Platone, Il mito di Theuth

Il mito di Theuth per Platone, riassunto . Cos'è il mito per Platone, l'importanza dell'oralità e i difetti della scrittura

Platone, Il mito di Theuth
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PLATONE

Platone, il mito di Theuth
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Una delle caratteristiche salienti dell’opera platonica è l’uso dei miti, dei racconti fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche. Per Platone il mito è uno strumento di cui si serve il filosofo per comunicare le proprie dottrine in maniera più accessibile ad intuitiva; attraverso il mito, Platone può trattare di realtà che vanno oltre i limiti dell’indagine razionale. Il mito, inoltre, possiede una sua profondità ed una ricchezza di rimandi che nessuna lettura razionale di esso può esaurire.

Nel “Fedro”, infatti, Platone si serve dei miti per esporre le proprie idee. Attraverso il personaggio di Socrate, suo grande maestro e modello, Platone teorizza tre fondamentali dottrine: dell‘amore, dell‘anima e della dialettica. Dopo aver parlato dell’amore e dell’anima, Socrate discute della vera retorica; ma, poiché questa ha bisogno di conoscenze esatte, il suo presupposto è conoscere l’essenza reale delle cose. Essa dunque dovrà fare uso della dialettica, nei due momenti che la compongono: la divisione analitica dei concetti, e la sintesi operata secondo il criterio della ragione.

Nel “Fedro“ Platone mette in risalto la necessità della conoscenza dell’anima per la retorica e, attraverso il mito di Theuth, analizza il rapporto tra dialogo e scrittura.

Il mito ha luogo in Egitto, dove il dio Theuth, inventore della matematica, della geometria, dell’alfabeto e della scrittura, elogia la scrittura davanti al re egiziano Thamus. Secondo il dio, la scrittura renderà gli egiziani più sapienti e aumenterà la loro memoria. Il re, però, non è d’accordo con il dio, poiché pensa che gli studenti non possano avere conoscenze senza l’insegnamento orale del maestro.

Attraverso la scrittura, secondo il re, non si avrà mai la conoscenza, ma l’arroganza del sapere e sarà impossibile arrivare alla verità. Fedro condivide le idee del re e Socrate elogia il discorso, rilevando gli aspetti negativi della scrittura.

La risposta del re è saggia e rispecchia la convinzione di Socrate: l'utilizzo della scrittura sarà causa di un non esercizio della memoria, la quale si atrofizzerà (“Perciò - afferma Thamus - hai trovato la medicina non della memoria, bensì del richiamare alla memoria”).

La scrittura, infatti, permette solamente di “richiamare alla memoria” attraverso dei simboli, mentre il dialogo e il confronto permettono di arrivare alla verità, che deve essere “partorita” attraverso il discorso. Secondo la visione di Platone e Socrate, quindi, lo scritto blocca nel pensiero l’attività viva della memoria; esso è solo un soccorso estraneo che ci disabitua allo sforzo interiore, alla capacità di riflettere. Esso ingenera l’illusione del sapere, che rimane un sapere acritico e troppo facilmente acquisito per essere solidamente fondato.

Una delle accuse più importanti del filosofo è quella circa l’impossibilità della scrittura di poter rispondere in modo adeguato ai quesiti del lettore: “La scrittura è come la pittura, le parole e le immagini non possono rispondere ai quesiti del lettore o dell’osservatore né chiarire dubbi né smentire false interpretazioni”.

PLATONE E IL MITO

La pittura, quindi, viene giudicata un inganno visivo destinato a fornirci l’errata apparenza della realtà viva: la vita delle figure che la pittura pone davanti ai nostri occhi è in realtà una vita morta e, se le chiamiamo, queste figure rimangono inerti e silenziose.

Secondo ciò, lo stesso accade per lo scritto: ci si aspetta di trovarvi un “pensiero vivo”, ma quando si formula una domanda, esso può solamente ripetersi o tacere; inoltre, data la sua incapacità di discernere a chi deve o non deve rivolgersi, esso capita a caso nelle mani di chiunque; infine, se lo si attacca esso non sa difendersi da sé.

Esattamente all’opposto stanno le cose per quanto riguarda la parola viva. La sua parentela con lo scritto e il comune nome di “discorso” con cui si designano entrambi, non devono trarci in inganno: il discorso scritto è un figlio illegittimo del discorso orale. Il discorso orale viene paragonato ad una scienza che viene scritta indelebilmente nell’anima.

L’immagine del seme gettato nell’anima attraverso la parola, che si trova alla fine del “Fedro”, è il paragone emblematico della potenza del discorso orale: usando l’arte della dialettica, è possibile piantare e seminare parole che “sono sempre in grado di venire in aiuto a se stesse”.

Oggi, in questa particolare fase della nostra storia, in quest’altro periodo di transizione, si potrebbe passare dall'età della scrittura verso un'altra epoca che sta prendendo il sopravvento (attraverso il progresso scientifico, i nuovi mezzi per comunicare e l'informatica) e si rende necessaria una profonda introspezione, fondamentale per definire la nostra vera meta, il nostro vero percorso ed il nostro orientamento verso la conoscenza. La questione analizzata da Platone nel V secolo a.C., quindi, si presenta a noi circa 2500 anni dopo, seppur in un ambiente totalmente differente che è indubbiamente il prodotto finale di quella scelta tra oralità e scrittura che ha dovuto compiere l'uomo molti anni fa, nel suo evolversi nel regno del tempo e che ha portato alla sconfitta la scienza del vero sapere.

Il mito di Theuth ci permette, quindi, di conoscere l’importanza del dialogo orale, importanza che Platone riesce a riassumere attraverso le frasi di Thamus e di Socrate. Il dialogo è lo strumento che ci permette di liberarci dalle inutili nozioni apprese attraverso la scrittura e guida l’uomo verso la conoscenza e la verità, la cui ricerca è il fine ultimo di Socrate e del suo allievo Platone, ma deve essere anche il fine d’ogni uomo.

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