Tipologia B - Ambito artistico
La percezione dello straniero nella letteratura e nell'arte
La figura dello straniero in arte e letteratura Aristotele
nell’antica Grecia definiva l’uomo come un animale
politico, ovvero un essere che per rimanere tale aveva
bisogno di vivere e interagire con gli altri uomini, tuttavia questa
convivenza non è sempre pacifica, ma caratterizzata dal
conflitto e dalla limitazione delle libertà altrui.
Essenzialmente l’uomo ha come un’innata e inconscia
puara dell’altro, paura, che nella storia ha visto varie
forme di degerazione, il fascismo per esempio: l’ebreo era
visto come altro dalla nazione tedesca, per questo pericoloso e quindi
questa diversità esige una rimozione dell’altro.
Ma a parte i grandi casi storici l’altro e la paura
dell’altro è avvertita psicologicamente da ognuno
di noi anche nella vita quotidiana e molti grandi letterati ed artisti
si sono “ispirati” a questo sentimento
dell’altro nelle loro opere: Come quel narciso che
specchiandosi nello stagno si innamorò della propria
immagine rifiutando tutto ciò che lo circondava
rinchiudendosi nella propria immagine e rifiutando la morte.
Il tempo generalmente è un grande maestro; solo con lo scorrere degli anni, dei secoli, l'uomo è riuscito a compiere grandi scoperte espandendo le sue conoscenze in tutte le dimensioni, dalle dimensione microscopiche della cellula alla dimensione macroscopica dell'universo. La sete di conoscere lo ha portato a studiare, a investigare, a scandagliare ogni frammento di conosciuto per metterlo in discussione e apportare continui miglioramenti. Ciò che di più semplice ci sarebbe da conoscere ovvero l'altro invece ha sempre suscitato una sorta di ansia., paura, timore oppure ci ha lasciato indifferenti quasi, come se non ci riguardasse.
Eppure risulta sempre più difficile rimanere nel proprio guscio, ora che le possibilità di incontro con l'Altro si moltiplicano a livello esponenziale e la convivenza nel mondo globalizzato ci viene imposta da forze che non possiamo controllare. Man mano che gli spazi si restringono, che è più facile viaggiare, muoversi, comprendersi siamo noi a ricostruire le barriere come se in realtà tutta questa umanità potesse nuocere alla nostra identità.
Non abbiamo un passato di cui andare propriamente fieri; senza spingersi troppo lontano nel tempo basti pensare alla colonizzazione, al piano messo in atto dagli Europei per stringere il mondo nella sua morsa senza lasciare nemmeno un lembo di terra utile economicamente e strategicamente, libero dal dominio straniero. Un piccolo salto e ci ritroviamo catapultati nell'epoca più nera del passato europeo quando la nazione che vantava il livello più alto di cultura ed erudizione nel mondo, uno status economico da fare invidia e una stabilità nuovamente acquisita dopo la prima guerra mondiale, mise a punto, con piena coscienza, il piano di sterminio dell'intero popolo ebraico. Una scelta perfidamente ragionata, curata nei minimi particolari e portata a termine con straordinaria freddezza. Una scelta che ha fatto dubitare artisti e poeti dell' “umanità dell'uomo”, della possibilità di rappresentarlo ancora come tale, nei quadri e nella letteratura, a seguito del disgusto che la razza umana aveva suscitato a se stessa. E un solenne “mai più”; mai più all'odio, allo sterminio di massa, alla xenofobia, alla guerra e alla morte gratuita. Ora quelle due parole sembrano un eco lontano, l'odio e la paura del diverso riafforano di volta in volta in forme più o meno gravi e dimostrano una certa incapacità dell'uomo di apprendere la lezione. E il potere strumentalizza il timore, lo alimenta, proprio come un tempo, manovrandolo secondo i propri fini e proteggendo il cittadino da mostri creati, a volte, appositamente per spaventarlo.
Aristotele definiva l'uomo un animale sociale per natura che non poteva fare a meno di vivere con l'altro per costruire con esso qualcosa di comune. Kant parlava della cittadinanza universale di cui per natura tutti godevano con la conseguente possibilità di sentirsi a casa in ogni dove. Derrida, in tempi più vicini a noi, sognava l'estendersi di un'etica dell'ospitalità al mondo intero per spronarci a trattare l'altro proprio come l'ospite che accogliamo nella nostra casa con estrema educazione e riverenza. Un eco omerico della coraggiosa Nausica che incita le sue ancelle a non avere paura dello straniero Omero “pur nudo com'era”. “Bisogna prendersi cura di lui, ora”, asserisce la fanciulla, “che vengono tutti da Zeus, forestieri e mendichi, e un dono anche piccolo è caro.”
Personaggio tipicamente diverso nella letteratura italiana è il Rosso Malpelo verghiano che in virtù dei suoi capelli rossi, malvisti da tutti perchè “strani” rispetto al solito, diventa bersaglio di misfatti e cattiverie da parte di coloro che lavoravano nella cava insieme a lui e addirittura della sua famiglia. Rosso viene emarginato, deriso, abbandonato e questo genera in lui un senso di rancore che lo rende davvero cattivo, davvero malpelo. Demonizzare il diverso, come in questo caso, accende un sentimento di rivalsa che crea uno spirale d'odio infinita. La storia ne è testimone.
Dalla Bibbia ci provengono i primi inviti ad apririci allo straniero, a lasciare lui il covone senza tornare indietro a prenderlo, a non cogliere tutte le olive del nostro campo e a non vendemmiare tutti i grappoli. Un'ammonizione a non essere ingordi, un monito a preoccuparci del prossimo che probabilmente è più bisognoso di noi.
Se non impareremo a convivere con la diversità e ad accettarla non per dovere ma come forma di arricchimento continueremo a vedere un potenziale “'untore” dietro chiunque si trovi sul nostro cammino e la paura di essere contaminati dall'alterità ci renderà così attaccati e fieri della nostra identità, che ci porterà a svuotarla completamente e a renderla un semplice paravento, un vuoto segno privo di alcun significato.
Il tempo generalmente è un grande maestro; solo con lo scorrere degli anni, dei secoli, l'uomo è riuscito a compiere grandi scoperte espandendo le sue conoscenze in tutte le dimensioni, dalle dimensione microscopiche della cellula alla dimensione macroscopica dell'universo. La sete di conoscere lo ha portato a studiare, a investigare, a scandagliare ogni frammento di conosciuto per metterlo in discussione e apportare continui miglioramenti. Ciò che di più semplice ci sarebbe da conoscere ovvero l'altro invece ha sempre suscitato una sorta di ansia., paura, timore oppure ci ha lasciato indifferenti quasi, come se non ci riguardasse.
Eppure risulta sempre più difficile rimanere nel proprio guscio, ora che le possibilità di incontro con l'Altro si moltiplicano a livello esponenziale e la convivenza nel mondo globalizzato ci viene imposta da forze che non possiamo controllare. Man mano che gli spazi si restringono, che è più facile viaggiare, muoversi, comprendersi siamo noi a ricostruire le barriere come se in realtà tutta questa umanità potesse nuocere alla nostra identità.
Non abbiamo un passato di cui andare propriamente fieri; senza spingersi troppo lontano nel tempo basti pensare alla colonizzazione, al piano messo in atto dagli Europei per stringere il mondo nella sua morsa senza lasciare nemmeno un lembo di terra utile economicamente e strategicamente, libero dal dominio straniero. Un piccolo salto e ci ritroviamo catapultati nell'epoca più nera del passato europeo quando la nazione che vantava il livello più alto di cultura ed erudizione nel mondo, uno status economico da fare invidia e una stabilità nuovamente acquisita dopo la prima guerra mondiale, mise a punto, con piena coscienza, il piano di sterminio dell'intero popolo ebraico. Una scelta perfidamente ragionata, curata nei minimi particolari e portata a termine con straordinaria freddezza. Una scelta che ha fatto dubitare artisti e poeti dell' “umanità dell'uomo”, della possibilità di rappresentarlo ancora come tale, nei quadri e nella letteratura, a seguito del disgusto che la razza umana aveva suscitato a se stessa. E un solenne “mai più”; mai più all'odio, allo sterminio di massa, alla xenofobia, alla guerra e alla morte gratuita. Ora quelle due parole sembrano un eco lontano, l'odio e la paura del diverso riafforano di volta in volta in forme più o meno gravi e dimostrano una certa incapacità dell'uomo di apprendere la lezione. E il potere strumentalizza il timore, lo alimenta, proprio come un tempo, manovrandolo secondo i propri fini e proteggendo il cittadino da mostri creati, a volte, appositamente per spaventarlo.
Aristotele definiva l'uomo un animale sociale per natura che non poteva fare a meno di vivere con l'altro per costruire con esso qualcosa di comune. Kant parlava della cittadinanza universale di cui per natura tutti godevano con la conseguente possibilità di sentirsi a casa in ogni dove. Derrida, in tempi più vicini a noi, sognava l'estendersi di un'etica dell'ospitalità al mondo intero per spronarci a trattare l'altro proprio come l'ospite che accogliamo nella nostra casa con estrema educazione e riverenza. Un eco omerico della coraggiosa Nausica che incita le sue ancelle a non avere paura dello straniero Omero “pur nudo com'era”. “Bisogna prendersi cura di lui, ora”, asserisce la fanciulla, “che vengono tutti da Zeus, forestieri e mendichi, e un dono anche piccolo è caro.”
Personaggio tipicamente diverso nella letteratura italiana è il Rosso Malpelo verghiano che in virtù dei suoi capelli rossi, malvisti da tutti perchè “strani” rispetto al solito, diventa bersaglio di misfatti e cattiverie da parte di coloro che lavoravano nella cava insieme a lui e addirittura della sua famiglia. Rosso viene emarginato, deriso, abbandonato e questo genera in lui un senso di rancore che lo rende davvero cattivo, davvero malpelo. Demonizzare il diverso, come in questo caso, accende un sentimento di rivalsa che crea uno spirale d'odio infinita. La storia ne è testimone.
Dalla Bibbia ci provengono i primi inviti ad apririci allo straniero, a lasciare lui il covone senza tornare indietro a prenderlo, a non cogliere tutte le olive del nostro campo e a non vendemmiare tutti i grappoli. Un'ammonizione a non essere ingordi, un monito a preoccuparci del prossimo che probabilmente è più bisognoso di noi.
Se non impareremo a convivere con la diversità e ad accettarla non per dovere ma come forma di arricchimento continueremo a vedere un potenziale “'untore” dietro chiunque si trovi sul nostro cammino e la paura di essere contaminati dall'alterità ci renderà così attaccati e fieri della nostra identità, che ci porterà a svuotarla completamente e a renderla un semplice paravento, un vuoto segno privo di alcun significato.