Pittura Metafisica di De Chirico: caratteristiche
De Chirico, pittura metafisica: caratteristiche. Riassunto sulle caratteristiche principali delle sue opere e spiegazione semplice
PITTURA METAFISICA, DE CHIRICO
La pittura metafisica è una corrente artistica che nasce nel 1917 grazie a uno dei più grandi pittori del ventesimo secolo, il quale, davanti al monumento di Dante in Piazza Santa Croce a Firenze trova l’ispirazione per fondare questo movimento.
Mentre, durante gli anni della guerra e nel dopoguerra imperversavano in Europa correnti di carattere avanguardistico che volevano disaggregare l’immagine esteriore del mondo distrutto dal conflitto, in Italia e nella città di Ferrara in particolare, dove Giorgio de Chirico trascorse insieme al fratello Alberto alcuni anni, nasce una corrente che si propone di ritornare all’ordine, senza però rifugiarsi nuovamente nella tecnica meramente accademica e oggettivista. Secondo De Chirico la pittura deve smettere di riprodurre la realtà nella sua pura apparenza, ma deve indagare le complesse relazioni fra le cose.
De Chirico avanza una pittura che smette di sottoporsi al principio di razionalità schopenaueriano: le ambientazioni atemporali e cosmiche e gli oggetti sottratti ai loro naturali contesti evidenziano la rottura con il principio di causalità. Il pittore vuole così evidenziare, come la realtà, spoglia di spazio-tempocausalità a descriverla e rinchiuderla, assuma un carattere misterioso, intrigante; trasmette all’uomo un senso di alienazione e solitudine, incapacità cioè di riconoscere la realtà abituale. Sono le enormi ombre del monumento di Dante in Piazza Santa Croce a Firenze ad ispirarlo, quivi capisce come nell’ombra proiettata da un oggetto ci sia un affascinante mistero: l’ombra rappresenta un’immagine traslata della realtàsuscitandoci l’affascinante dubbio che la realtà stessa non sia l’ombra di qualcosa di più profondo.
E qui De Chirico rimanda quasi alle idee platoniche, ad un mondo ulteriormente più profondo che non appartiene all’uomo ma soltanto alle cose e alle loro complesse relazioni. Oggetti di uso quotidiano vengono sottratti al loro naturale contesto e assemblati suscitano emozioni inedite. Quella che De Chirico chiamava la collana dei ricordi, consiste proprio nel legame inscindibile e incomprensibile che avvolge le cose nella realtà metafisica (proprio perché da μετά (τήν) φισικάν, ovvero oltre la fisicità, oltre le cose puramente razionali). Di fronte alla tragicità della guerra la risposta sì rivoluzionaria sì come antiavanguardistica di De Chirico e quella di iniziare a guardare il mondo con occhi nuovi, con meno superficialità. Nelle opere di questo pittore si riconosce poi l’idea della logorante attesa, i suoi quadri immortalano scene nel loro svolgersi estremamente plastiche e statiche che lasciano soltanto attendere una dinamica successiva.
Soggetto ricorrente di De Chirico è il manichino, collocato sopra una colonna di strumenti di precisione, quali riga, squadre. Il manichino rimanda infatti all’idea platonica di uomo senza volto: l’uomo in questa realtà è presente senza identità ma disaggregato, spaesato, fuori dal suo naturale contesto. E questi manichini di grandi dimensioni, la cui monumentalità viene anche enfatizzata si stagliano in piazze deserte, circondate da edifici classicheggianti con arcate e riferimenti rinascimentali.
Spesso un orologio tra gli edifici che sottolinea l’ora del tramonto. In secondo piano uno o due uomini assistono alla scena, non sono ben discernibili e sembrano trovarsi proiettate come ombre in questa nuova realtà. E sono proprio le ombre irreali le protagoniste della scena, che si proiettano in modo irreale su tutta la scena, come se fosse un palcoscenico. Sullo sfondo si trova spesso una locomotiva a vapore che trasmette il senso di attesa e rimanda al lavoro del padre del pittore.
Le campiture di colore sono uniformi, le tonalità sempre piene e intense. Gli accostamenti sono armonici ed equilibrati, talvolta irreali per accentare il senso di alienazione dello spettatore. Così ad esempio il suolo della piazza assume una colorazione giallo accesa, mentre il cielo si presenta in una tonalità irreale, fra il blu e il verde. Queste scelte del colore sottolineano sempre integrità e purezza, in una dimensione dove né tempo né spazio consumano le immortali immagini da lui immortalate.
GIORGIO DE CHIRICO
L’esempio più brillante ed esplicativo di pittura metafisica lo troviamo nel Grande Metafisico, opera del 1917 che attraverso questa colonna di oggetti sormontata da un monumentale manichino risulta essere un efficace compendio dell’intenzione del movimento. Ma di fronte a quadri come questo, quasi manifesto del movimento stesso, troviamo suoi quadri come la nostalgia dell’infinito che lanciano tematiche nuove e interessanti. Nel costante contesto metafisico vediamo in quest’opera collocata non un manichino, bensì una torre che si slancia possente verso il cielo colore verde chiaro, alla cui cima vediamo alcune bandiere.
De Chirico ha brillantemente espresso, attraverso quest’opera, il desiderio (che già Leopardi esprime nelle sue opere) di tendere verso l’infinito, di raggiungere una vetta che rappresenta l’unico sogno ultimo dell’uomo per saziare la sua sete infinita. Questo miraggio diventa qualcosa di reale nella realtà metafisica, e quasi tangibile. Assume la forma quindi di una speranza rinata che potremmo facilmente paragonare al panorama dell’ermo colle leopardiano.
Importanti nella produzione di De Chirico furono anche Le tre muse inquietanti, un’opera che rifiuta l’ambientazione cosmica per spostarsi nella città estense, in un tetto che sembra volgere verso il castello.
Qui vediamo tre creature bizzarre, una delle quali parzialmente nascosta. Anche l’ispirazione diventa qualcosa di concreto in questa realtà, e l’immaginazione torna a risiedere nella pseudo-concretezza attraverso le forme classiche di queste creature. Quasi come un inno alle tradizioni passate, o una protasi di un poema greco De Chirico esprime con queste figure l’esistenza dell’immaginazione come punto di raccordo tra la realtà metafisica (dell’ambiente) e parzialmente fisica (del castello). Attraverso l’immaginazione le muse istituiscono cioè una comunicazione con la realtà fisica e forniscono all’uomo nuovi spunti per la realtà.
E il tema classicheggiante ritorna anche nella serie di dipinti di Ettore e Andromaca, i due innamorati che si saluteranno per l’ultima volta sotto la porta di Troia davanti al piccolo figlio Astianatte, prima che il padre muoia in duello con Achille.
La scena dell’incontro fra i due rappresenta un inno alla classicità che viene reinterpretata con i nuovi canoni artistico estetici, ma anche l’amore che è l’unica forza capace di unire le genti di qualsiasi popolo o tempo. L’amore diventa qualcosa che intrinsecamente si sottrae al principio di razionalità perché proprio di tutte le genti del mondo di ogni tempo ed è pertanto rifugio dai travagli dell’esistenza dell’uomo.
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