Non recidere, forbice, quel volto: testo e commento al componimento di Eugenio Montale

Testo e commento alla poesia di Eugenio Montale "Non recidere, forbice, quel volto", uno dei componimenti più famosi della raccolta Occasioni. Commento a cura di Marco Nicastro.

Non recidere, forbice, quel volto: testo e commento al componimento di Eugenio Montale
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"NON RECIDERE, FORBICE, QUEL VOLTO": TESTO

Testo di uno dei componimenti più noti della raccolta Occasioni, all'interno della sezione Mottetti. La poesia fu composta da Montale nel 1937.


Non recidere, forbice, quel volto,
solo nella memoria che si sfolla,
non far del suo grande viso in ascolto
la mia nebbia di sempre.
Un freddo cala... Duro il colpo svetta.
E l’acacia ferita da sé scrolla
il guscio di cicala
nella prima belletta di Novembre.

"NON RECIDERE, FORBICE, QUEL VOLTO": COMMENTO

Questa è certamente una delle poesie più famose delle Occasioni. Ha una struttura classica formata da 6 endecasillabi (di cui uno, il v. 3, con accentazione non canonica) e due settenari, impreziositi da alcune rime (una esterna che collega vv. 1 e 3; e due interne, cioè con richiami dentro ai versi: cala-cicala, svetta-belletta), ad attestare la perenne attenzione di Montale per la forma.
Il testo si gioca su alcune immagini potenti, tutte legate al tema della perdita, del passare del tempo, della morte.

  1. La prima è quella di una forbice che taglia i ricordi delle persone più care («quel volto») inaridendo la mente e rigettandola nella confusione («la mia nebbia di sempre»). Da notare che l'immagine della forbice richiama l'attività di una delle Moire, Atropo, deputata a tagliare il filo della vita di ogni persona decretandone la fine.
  2. Un'altra immagine che richiama la morte si trova all'inizio della seconda strofa: «un freddo cala... Duro il colpo svetta». Si tratta anche qui di un'immagine tagliente: prima il freddo (si dice “freddare” per “uccidere”, così come si dice che il freddo è “tagliente”) e poi l'ascia che colpisce il tronco di un albero, lo ferisce e lo scuote, facendo cadere l'esoscheletro di una cicala nel fango di novembre (belletta, che sta per fango, è un termine aulico di derivazione dantesca). La cicala, come si sa, perde l'esoscheletro quando arriva a maturazione, e quindi l'immagine della sua caduta nel fango riecheggia sia la morte, essendo l'esoscheletro una parte ormai morta del corpo della cicala, sia della perdita dell'infanzia e della sua leggerezza, che con il raggiungimento della maturità cade definitivamente nel fango della vita adulta. Del resto, i richiami all'infanzia sono ben presenti nell'opera di Montale: basti pensare alla poesia più esplicita in tal senso, Fine dell'infanzia, contenuta in Ossi di seppia, in cui quel periodo della vita è definito «l'età verginale/in cui le nubi non son cifre o sigle / ma le belle sorelle che si guardano viaggiare».
  3. Rimanda infine alla morte anche il nome finale Novembre, che è per eccellenza, nella nostra tradizione religiosa, il mese in cui si commemorano i defunti. La poesia si conclude dunque con l'accenno al mese della rievocazione dei defunti, che porta il loro ricordo lieto e doloroso insieme, così come il poeta rievocava nei primi versi l'immagine della donna amata, lieta e dolorosa insieme a causa della distanza che da lei lo separava.
    La conclusione riprende quindi l'inizio della poesia ed è quindi simmetrica. Si tratta di accorgimenti formali-strutturali coi quali Montale ingabbia e gestisce, ma al contempo staglia più perfettamente, i suoi drammatici vissuti interiori.

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