Per finire: testo e commento alla poesia di Eugenio Montale
Testo e commento alla poesia di Eugenio Montale Per finire, componimento presente nella raccolta Diario del '71 e del '72. A cura di Marco Nicastro.
PER FINIRE: TESTO
Questa poesia è un esempio perfetto dello stile usato da Montale nelle sue ultime raccolte: viene scelto un episodio della quotidianità o un pensiero in qualche modo usuali ma anche tragici nei loro risvolti esistenziali, per infine ridimensionarli attraverso il sarcasmo e l’uso di una lingua molto vicina al parlato ricca di espressioni precodificate e trite.
PER FINIRE
Raccomando ai miei posteri
(se ne saranno) in sede letteraria,
il che resta improbabile, di fare
un bel falò di tutto che riguardi
la mia vita, i miei fatti, i miei nonfatti.
Non sono un Leopardi, lascio poco da ardere
Ed è già troppo vivere in percentuale.
Visse al cinque per cento, non aumentate
la dose. Troppo spesso invece piove
Sul bagnato.
PER FINIRE: COMMENTO
In questa poesia, in particolare, notiamo le espressioni «vivere in percentuale», «cinque per cento», «non aumentate la dose», «piove sul bagnato», usate allo scopo di creare in chi legge un effetto di straniamento verso quanto descritto o affermato, ridimensionandone la tragicità in modo paradossale. Il ridimensionamento e lo straniamento sono ottenuti anche tramite il contrasto tra la banalità di quelle espressioni e alcuni riferimenti letterari importanti, relativi a una concezione “alta” o elegante dello scrivere. Ci si riferisce qui all’espressione «ai miei posteri», che si rifà ovviamente a quella celeberrima del Manzoni del 5 maggio («ai posteri l’ardua sentenza») e alla citazione diretta di Leopardi.
Unire espressioni banali, che vengono usate nei nostri dialoghi quotidiani quando non si sa cosa dire o si è piuttosto sbrigativi nella formulazione di un pensiero, ad altre che richiamano espressioni letterarie genera infatti un cortocircuito semantico nella mente del lettore. Tale effetto è poi sancito dal penultimo/ultimo verso, costituito per intero da un modo di dire comune (“piove sul bagnato”). Seppur comprensibile nel contesto della poesia e delle visione pessimistica di Montale (nel senso che, nella vita, le cose vanno spesso di male in peggio) quest'ultima affermazione non è logicamente conseguente rispetto ai versi precedenti e sembra quasi una frase inserita casualmente allo scopo di rafforzare appunto quell'effetto di alienazione rispetto alla vita.
LA CONCEZIONE QUALUNQUISTA DELL'ESISTENZA
La disperazione di Montale trova qui il suo culmine nell'adesione a una concezione qualunquista dell'esistenza. Il poeta sembra dirci che della vita è meglio parlarne per frasi fatte e luoghi comuni, come fanno molti, piuttosto che cercare un senso più profondo, impresa forse impossibile e in ogni caso fonte di dolore. Montale usa il linguaggio banale della quotidianità per allontanarsi da una posizione più coinvolta e personale verso la vita, cercando di affrontarne la complessità. In qualche modo, fa propria quella che in Essere e tempo (1927) Heidegger definiva «la chiacchiera», ossia un discorso che aderisce passivamente alle opinioni comuni sulle cose per difendersi da una presa di posizione autentica e responsabile verso l'esistenza.
L'AUTOIRONIA DEL POETA
Certo, si può comunque notare una certa dose di autocompiacimento nel Montale di questa poesia. Egli infatti sapeva bene che di lui sarebbe rimasto più di qualcosa dopo la morte, data l’importanza che aveva nel panorama letterario di quel tempo (di lì a poco sarebbe arrivato il Nobel per la letteratura). Ci troviamo di fronte a un’autoironia un po' finta, una sorta di autocompiacimento vittimistico poco credibile in questi versi, cosa piuttosto rara in lui di solito così spietato nel cogliere i propri e altrui difetti. Però glielo si può perdonare facilmente; sia per l'occasionalità del fatto, sia per qualche trovata assolutamente geniale che marca questa poesia. Mi riferisco in particolare al v. 8 («Vissi al cinque per cento, non aumentate / la dose.»), endecasillabo ipermetro con accentazione canonica sulla sesta sillaba, e alla generale compostezza formale del componimento, formato da versi quasi tutti regolari. Montale in pratica ci dice che la vita è il contrario di ciò che credono i viveur: non un cibo di cui abbuffarsi ma un farmaco, quasi un veleno che può nuocere. Siamo ormai lontani anni luce da quella concezione della vita sublime, tragica ma con la possibilità di far intravvedere una speranza, tipica delle prime raccolte. Qui la vita è qualcosa di materiale e banale, un insieme di «fatti» e di «nonfatti» poco rilevante.
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