O falce di luna calante: testo, analisi, parafrasi e figure retoriche della poesia di D'Annunzio

Testo, analisi, parafrasi e figure retoriche del poema O falce di luna calante, componimento scritto da Gabriele D'Annunzio nel 1882 fra le liriche notturne e appartenente alla raccolta Canto novo.
O falce di luna calante: testo, analisi, parafrasi e figure retoriche della poesia di D'Annunzio
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1Introduzione

Gabriele D'Annunzio
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La luna, l’astro più caro ai poeti, moglie o sorella del sole, personificazione di Iside, notturna lampada.

È onnipresente in canzoni, in poesie, in racconti (Ciaula scopre la luna di Pirandello), in quadri (Van Gogh), fotografie, cartoline.   

A proposito di poesie, quante volte l’abbiamo incontrata nelle poesie di Leopardi tutte permeate dalla sua luce diafana e dolce. Pensate alle poesie: “Alla luna”, “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”; “Le rimembranze”; “La sera del dì di festa”; “Il tramonto della luna”… e altre ancora.   

Quante volte i musicisti hanno musicato il “Chiaro di luna”, dalla sonata op. 27 n. 2 di Beethoven ai notturni di Chopin, al “Clair de lune” di Debussy. La luna è da sempre parte fondante del nostro immaginario.

Qui la vediamo mentre brilla sul mare. In questi dodici versi della poesia di D’Annunzio sembra esserci qualcosa di nuovo. 

La visione dell’astro non scaturisce una riflessione, ma genera un senso di stanchezza che si risolve in una languida suggestione musicale.

La grande ricchezza del vocabolario di D’Annunzio permette, di creare diverse sfumature di significato (aneliti, sospiri, esalano, oppresso) come in un testo nascosto in filigrana.    

In questo modo l’atmosfera semantica del testo vibra incerta al chiarore fatale di questa luna. Ricordiamo che per D’Annunzio è importante riuscire a creare una suggestione del significante quasi capace di prescindere dal significato stesso.     

2O falce di luna calante: il metro

Metro: tre strofe di quattro versi, costituite ciascuna da due novenari e da due dodecasillabi, l'ultimo dei quali è sempre tronco.

3O falce di luna calante: testo

O falce di luna calante
che brilli su l’acque deserte,
o falce d’argento, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù! 

Aneliti brevi di foglie,
sospiri di fiori dal bosco
 

esalano al mare: non canto non grido
non suono pe ’l vasto silenzio va. 

Oppresso d’amor, di piacere,
il popol de’ vivi s’addorme
... 

O falce calante, qual mèsse di sogni
ondeggia al tuo mite chiarore qua giù! 

4O falce di luna calante: parafrasi

O falce calante della luna che splendi sulle deserte acque del mare, o falce d’argento, quale ricca messe di sogni ondeggia sulla terra al tuo dolce chiarore! Respiri leggeri di foglie, sospiri di fiori nel bosco esalano il loro profumo verso il mare: nel grande silenzio non c’è un canto, né un grido, né un suono. Saziati d'amore, di piacere, gli esseri viventi si abbandonano al sonno… O falce calante della luna, quale ricca messe di sogni ondeggia quaggiù sulla terra al tuo dolce chiarore!

5O falce di luna calante: analisi

La luna si trova in fase decrescente (v. 1, O falce di luna calante). Tutto intorno è silenzioso (vv. 7-8, non canto non grido / non suono pe ’l vasto silenzio va), quasi impercettibile è il fruscio delle foglie; nell’aria si avverte il profumo dei fiori (vv. 5-6, Aneliti brevi di foglie, / sospiri di fiori dal bosco).

La luna, nel suo ultimo quarto, è simile a una falce, pronta a “mietere” i tanti sogni (la messe) degli uomini che stanno dormendo profondamente, stanchi delle fatiche dell’amore e del piacere (vv. 9-10, Oppresso d’amor, di piacere, / il popol de’ vivi s’addorme…). 

Il componimento è breve, ma ben tornito e raffinato. È una cartolina, potremmo dire, niente di più: ma una bella cartolina.

D’Annunzio procede all’umanizzazione della natura, esaltandone la sensualità sfoggiando il lato languido e decadente della sua poesia

Le figure retoriche principali in questo breve componimento sono: 

  • l’anafora dei vv. 1, 3 e 11 (O falce…);
  • la metafora al v. 1, cioè la luna che si trova nella fase dell’ultimo quarto, che ha la forma di una falce, anche se si tratta però di una catacresi, ossia di una metafora non più percepita come tale;
  • il “mite chiarore” del v. 4 è una sinestesia, figura retorica tipica della poesia simbolista;
  • nei vv. 4-5 è rintracciabile la figura retorica della personificazione «Aneliti brevi di foglie, / sospiri di fiori dal bosco», dato che aneliti e sospiri sono tipici degli esseri umani;
  • si notano poi diverse allitterazioni al v. 1 e ai v. 5-9;
  • immancabili gli enjambement (vv. 3-4, 7-8, 11-12).

6La sensualità dannunziana nella poesia

Il poeta Gabriele d'Annunzio nel suo studio al Vittoriale degli Italiani
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Il critico Giuseppe Antonio Borgese afferma: «L'arte del D'Annunzio è un'avventura del nostro spirito, la più frusciante di sete, la più densa di profumi; di tutte la più sterile ed amara».

Borgese sottolinea le sensazioni che si provano nell’accostarsi alla lettura dannunziana, che però definisce sterile e amara. Tutta la critica è concorde nell’affermare che la poesia di D’Annunzio si concentra sull’esteriorità e non sull’interiorità

Questo avviene da subito, sin dalle sue prime prove letterarie: “Primo vere” e “Canto novo”, dove emerge il suo vitalismo, la sua sensualità, la ricerca di piacere prima che di senso esistenziale.

Quest’opera poetica accentua la natura sensuale dell'ispirazione dannunziana che esalta la gioia di vivere: il vitalismo

Il chiarore della luna soffonde ogni cosa e le piante, i fiori, in tale perfetto silenzio vibrano appena sotto il tenue chiarore della luna, muovendosi impercettibilmente.

Gli esseri viventi si abbandonano a un sonno dolce, inebriati dal piacere. La natura che brilla alla luce lunare diventa così una musica scritta nell’aria. 

7La raccolta: Canto novo e il modello carducciano

È il 1882. Un giovane Gabriele D’Annunzio compone la sua seconda opera: Canto novo, editore Sommaruga. La raccolta è dedicata alla prima amante ufficiale Elda Zucconi, detta Lalla.

Gabriele D'Annunzio esprime già col titolo una nuova forma di poetica, nata come ibrido dall'ode classica italiana (barbara) usata da Giosuè Carducci e dal desiderio irrefrenabile della gaiezza giovanile. Si tratta di testi "impressionistici" già pubblicati separatamente, arricchiti da illustrazioni dell'amico pittore Michetti.

Il modello carducciano è ripreso e superato perché, mentre Carducci tenta di ricreare la potenza letteraria italiana con riecheggi ai modelli classici, D'Annunzio non rinuncia a usare quello stile alto per descrivere la sua esperienza personale di giovane innamorato, narrando il suo amore per Lalla in un bozzetto abruzzese, ambientato sulla spiaggia selvaggia di Francavilla al Mare.

D'Annunzio e Mussolini in barca in una foto del 1925
Fonte: ansa

Nella versione del 1882 i libri sono 5 e seguono un percorso crescente di inizio avventura della coppia sulla spiaggia, fino allo sfiorire della passione. Le poesie della raccolta ricalcano le strofe saffiche, alcaiche, pindariche e anacreontici. 

Cosa che sarà tipicamente di D’Annunzio, compare la personificazione della natura, ora mare, ora vento, ora luna, ora terra, umanizzata con verbi come "parla", "ode". Si può intravedere lo stilema tipico delle liriche di Alcyone.

D’Annunzio ha in mente la natura abruzzese, in cui compie i primi passi verso quel panismo estetizzante tipico del periodo maturo. La sua amata è infatti paragonata a una ninfa marina o a una gazzella, riprendendo anche stilemi del mondo classico.

C’è anche una seconda versione di Canto novo pubblicata da Treves, del 1896. L’opera è strutturata in tre "Offerte votive" e due canti: Canto del Sole e Canto dell’Ospite.

8Il Futurismo di Marinetti contro la poesia dannunziana

Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944), fondatore del movimento futurista
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La bellezza della luna si presenta in una “falce d’argento” specchiata sul mare. I sogni vanno verso di lei, placidamente; gli amanti riposano, i loro cuori volano leggeri nel chiarore dell’astro d’argento.

Fermiamoci qui: è evidente quanto il sentimentalismo del chiaro di luna sia evidente. Due amanti su una terrazza, guardano la luna, si prendono per mano, si baciano appassionatamente.

Una scena vista in tantissimi film e famosa anche all’epoca in cui D’Annunzio scrisse questi versi (e anche prima). La luna, con i suoi chiari, è l’astro degli innamorati

Marinetti, teorico del futurismo, scrisse che bisognava abbandonare questi temi e bisognava altresì combattere la poesia dannunziana. Dice: 

«Bisogna ad ogni costo combattere Gabriele d'Annunzio, perché egli ha raffinato con tutto il suo ingegno, i quattro veleni intellettuali che noi vogliamo assolutamente abolire: 1º la poesia morbosa e nostalgica della distanza e del ricordo; 2º il sentimentalismo romantico grondante di chiaro di luna, che si eleva verso la Donna-Bellezza ideale e fatale; 3º l'ossessione della lussuria, col triangolo dell'adulterio, il pepe dell'incesto e il condimento del peccato cristiano; 4º la passione professorale del passato e la mania delle antichità e delle collezioni» (F. T. Marinetti, Noi rinneghiamo i nostri maestri simbolisti ultimi amanti della luna; pp. 53-sg.). 

D’Annunzio ha sempre creato discussione perché è stato una specie di «Cagliostro», un alchimista della nostra letteratura, capace di sperimentare qualunque stile in prosa e in poesia (ma anche nel teatro ed è stato tra i primi autori a collaborare con il nascente cinema).