Opere di Teocrito: i personaggi degli Idilli

Teocrito, opere: le caratteristiche dei personaggi di alcuni Idilli teocritei (Il Ciclope, Le siracusane, l'Incantatrice) e di altri componimenti del poeta

Opere di Teocrito: i personaggi degli Idilli
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IL CICLOPE, TEOCRITO

Un ciclope della mitologia greca
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Galatea fa risvegliare nella mente del Ciclope, l'idea di un mondo ideale costituito da immagini di bianco latte, di morbidi agnelli, di dolci frutti; emerge, in questo modo, il contrasto fra la materialità degli oggetti e la natura gentile della ninfa. In questo idillio, dunque, vengono messe in evidenza le enormi differenze esistenti tra i mondi dei due personaggi innamorati: alla rozzezza di Polifemo si contrappone la delicatezza di Galatea, alla mostruosità e alla materialità del Ciclope si oppongono la gentilezza e la bellezza della ninfa. Inoltre, nello stesso Polifemo, si mescolano elementi contrastanti: alla rozzezza del Ciclope si contrappongono i suoi progetti gentili e le sue svenevolezze, che raggiungono il culmine nel desiderio di baciare la mano della donna amata e di regalarle un mazzo di bucaneve e di papaveri rossi.

TEOCRITO: INCANTATRICE

L'amore non corrisposto, disperato e passionale, costituisce la tematica di un altro idillio, intitolato Incantatrice. Questo idillio, che è considerato più precisamente un mimo, si divide nettamente in due parti; nella prima parte, la protagonista, Simeta, una povera donna sedotta e abbandonata, aiutata dalla sua schiava Testili, prepara un incantesimo per far tornare da lei l'amato Delfi, un atleta vanesio. Il rito magico consiste nel bruciare prima l'orzo, poi l'alloro, la cera, la crusca e infine nel far girare una ruota, dalla quale un uccello legato sopra emette grida di richiamo amoroso; mentre i vari elementi vengono gettati nel fuoco, Simeta pronuncia parole di odio e di amore nei confronti di Delfi, il cui ritorno è invocato nel ritornello continuamente ripetuto durante il movimento della ruota; nella seconda parte, Simeta, rimasta sola dopo aver terminato il rito magico, confida a Selene la storia del suo amore per Delfi e ne piange la fine. La seconda parte di questo mimo è completamente incentrata sulla confessione dell'amore di Simeta tradita dal giovane Delfi.

La vicenda è rievocata in maniera retrospettiva dalla fanciulla, durante un'azione mimica di incantesimo; un nesso significativo esistente fra il presente e il passato, è la presenza immutabile di Selene. Simeta racconta la sua storia con la lucidità e l'esattezza tipiche della memoria di una donna innamorata, ma anche con un profondo turbamento che coinvolge il cuore e i sensi; questi sintomi del desiderio amoroso, già presenti nei componimenti di Saffo, vengono ripresi in questo idillio teocriteo. Il personaggio di Delfi, descritto come un giovane bello, vanitoso, spavaldo, fiero delle sue doti, galante, compare indirettamente in questo mimo, in quanto è presentato soltanto attraverso le parole di Simeta, il cui sentimento amoroso è dichiarato esplicitamente senza ritegno e senza inibizioni. Quando il racconto di Simeta giunge al tradimento di Delfi, il mimo assume una struttura circolare e si torna a parlare dei filtri magici.

La storia d'amore di Simeta è analoga a quelle del mietitore Buceo e del Ciclope Polifemo, ma, nonostante le evidenti similitudini, ci sono anche delle differenze; infatti, il lieve sorriso che caratterizza la figura del mietitore e l'ironia e il distacco etico ed estetico che avvolgono l'amore del mostruoso Ciclope, sono elementi che non compaiono affatto nell'Incantatrice.

Teocrito sembra immedesimarsi nel dramma di Simeta con serietà e sincerità, facendosi coinvolgere completamente nella passione amorosa della donna, la quale viene rappresentata in maniera umana e realistica. Simeta è una donna di origini umili e modeste, senza cultura e senza grandi mezzi; questa fanciulla, che considera l'amore come l'unica ragione della sua vita e l'unico segno del suo destino, è molto più umile e più semplice delle superbe amanti dell'epopea e della tragedia. Simeta, descritta come un personaggio triste e affranto dalle sue sofferenze amorose, è diventata una delle più indimenticabili figure di donna amante, che appare fragile nella sua solitudine e ostinata nella sua passione. In questo mimo, Teocrito ha tralasciato gli elementi mitologici ed eruditi ed ha preferito ispirarsi agli stilemi di Saffo, dimostrando, così, la sua ammirazione per la poetessa di Lesbo.

LE SIRACUSANE DI TEOCRITO: ANALISI

L'Incantatrice fa parte dei mimi rusticani, così denominati perché hanno come sfondo il mondo contadino e campestre; oltre ai mimi rusticani, Teocrito ha composto anche quelli urbani, che sono ambientati in città. La vivacità, la spontaneità e la freschezza che caratterizzano i mimi rusticani, si riscontrano anche in quelli urbani, fra cui spicca indubbiamente il mimo intitolato Siracusane.

Mentre nell'Incantatrice, la città, la cui descrizione è appena abbozzata durante la narrazione del fatale innamoramento di Simeta e durante il racconto dell'uscita di Delfi dalla palestra, appare come un elemento secondario e passa quasi inosservata di fronte alla preparazione del rito magico e al disperato amore della fanciulla, nelle Siracusane, invece, il mondo frenetico e variegato della grande metropoli, filtrato attraverso gli occhi curiosi e i pettegolezzi di due donne del popolo, diventa il protagonista indiscusso.

L'azione di questo mimo si svolge in tre scene ad Alessandria, dove vivono Gorgo e Prassinoe, due donne originarie di Siracusa.
La prima scena ritrae le due donne che, riunite in casa di Prassinoe, lavano i panni per i rispettivi mariti; la seconda scena è caratterizzata dai commenti delle due donne e dagli incontri che esse fanno mentre si recano al palazzo del re per la festa di Adone; la terza scena presenta Gorgo e Prassinoe che, giunte nella reggia, manifestano il loro stupore di fronte agli arazzi, all'oro e al bel volto di Adone; esse tacciono solo quando inizia l'inno della cantatrice.

Teocrito descrive dettagliatamente i luoghi in cui si svolge l'azione di questo mimo; la casa di Prassinoe è definita come un "buco" arredato con poche e semplici cose, situato lontano dal centro della città, per lo stravagante desiderio del marito di tenere la moglie lontana dall'amica; la città di Alessandria è caratterizzata dal caotico movimento tipico di una grande metropoli durante un giorno di festa, con la folla che si accalca lungo le strade e davanti alla reggia, con le quadrighe che ostacolano il passaggio della gente, i cavalli che si impennano e le persone che si spintonano a vicenda.

Teocrito focalizza l'attenzione anche sui personaggi, che, pur essendo anonimi e privi di una rilevanza sociale, hanno ciascuno una propria individualità, come il piccolo Zoprino, che è descritto mentre spalanca gli occhi pieni di rancore nei confronti della madre che parla male del padre, o la vecchietta che si esprime come un oracolo, o l'uomo che zittisce le due donne siracusane, punzecchiandole per il loro modo di parlare.

Gorgo e Prassinoe assumono il ruolo di protagoniste e le loro descrizioni sono caratterizzate da un maggior numero di particolari, che sono al tempo stesso, realistici e pittoreschi e ricordano, quindi, i soggetti tipici della contemporanea scultura ellenistica; Gorgo è più positiva e più accorta, Prassinoe, invece, è più pettegola, borghese, linguacciuta, impetuosa e fremente. L'importanza di questi due personaggi femminili, però, non è solo artistica; infatti, le due donne siracusane simboleggiano un nuovo stile di vita, ossia lo stile borghese, che mira, da un lato a creare un maggiore decoro esteriore, e dall'altro, a recuperare i valori intimisti. Per quanto riguarda quest'ambito, i progressi più importanti sono stati compiuti dalla donna, che, tralasciando la secolare tradizione del tessere e del filare, si dedica a svariati interessi: l'educazione dei figli, la propria istruzione spirituale, la frequentazione delle amiche, la partecipazione, in modo sempre più autonomo, alle feste pubbliche, la cura del corpo e l'eleganza dei vestiti.

I nuovi orizzonti che caratterizzano la vita borghese tipica dell'età ellenistica, sono piuttosto angusti; infatti, l'irrefrenabile cicaleccio e i pettegolezzi di Gorgo e di Prassinoe, configurano una realtà fatta di frivolezze, e i discorsi delle due donne sciocchine e superficiali, riguardano piccoli problemi, come l'abbigliamento e il trucco, la tirchieria dei mariti, il timore nei confronti dei mariti, le cure verso la famiglia, il problema delle donne di servizio, definite sbandate e incapaci, l'interesse per la moda e per i prezzi degli abiti, la paura della folla, l'eccessiva curiosità, lo stupore per lo sfarzo, per la ricchezza e per l'arte.

Si tratta di orizzonti ormai estranei alla vita della polis; la partecipazione alle grandi festività è vissuta più in maniera individualistica ed evasiva che comunitaria; il consenso dato all'ordine pubblico ristabilito ha come scopo la salvaguardia dei propri interessi e delle proprie comodità piuttosto che la difesa della giustizia e dello stato. Teocrito approva le battute delle due donne siracusane: dietro l'elogio di Tolomeo che ha eliminato i bricconi e i lestofanti, della regina Arsinoe, della quale si dice che è bella come Elena, e della reggia, splendente di oro e di argento, non c'è soltanto lo stupore di Gorgo e di Prassinoe, ma anche la cortigianeria del poeta nei confronti dei potenti regnanti. Un caratteristica fondamentale di questo mimo è costituita dall'uso del linguaggio popolare che rende il componimento più realistico.

TEOCRITO: OPERE

Altri esempi di cortigianeria sono presenti nei cosiddetti "carmi adulatori", fra cui i più importanti sono: Grazie o Ierone, La rocca, che è un componimento di occasione, ed Epitalamio di Elena. Un componimento teocriteo importante per l'uso del linguaggio poetico è l'inno intitolato Dioscuri, nel quale vengono trattate due tematiche epiche: il pugilato fra Polluce e Amico, e il duello fra Castore e Linceo. L'epillio intitolato Eracle, sebbene molti studiosi l'abbiano attribuito a Teocrito, è considerato spurio dalla critica moderna. L'Ercolino, che risulta scadente nella seconda parte, è bellissimo nella prima, sia per la presenza di alcuni elementi di intimità, sia per le descrizioni ambientali: è spettacolare l'effetto contrastante fra la luminosità accecante e la tenebra che avvolge il prodigio del piccolo Eracle, mentre strozza i serpenti.

Fra i poemetti mitologici, un piccolo capolavoro è considerato l'Ila, in cui Eracle che cerca affannosamente il fanciullo amato è paragonato alla figura di Orlando, anch'egli pazzo d'amore.

L'idillio intitolato Tirsi è incentrato sulla morte di Dafni, che viene ricordata con un canto amebeo intonato da due pastori; il premio del canto è una coppa d'oro decorata e descritta minuziosamente. La canzone riguardante la morte di Dafni occupa quasi tutto l'idillio; Dafni non vuole cedere all'amore e resiste alla vendetta di Afrodite che gli brucia il cuore con una febbre implacabile. Allora, Dafni, come impietrito, lancia battute sarcastiche nei confronti della dea e dice addio al mondo, in modo patetico. La figura e la vicenda e la vicenda di Dafni restano vaghe, per contribuire a creare una sorta di idealizzazione; inoltre, le ombre e i silenzi contribuiscono a creare un alone di mistero.
La frequente presenza di elementi amorosi negli idilli di Teocrito, ha fatto pensare che l'ispirazione erotica sia il fulcro della sua anima e della sua poesia. Continua a leggere sulle opere di Teocrito: Idilli e poesia bucolica

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