Paure e difficoltà dei nuovi insegnanti di ruolo
La Fondazione Agnelli ha condotto una ricerca tra gli insegnanti che hanno ottenuto una cattedra dallo scorso anno scolastico: non saper gestire una classe multietnica e non essere al passo con i tempi sono alcune delle paure principali dei docenti
La Fondazione Agnelli ha condotto un'indagine tra gli insegnanti che dallo scorso anno scolastico sono diventati docenti di ruolo, dopo anni di precariato, per capire come affrontano il loro lavoro e come gestiscono il rapporto con gli studenti. La ricerca è stata svolta in 8 regioni d'Italia (Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia, Lombardia, Veneto, Liguria, Marche e Campania) ed ha coinvolto 15.071 docenti, che si sono messi a disposizione per esprimere il loro punto di vista. Un successo, soprattutto calcolando che negli scorsi anni indagini di questo genere avevano coinvolto in media solo 5.000 docenti. Gli insegnanti neo-assunti hanno risposto ad un questionario con 223 domande.
I docenti coinvolti nella ricerca lavorano in tutti i gradi della scuola, dalla materna alle superiori. E dai risultati risulta che sono molti gli insegnanti che hanno paura di insegnare e di non saper gestire la classe, soprattutto per la presenza sempre più numerosa di studenti stranieri. Un altro problema che affligge i nuovi insegnanti italiani è il rapporto, spesso difficile, con le famiglie degli studenti. Tra i professori delle scuole superiori che hanno partecipato all'indagine, il 63% dichiara di avere problemi nel gestire la multiculturalità in classe, il 55% non riesce ad interagire come vorrebbe con i genitori ed il 48% trova difficoltà a lavorare in équipe.
In linea di massima le principali paure e/o difficoltà degli insegnanti di oggi sono:
- non saper insegnare in classi diversificate e pluriculturali;
- non saper utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione
- non riuscire a lavorare e pianificare il lavoro con gli altri insegnanti;
- non essere in grado di valutare l'apprendimento degli alunni.
Stefano Molina, uno dei responsabili della Fondazione e della ricerca, si ritiene soddisfatto dell'alto numero di docenti che hanno accettato di partecipare all'indagine: "Aver superato i 15.000 questionari compilati significa di gran lunga ottenere la più ampia analisi sugli insegnanti mai realizzata in Italia. In questi anni di vacche magre, di assunzioni a tempo indeterminato se ne sentono poche. Qui, invece, parliamo di 50.000 ingressi in ruolo nel 2008, 25 mila nel 2009: stiamo parlando del più grande fenomeno italiano di immissione a tempo indeterminato nel mondo del lavoro. E il paradosso è che finora non si sapeva bene chi fossero, queste persone: il meccanismo di reclutamento è un po’ opaco, lo stesso ministero ne conosce la classe di abilitazione, non i titoli di studio".
Tra i dati della ricerca risulta inoltre che il 40,7% dei docenti diventati "di ruolo" non hanno una laurea. C'è da dire comunque che avviene soprattutto per le scuole materne ed elementari, dove la percentuale degli insegnanti senza laurea è rispettivamente del 75,6% e del 66,9%. Nelle scuole medie la percentuale scente all'8% e nelle scuole superiori al 6,9%. Per Molina questi dati si possono spiegare facilmente con il fatto che "si sta raschiando il fondo del barile delle graduatorie. I neoassunti arrivano, per la metà, dalle graduatorie di concorso: ma l’ultimo è del 1999, e queste sono persone che si trovavano in una posizione così bassa da vedersi passare davanti, negli anni, moltissimi altri colleghi. L’altra metà, invece, viene dalle graduatorie ad esaurimento, in questo momento chiuse: supplenti che hanno avuto l’abilitazione in stagioni diverse, con regolamenti diversi". Questo però non deve far pensare che gli insegnanti siamo meno qualificati, in quanto, sempre secondo Molina, si tratta di "professionisti che in media hanno superato i 40 anni di età, di cui quasi 11 di precariato. E se i titoli non sono sempre brillantissimi, hanno una buona esperienza e un’anzianità di servizio che sopperiscono in parte alla formazione iniziale inadeguata".
Il lavoro dell'insegnante, comunque, risulta essere un'occupazione che ancora attrae, come sostiene Laura Gianferrari, dirigente dell’Ufficio scolastico regionale per l’Emilia-Romagna e altra coordinatrice della ricerca: "Nel corso degli anni abbiamo avuto la sorpresa di trovare sempre più la rappresentazione di un lavoro che ha un’attrattività forte, che dà soddisfazione agli insegnanti. Nonostante alcuni aspetti ben noti: la retribuzione bassa, il riconoscimento sociale che non viene avvertito, gli anni di precariato". L’80% degli insegnanti dichiara di aver scelto questa professione "per passione" ed il 95% è certo che sarebbe pronto a rifare la stessa scelta. Cosa li rende così sicuri? Per il 93% l'importanza di lavorare con i ragazzi; per l'89% l’interesse per la disciplina e per l'84% la consapevolezza della propria utilità sociale. Certo, se si parla di retribuzione, la soddisfazione diminuisce drasticamente: solo l'11,7% pensa che il livello retributivo sia soddisfacente.
Il 49% dei docenti ritiene però di non avere una conoscenza adeguata delle nuove tecnologie (come anche risulta dallo studio compiuto dall'Edu-Tech sul rapporto tra professori e tecnologia). E questo è un altro motivo che fa sentire i docenti inadeguati, soprattutto "nel rapporto con gli allievi". Secondo Andrea Gavosto, economista e direttore della Fondazione Agnelli, "l’impressione è che forse per la prima volta gli insegnanti italiani inizino a sentirsi fortemente inadeguati: c’è la percezione di un divario generazionale, tecnologico, di vita e di apprendimento, e loro non sentono di avere tutti gli strumenti per affrontarlo. Il punto è che il meccanismo di formazione produce una tipologia di insegnante sempre uguale a se stessa, che però inizia a rendersi conto di non essere più quello che serve ai ragazzi di oggi".
In conclusione, secondo Gavosto, "più che annunciare tante riforme, l’obiettivo per il Paese dovrebbe essere investire in una scuola di qualità. Sulla formazione iniziale, ad esempio: la bozza di regolamento del ministero punta molto su una preparazione di tipo disciplinare, mentre quella pedagogica è ritenuta sovradimensionata. Bene, gli insegnanti ci stanno dicendo esattamente l’opposto".