio, per dirla in termini moderni, sosteneva la necessità di una sorta di monarchia costituzionale: a capo c’è un princeps (il monarca) che dispone di un parlamento (il senato), il cui valore non deve mai essere sminuito o oltraggiato. Si tratta di una gestione non formalizzata dello Stato, beninteso, perché i limiti e i poteri dell’imperatore sfumavano l’uno nell’altro in contorni indistinti.
3.2L’Epistolario
Consta di dieci libri e ci sono 247 lettere di Plinio. I primi nove libri sono stati pubblicati da Plinio stesso, secondo una consuetudine derivata da Cicerone, e sono dedicati all’amico Setticio Claro. Il decimo libro raccoglie la corrispondenza privata tra Plinio e Traiano ai tempi in cui l’autore si trovava in Bitinia come governatore (probabilmente infatti è stato pubblicato postumo).
Le lettere non sono raccolte in ordine cronologico né per tematiche, ma alla rinfusa… almeno a quanto dice lo stesso Plinio nella prima lettera, quella dedicataria. Si nota invece una certa cura nella varietas e un criterio di selezione molto raffinato, così che il lettore non ne risulti annoiato.
Tre le tipologie principali:
- Occasioni particolari: messaggi di raccomandazione, fatti di cronaca, inaugurazioni di opere pubbliche, delibere del Senato etc. Qui sono contenute le due famose lettere inviate a Tacito in cui Plinio ricorda la famosa eruzione del Vesuvio del 79 d. C. (VI, 16; 20).
- Rapporti personali: sono lettere scritte agli amici per sapere se stanno bene, alla moglie per consolarla della distanza, e così via. Specialmente nei confronti della giovane moglie Calpurnia, Plinio mostra una grande tenerezza.
- Argomenti letterari: si tratta di lettere in cui ci sono lunghe digressioni descrittive su luoghi meravigliosi – i loci amoeni – o sulle sue lussuose ville.
Il modello ciceroniano è molto presente in Plinio, ma appunto – per quanto celebrato – Cicerone non è che un modello perché le epistole per Plinio (tranne quelle tra lui e l’imperatore) sono un mero esercizio di stile, sono scritte già pensando alla lettura e soprattutto vi troviamo meno autenticità biografica. Cicerone usava la lettera in modo più spigliato e vivace; c’era davvero lui, la persona prima del personaggio. Con Plinio sembra più il contrario.
3.3Plinio il Giovane e le lettere con Traiano
Dei dieci libri componenti l'Epistolario e caratterizzati da tono lieve, come si vuole una conversazione colta tra amici, solo il decimo libro si discosta dal tono dell’opera: contiene infatti la corrispondenza tra Plinio e l'imperatore e fu pubblicato postumo.
Il consigliere si dilunga diffusamente nelle questioni più minuziose, a volte suscitando l'irritazione dell'imperatore; ma le lettere 96 e 97 (rispettivamente lettera da Plinio all’imperatore e risposta di questo) danno una testimonianza preziosa della diffusione del cristianesimo degli inizi, percepito da Plinio come una superstizione inopportuna ma nulla di pericoloso o sacrilego.
Il console in Bitinia adotta una linea cauta, inviando i cittadini romani accusati direttamente nella capitale, e processando in loco gli altri accusati, stabilendo un giudizio in più gradi per permettere eventuali ritrattazioni, non accettando accuse anonime (su ordine dello stesso Traiano) e soprattutto lasciando una descrizione dettagliata delle modalità di riunione e culto dei primi protocristiani.
3.4Plinio e l’eruzione del Vesuvio: le due lettere a Tacito
Plinio fu testimone oculare della grande eruzione del Vesuvio del 79 d.C. in cui perse la vita suo zio Plinio il Vecchio, che comandava la flotta a Capo Miseno. Plinio racconta all’amico e storico Tacito tutta la storia, almeno per come lui l’ha vista e ricostruita attraverso le testimonianze degli altri sopravvissuti. Dal suo punto di osservazione si vedeva questo spettacolo:
«Nubes — incertum procul intuentibus ex quo monte; Vesuvium fuisse postea cognitum est — oriebatur, cuius similitudinem et formam non alia magis arbor quam pinus expresserit. 6 Nam longissimo velut trunco elata in altum quibusdam ramis diffundebatur, credo quia recenti spiritu evecta, dein senescente eo destituta aut etiam pondere suo victa in latitudinem vanescebat, candida interdum, interdum sordida et maculosa prout terram cineremve sustulerat. 7 Magnum propiusque noscendum ut eruditissimo viro visum. Iubet liburnicam aptari; mihi si venire una vellem facit copiam; respondi studere me malle, et forte ipse quod scriberem dederat». (VI, 16, 5-7)
[Una nube si levava in alto, ed era di tale forma ed aspetto da non poter essere paragonata a nessun albero meglio che a un pino. Infatti, drizzandosi come su un tronco altissimo, si allargava poi in una specie di ramificazione; e questo perché, suppongo io, sollevata dal vento proprio nel tempo in cui essa si formava, poi, al cedere del vento, abbandonata a sé o vinta dal suo stesso peso, si diffondeva ampiamente per l'aria dissolvendosi a poco a poco, ora candida, ora sordida e macchiata, secondo che portasse con sé terra o cenere. A mio zio, che era uomo dottissimo, tutto ciò parve un fenomeno importante e degno di essere osservato più da vicino, per cui ordinò che si preparasse una liburnica offrendomi se volevo, di andare con lui. Risposi che preferivo studiare: era stato lui stesso, infatti, ad assegnarmi qualcosa da scrivere].
Quella giornata di studio avrebbe salvato il giovane Plinio, che avrebbe però perso lo zio, troppo curioso di andare a vedere di cosa si trattasse. Segue quindi il racconto con i terremoti, la pioggia di cenere, pomice e lapilli, i gas venefici che costano la vita a moltissimi, la fuga disperata a piedi, visto che per mare non si può andare a causa dei forti venti contrari e del mare impossibile da solcare (proprio a causa dei terremoti e dell’eruzione del vulcano). È un racconto avvincente e drammatico. Plinio ci tiene tuttavia a precisare che Tacito dovrà trovare anche altre testimonianze:
«Unum adiciam, omnia me quibus interfueram quaeque statim, cum maxime vera memorantur, audieram, persecutum. Tu potissima excerpes; aliud est enim epistulam aliud historiam, aliud amico aliud omnibus scribere. Vale». (VI, 16, 22)
[Tutta la mia narrazione è fondata sull'esperienza diretta e sulle notizie udite immediatamente dopo la catastrofe, quando la memoria degli eventi è prossima alla verità. Tu farai una selezione dei fatti più importanti, perché scrivere una lettera non è lo stesso che scrivere una storia, come scrivere per un amico non è lo stesso che scrivere per tutti].
Tacito è talmente interessato da spingere l’amico a raccontargli ancora altri dettagli di quella spaventosa eruzione. È grazie soprattutto a queste due lettere che abbiamo potuto ricostruire l’accaduto.
3.5Plinio e l'opera letteraria
Plinio, soprattutto con le lettere dedicate alla discussione letteraria, si inserisce nel dibattito culturale del suo tempo. È sempre più rivolto verso una più ampia consapevolezza dell’autonomia degli studia rispetto ai facta politici e sociali. Il legame tra la pace della campagna e il lavoro letterario è sempre più forte. Preferisce l’otium ad una vita pubblica vuota di attrattive. La sua riflessione letteraria è inoltre rivolta ad una maggiore predisposizione verso l’oratio come opera scritta rispetto all’actio come declamazione. L’orazione pronunciata a voce è il punto di partenza per una complessa revisione che porta alla pubblicazione. Inoltre la recitazione davanti ad un gruppo selezionato di ascoltatori, permette di valutare e tenere conto del gradimento e della reazione del pubblico stesso.
4Plinio governatore della Bitinia: il problema dei Cristiani
Plinio vive anche un altro momento assai particolare per Roma: la prima ondata di diffusione del Cristianesimo, un fenomeno che attraversa trasversalmente tutti i ceti della società e crea un grande disorientamento nelle istituzioni romane.
Nessuno sa bene come si debbano gestire i processi contro i Cristiani, anche perché a Roma erano sempre circolate religioni provenienti dal Medio-Oriente; tuttavia, e lo capiscono subito, questa è diversa perché diffonde un messaggio universale e fa del proselitismo (della conversione dei pagani) la sua missione più importante. È una religione che libera dalla legge giuridica per aprire alla legge universale dell’amore. Immaginiamo quanto dovesse essere difficile gestire un fenomeno sociale dall’impatto così grande.
Vengono anche processate due ministre, due ancelle, che probabilmente svolgevano il ruolo di sacerdotesse: e questo è un fatto che desta un certo stupore. Le donne probabilmente avevano un ruolo di grande rilievo nella Chiesa primitiva, ruolo che nel tempo si è perso.
Scrive Plinio al suo imperatore per avere delucidazioni su come deve comportarsi e quali siano le colpe dei Cristiani. Gli domanda come debba istruire i processi, gli spiega anche di avere usato metodi coercitivi (la tortura… cosa normalissima fino a Cesare Beccaria). Il fenomeno si propaga, ma lui teme di sbagliare e preferisce non agire di testa sua ma rendere il suo imperatore edotto. Molto interessante, infatti, è l’asciutta risposta di Traiano, che riporto qui per intero:
«1 Actum quem debuisti, mi Secunde, in excutiendis causis eorum, qui Christiani ad te delati fuerant, secutus es. Neque enim in universum aliquid, quod quasi certam formam habeat, constitui potest. 2 Conquirendi non sunt; si deferantur et arguantur, puniendi sunt, ita tamen ut, qui negaverit se Christianum esse idque re ipsa manifestum fecerit, id est supplicando dis nostris, quamvis suspectus in praeteritum, veniam ex paenitentia impetret. Sine auctore vero propositi libelli <in> nullo crimine locum habere debent. Nam et pessimi exempli nec nostri saeculi est». (Epistula X, 97)
[Nell’istruire i processi di coloro che erano stati a te deferiti in quanto Cristiani hai seguito, mio Secondo, il procedimento che dovevi. E, infatti, non si può stabilire qualcosa in generale che abbia quasi una forma inderogabile. Non devono essere ricercati; se vengono denunciati e dimostrati colpevoli, sono da punire, tuttavia in modo tale che colui che abbia negato di essere Cristiano e lo abbia dimostrato con i fatti, cioè supplicando i nostri dei, benché sospetto in passato, ottenga il perdono in seguito al pentimento. I libelli presentati poi senza firma non devono avere spazio in nessuna accusa. Infatti sia è cosa di pessimo comportamento sia non degna della nostra epoca].
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Domande & Risposte
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Chi è stato Plinio il Giovane?
Uno scrittore, avvocato e magistrato romano ed è stato anche un testimone oculare dell'eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.
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Cosa ha scritto Plinio il Giovane?
Panegirico a Traiano, Epistolario e delle lettere a Tacito sull'eruzione del Vesuvio.
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Qual è il contenuto delle Lettere di Plinio?
I primi nove libri delle Lettere sono dedicati all’amico Setticio Claro e il decimo libro raccoglie la corrispondenza privata tra Plinio e Traiano.