Parere motivato su questione regolata dal Codice Penale

Tizio viene rinviato a giudizio ex art. 324 c.p. per aver, in qualità di assessore del Comune di X, partecipato ad una riunione di Giunta Comunale nel corso della quale veniva deliberata l'acquisizione al patrimonio Comunale, previo pagamento del valore di mercato, accertato da apposita perizia di stima, di un'area edificabile di cui lo stesso Tizio è comproprietario

Parere motivato su questione regolata dal Codice Penale

Nelle more del giudizio, interviene l’abrogazione della norma incriminatrice ad opera dell’art. 20 della legge 26 aprile 1990, numero 86.
Tizio si rivolge ad un avvocato per sapere se alla abrogazione dell’art. 324 c.p. conseguirà senz’altro la sua assoluzione o se altre norme incriminatrici sanzionino l’ipotesi di fatto descritta in imputazione.
Il Candidato, premessi brevi cenni in materia di successione delle leggi penali con particolare riferimento alla nozione di “disposizione più favorevole”, assunta la veste dell’avvocato, rediga motivato parere (2).
SVOLGIMENTO
(
Avv. Sergio Donati, Votazione: 32/50

Egr. Sig. Tizio

Nel parere da Lei richiestomi, rilevo preliminarmente che stante l’avvenuta abrogazione dell’art. 324 c.p., ai sensi dell’art. 20 della legge del 26 aprile 1990 n° 86, al caso in oggetto si dovranno applicare i principi relativi alla successione di leggi penali di cui all’art. 2 c. p.. Tale articolo è diretta applicazione di due fondamentali assunti del nostro ordinamento giuridico. Il primo di essi ha trovato tutela costituzionale nell’art. 25 co. 2 cost.

E’ questa una garanzia imprescindibile del nostro ordinamento che comporta, per le fondamentali esigenze di certezza e prevedibilità dalla sanzione, l’impunibilità per un fatto che, al momento in cui è stato commesso, non era previsto come reato (nullun crimen, nulla poena , sine lege). Il secondo principio cui ho fatto riferimento, o del “favor rei”, ha trovato diverse applicazioni nel codice e nelle leggi penali.

Orbene, il 2° comma del citato art. 2 c.p., così recita:
“Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato.”
In Particolare, come da giurisprudenza e dottrina confermata (si veda ad es. cass. Sez.V 90/185123), il fenomeno della successione delle leggi penali è costituito dalla abrogazione di una disposizione penale e, conseguentemente, dall’applicabilità al fatto di altra disposizione normativa.

Non è pertanto necessaria alcuna esplicita e formale sostituzione della seconda norma alla prima. Ben può accadere, al contrario, che venga “abrogata una norma speciale, restando il fatto preveduto come reato da una norma generale preesistente”(cfr.Cass, ult. Art.).

Peraltro il terzo comma del citato articolo, in applicazione del principio del “favor rei”, cui si è ,fatto riferimento dispone che ”se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”.
Il Legislatore, nel porre in essere tale norma, ha voluto chiaramente evitare che l’avvenuta abrogazione di una disposizione penale, potesse recare al reo un nocumento sotto il profilo punitivo. Il merito alla nozione di “legge più favorevole”, poi, la giurisprudenza ormai consolidata (vedi cass. Sez. II 87/176654, Cass. Sez.V 81/148922, cass. Sez. I 94/ 196139) considera che la valutazione sulla maggiore o minore favorevolezza della disposizione sopravvenuta, debba essere fatta in concreto. Ciò implica che l’unico oggetto del raffronto fra la disposizione abrogata e quella preesistente deve essere il reato contestato e le sue circostanze, né tale raffronto può essere “influenzato da elementi estranei”. (cass. Sez. VI 90/185510).

Nel caso da Lei prospettatomi la giurisprudenza più consolidata ritiene che l’avvenuta abrogazione dell’art. 324 c.p. non comporti necessariamente che i fatti compiuti sotto l’impero di tale norma, debbano essere considerati non più punibili. Infatti la fattispecie di cui all’art. 324 citato risulterebbe assorbita in quella prevista dall’art. 323, comma 2 c.p., con la conseguenza che, nella successione delle due leggi penali, debba trovare applicazione la norma che prevede una minore pena detentiva, ai sensi dell’art. 2 comma 3 c.p. (cass. Sez. VI 90/187611, cass. Sez. VII 90/186401). Difatti la Corte di Cassazione ha ben chiarito che “l’esercizio illegittimo di un pubblico potere al fin di procurarsi un vantaggio ingiusto può integrare gli estremi sia dei delitti di abuso di ufficio, di cui all’art. 323 citato, sia di interesse privato in atti di ufficio, di cui all’art. 324 c.p.” (cass. Ss.uu. 90/185020).

Secondo l’orientamento di detta Corte, infatti, sussiste pienamente un nesso di continuità ed omogeneità tra le previsioni di cui all’art.323 c.p., nella sua nuova formulazione, e quanto invece previsto dall’abrogato art. 324 c.p., tale da giustificare l’applicazione dell’art. 2 c.p. (cass. Sez. I 93/194206, Cass. Sez. IV 92/190702).
Pertanto, secondo l’orientamento sopra citato, sembra probabile che l’abrogazione dell’art. 324 c.p. non comporti la non punibilità dei fatti compiuti sotto l’impero di tale norma.
Ne consegue, in applicazione dell’art. 2 comma 3 c.p., che verrà applicata la pena di cui all’art. 324 c.p., in quanto prevede una pena inferiore nel minimo, rispetto a quanto previsto dall’’rt. 323 comma 2 c.p.

Ritengo, infine, utile segnalarLe la presenza di una, seppur minoritaria, giurisprudenza che nega la sussistenza di successione fra l’art. 324 c.p. abrogato e il nuovo art. 323 c.p., stante la differenza, sia sotto l’aspetto soggettivo, che sotto l’aspetto dell’attività posta in essere dal reo, delle due fattispecie previste.
L’abuso, secondo tale orientamento, corrisponderebbe sempre ad una “mala gestio” dei poteri del pubblico ufficiale. La presa di interesse in un atto del proprio ufficio, al contrario, sarebbe inserita in un’attività “inerente ai poteri del pubblico ufficiale”, sebbene “viziata da una illecita cointeressenza”. (Trib. Treviso 22/3/91, Trib. Genova 13/6/90).

Secondo tale orientamento, quindi, ai sensi dell’art. 2 comma 2 c.p., la fattispecie da Lei descritta non costituirebbe più reato. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, poi, non sussisterebbe identità fra le fattispecie descritte dagli articoli in questione, posto che l’art. 323 citato richiede la presenza di un dolo specifico, laddove l’art. 324 c.p. abrogato quello di un dolo generico.
Ritengo, tuttavia, che la sostenibilità di tale tesi, in corso di giudizio, debba fondarsi su riscontri probatori più precisi che la semplice assunzione di mancanza di “mala gestio” sulla base del fatto di aver disposto l’assunzione dell’immobile in oggetto al patrimonio comunale al valore di mercato, accertato da apposita perizia.

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