Opere di Isocrate: Nicocle, A Nicocle, Evagora, Areopagitico, Filippo e Panatenaico
Descrizione di alcune opere epidittiche di Isocrate: Nicocle, A Nicocle, Evagora, Areopagitico, Filippo e Panatenaico
OPERE DI ISOCRATE: "NICOCLE" E "A NICOCLE"
Isocrate, esaltando Nicocle, si rivolge a tutti i monarchi e i tiranni della Grecia e li esorta a imitare il sovrano da lui elogiato; ma il tessalo Giasone di Fere, un uomo molto ambizioso fu ucciso da una congiura, Dionisio di Siracusa morì poco dopo l'appello dell'oratore, e Archidamo di Sparta non volle tentare l'impresa dell'unificazione ellenica. All'inizio del Nicocle, compare un vero e proprio inno al logos che presenta gli elementi tipici di Gorgia: gli artifici retorici, il chiasmo, la parechesi, l'antitesi e la rima.
Il discorso A Nicocle presenta una serie di esortazioni indirizzate al figlio del regnante di Salamina e Isocrate precisa quali sono le condizioni in cui il potere assoluto non solo avrebbe ottenuto la supremazia sulle altre forme di governo legittime, ma sarebbe diventato anche la forma di governo ideale. Inoltre, l'oratore definisce molte caratteristiche che sarebbero diventate tipiche del monarca ellenistico: la filantropia, la moderazione e la giustizia; invece, altri elementi, come la gestione del potere affidata ai rappresentanti delle classi più elevate, evidenziano il suo conservatorismo.
OPERE DI ISOCRATE: "EVAGORA" E "AREOPAGITICO"
L'Evagora è un elogio funebre del re dell'isola di Cipro, di cui l'oratore esalta le qualità e il modo di governare. La guerra sociale, scoppiata nel 357 a. C., diede a Isocrate l'occasione per comporre una vivace requisitoria contro l'imperialismo ateniese e il suo dispotismo: si tratta dell'Areopagitico, in cui sono affrontati anche problemi di politica interna ed è prospettata la necessità di una restaurazione morale. Da questa orazione, emerge che Isocrate preferisce la democrazia al conservatorismo oligarchico. Secondo lui, però, non è accettabile qualsiasi democrazia, ma solo quelle "ben costituite", rette "secondo giustizia" e "secondo ragione"; il modello di democrazia proposto da Isocrate risale a un passato molto lontano, ossia ai tempi di Solone, che l'oratore ricorda in maniera nostalgica.
In questo discorso, Isocrate si scaglia contro i demagoghi, definendoli "apprendisti stregoni del momento", "incantatori della folla, ma fonte di guai", e lamentandosi degli insuccessi sofferti a causa loro, del continuo peggioramento della situazione e dei timori crescenti. Isocrate vorrebbe ripristinare la democrazia che istituì Solone, in quanto durante il governo di quest'ultimo, la libertà di parola e l'uguaglianza di fronte alla legge erano garantite a tutti i cittadini, il popolo affidava tranquillamente gli incarichi pubblichi ai cittadini ricchi, poiché, essi, non avendo difficoltà finanziarie, potevano sia disporre di tempo libero che prestare gratuitamente la loro opera; inoltre, la scelta di chi doveva esercitare gli uffici pubblici non era condizionata dalle pressioni dei partiti, e quindi venivano eletti effettivamente coloro che erano più capaci e meritevoli; tra i ricchi e i poveri non c'erano quelle discordie che avrebbero potuto provocare una crisi sociale e politica; i poveri favorivano l'accumulo di beni dei ricchi e questi ultimi si mostravano generosi nei confronti dei poveri.
Il modello politico e costituzionale di cui parla Isocrate i questa orazione, risulta funzionale ai ceti ricchi e conservatori dell'epoca, in quanto corrisponde ai loro programmi a alle loro aspettative. Il ripristino dell'autorità dell'Areopago, l'istituzione da cui deriva il titolo del discorso, è considerato come lo strumento basilare per risanare la degradazione della polis; però, l'Areopago è anche la roccaforte della conservazione e quindi, se si rafforza, provoca un rafforzamento delle classi più elevate.
Inoltre, il ricordo dell'epoca di Solone può essere considerato come una variante dell'invito a ritornare alla "costituzione dei padri", che aveva ottenuto grande importanza durante la guerra del Peloponneso; il richiamo alla democrazia di Solone rappresenta l'ideale della costituzione di Teramene e dei moderati, i quali si oppongono agli eccessi della democrazia. Isocrate non parla direttamente della costituzione di Teramene e degli errori commessi dal partito democratico, per non nominare il terribile periodo dei Trenta tiranni. Dunque, la democrazia desiderata da Isocrate sembra favorire solo il ristretto ceto dei possidenti, ma le contraddizioni che emergono da quest'orazione, trovano una spiegazione, se si considera che Isocrate denomina "oligarchie" soltanto le tirannidi e, in particolare, la tirannide dei Trenta; tutti gli altri ordinamenti politici, secondo lui, facevano parte delle democrazie.
ISOCRATE: "FILIPPO"
Al 346 a. C. risale il Filippo, un'opera che si configura come una vera e propria lettera al sovrano macedone. Isocrate che aveva sempre desiderato la concordia e l'unione fra tutti i Greci e aveva sostenuto la necessità di una spedizione militare contro la Persia, sotto la guida di Atene, per realizzare il suo sogno, si rivolge, in quest'opera, a Filippo di Macedonia, da lui considerato come l'unico capace di garantire, mediante la sua politica espansionistica, l'unificazione fra tutti i Greci. Isocrate non sperava che le città greche fossero governate da un regime monarchico, ma intendeva proporre a Filippo di diventare il "benefattore" dei Greci e di liberare gli altri popoli dal dispotismo barbarico. Le richieste dell'oratore, però, non furono ascoltate, anche perché, nella nuova realtà storica, non avrebbero potuto trovare attuazione. Isocrate, però, aveva ragione nel sostenere che, per contrastare la potenza dei nuovi regni, era indispensabile la concordia nazionale fra tutte le poleis della Grecia, ma quest'ultima non riusciva realizzarla da sé; quindi, il particolarismo che aveva rappresentato per molti secoli la grandezza delle poleis, ne costituiva ora la rovina.
PANATENAICO DI ISOCRATE
L'ultimo discorso composto da Isocrate risale al 339 a. C. e si tratta del Panatenaico. In quest'opera, l'oratore non menziona Filippo, ma parla soprattutto del proseguimento della lotta antimacedone, in seguito alla diffusione delle idee di Demostene. Poiché la realtà era segnata dal divampare della guerra, Isocrate si rifugia in un contemplativo vagheggiamento del passato e delle sue glorie; ad esempio, egli menziona Agamennone, il re greco che ha annientato la potenza dell'Asia.
In questa orazione, è presente il sogno panellenico di Isocrate, ma in maniera nostalgica. Lo stile di Isocrate è molto ricco di artifici retorici e di chiasmi; è uno stile ammirabile ed elegante, ma talvolta esasperante. Isocrate ricorre spesso all'uso dei sinonimi per sottolineare le sfumature del discorso, e cerca sempre di generare un'armonia strutturale e ritmica da cui derivano le complesse articolazioni dei periodi. Sono inoltre frequenti nelle orazioni isocratee, gli iati, le euritmie delle successioni prosodiche e la sobria e calcolata misura delle clausole. Leggendo le orazioni isocratee, si rimpiangerà sempre la linearità discorsiva di Erodoto, l'irregolarità dello stile tucidideo e la grazia dei discorsi di Lisia.
Opere di Isocrate: Contro i sofisti, Antidosi e Panegirico