Non-fiction: caratteristiche e storia del genere letterario
Indice
1Non-fiction: cos’è e quali sono le sue caratteristiche
Non sempre le storie sono frutto di un’opera di immaginazione. È il caso, ad esempio, della non-fiction: si tratta di un genere letterario a cui è difficile dare una definizione ben precisa. I racconti o i romanzi appartenenti a esso, infatti, non possiedono le caratteristiche di invenzione che solitamente queste forme letterarie hanno, ma non possono neanche essere considerati delle opere di giornalismo o di pura saggistica.
Si tratta, invece, di narrazioni in cui il punto di partenza è dato da un fatto realmente accaduto, spesso un racconto di cronaca, come un omicidio, oppure un avvenimento di risonanza mondiale, come una catastrofe naturale. Su di esso, l’autore costruisce una narrazione, in cui inserisce anche quegli aspetti più romanzeschi che rendono la lettura più avvincente e piacevole, senza però alterare la veridicità dei fatti.
La non-fiction, quindi, costruisce un ponte tra due mondi che sembrano, per propria vocazione, essere inconciliabili: quello della letteratura e quello del giornalismo. Un’opera letteraria è eterna, basata sulla finzione, presenta un fine artistico; un articolo di giornale ha una data di scrittura e – di conseguenza – di scadenza, riporta un fatto reale e ha il compito di informare il lettore.
Nella non-fiction, le diverse vocazioni di questi due mondi trovano un loro punto di incontro, dando vita a opere che informano e al contempo meravigliano. Appartengono al genere della non-fiction dei testi di varia natura, come autobiografie, diari, racconti storici, inchieste giornalistiche, reportage narrativi.
2Non-fiction: storia del genere
2.1Alle origini della non-fiction
La non-fiction è un genere di nascita relativamente recente, ma che affonda le sue radici nell’Età moderna e, in particolare, nel Settecento. È infatti nel secolo dell’Illuminismo che gli scrittori, specialmente in Inghilterra, iniziarono a scrivere anche per i giornali, diventandone spesso fondatori o direttori. Proprio in questa duplice vocazione, quella di scrittore e quella di giornalista, possiamo rinvenire le origini di questo genere dalla natura fortemente ibrida.
Ne furono degli esempi autorevoli l’irlandese Jonathan Swift (1667-1745) e l’inglese Daniel Defoe (1660-1731), entrambi sia scrittori di opere letterarie – i loro capolavori furono rispettivamente I viaggi di Gulliver e Robinson Crusoe – che giornalisti.
Una dicotomia professionale, quella dello scrittore-giornalista, che non mancò di riproporsi anche nei secoli successivi. Come non ricordare, ad esempio, l’inglese Charles Dickens (1812-1870) e i francesi Honoré de Balzac (1799-1850) ed Émile Zola (1840-1902), che non solo sono stati sia giornalisti che scrittori, ma che hanno portato la componente realistica all’interno delle loro opere letterarie, facendone la propria cifra distintiva.
Quando ci riferiamo a questi autori, tuttavia, non possiamo ancora parlare di non-fiction: al centro della loro produzione letteraria c’è sì il realismo, ma sotto forma di verosimiglianza e non di narrazione di fatti realmente accaduti. Quella verosimiglianza che appartenne anche ad alcuni dei più importanti autori di prosa italiana vissuti tra l’Ottocento e il Novecento, come Alessandro Manzoni (1785-1823), Ippolito Nievo (1831-1861) e Giovanni Verga (1840-1922).
2.2La genesi della non-fiction: Truman Capote
Nonostante questa duplice passione per il giornalismo e per la scrittura creativa attraversi la storia della letteratura fin dal Settecento, l’origine della non-fiction può essere datata negli anni Sessanta del Novecento.
In particolare, l’opera fondativa di questo genere è unanimemente identificata in A sangue freddo di Truman Capote, del 1966. Fu proprio l’autore statunitense, nato nel 1924 a New Orleans e morto sessant’anni dopo, nel 1984, a Bel Air, a coniare l’espressione non-fiction novel per parlare del suo romanzo. Per capire pienamente le caratteristiche, e il fascino, di questo genere, può essere quindi utile ripercorrere la genesi e la storia editoriale di questo romanzo.
La mattina del 16 novembre del 1959, Truman Capote aprì il «New York Times» e vi lesse una notizia di cronaca nera. A Holcomb, una cittadina della provincia americana del Kansas, era stata uccisa una famiglia di agricoltori benestanti: Herbert Clutter, padre di famiglia, sua moglie Bonnie, e due dei loro quattro figli, Nancy e Kenyon. Prima che i responsabili della strage venissero trovati e catturati, Capote decise di farsi inviare dal «New Yorker» sul luogo del delitto per scriverne un pezzo.
A compiere l’omicidio – questo lo scoprì poco dopo – erano stati Perry Smith, 31 anni, e Richard Hickock, 28; due balordi conosciutisi dietro le sbarre e appena usciti di prigione. Il movente? La notizia, giunta alle loro orecchie durante il periodo di prigionia, che nella casa dei Clutter fosse presente un tesoro nascosto in una cassaforte. Una notizia poi rivelatasi falsa: non solo in casa non c’era una cassaforte, ma non c’era nemmeno denaro. I due, dopo aver compiuto l’omicidio, lasciarono la fattoria con una radio, poco meno di 50 dollari e le mani sporche di quattro omicidi. Vennero fermati in Nevada sei settimane dopo l’omicidio e confessarono: furono condannati alla pena di morte.
Il compito di Capote poteva dirsi, quindi, concluso. Ma egli volle restare: nei circa sei anni successivi, mentre Perry Smith e Richard Hickock erano in attesa di essere sottoposti alla pena di morte, l’autore decise di restare in Kansas a esplorare le circostanze di questo terribile crimine. Conobbe la piccola comunità di Holcomb, i suoi abitanti, indagando gli effetti che l’omicidio aveva avuto su di essi. E conobbe, soprattutto, i due assassini, con cui dialogò approfonditamente nel corso di diverse visite, facendosi rivelare cosa accadde quella notte.
Capote accumulò circa 8000 pagine di annotazioni: ne nacque un reportage narrativo, inizialmente uscito a puntate sul «New Yorker» nel 1965, poi pubblicato in volume nell’anno successivo, il 1966. Fu il libro che lo consacrò definitivamente come uno dei grandi autori della letteratura statunitense del XX secolo, inventore del genere della non-fiction.
3Gli altri autori di non-fiction
Il successo ottenuto da Truman Capote con il suo A sangue freddo fu immediato e travolgente: fu tradotto in 37 lingue e gli valse diversi riconoscimenti. Negli stessi anni anche lo statunitense Norman Mailer (1923-2007) si dedicò a un’opera di non-fiction: il romanzo Le armate della notte del 1969, in cui descrisse la marcia pacifista sul Pentagono del 1967 contro la guerra del Vietnam. Grazie a esso, Mailer vinse due dei più prestigiosi premi letterari: il premio Pulitzer per la letteratura e il National Book Award.
La strada per la consacrazione della non-fiction era stata aperta: oggi si tratta di uno dei generi più amati dai lettori di ogni nazionalità. Tra i più importanti autori del genere non possiamo non citare Joan Didion (1934-2021), W.G. Sebald (1944-2001), David Shields (1956), Emmanuel Carrère (1957) e William T. Vollmann (1959).
Nel 2015 un’autrice di spicco della non-fiction, Svetlana Aleksievič (1948), giornalista e scrittrice bielorussa, ha ottenuto il premio Nobel per la letteratura «per la sua scrittura polifonica, un monumento alla sofferenza e al coraggio nel nostro tempo»: non solo un riconoscimento all’indiscusso talento dell’autrice, ma anche una consacrazione per il genere.
Tra le sue opere più note di non-fiction sono da segnalare: La guerra non ha un volto di donna (incentrato sulle donne sovietiche al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale), Ragazzi di zinco (che segue le vicende dei reduci della guerra in Afghanistan), Preghiera per Černobyl (sulle vittime della tragedia nucleare del 1986) e, infine, Incantati dalla morte (sul crollo dell'URSS e, in particolare, sui suicidi e tentativi di suicidi che ne sono susseguiti).
E in Italia? Anche nel nostro Paese la non-fiction ha riscosso e continua a riscuotere un grande successo. Come non pensare, ad esempio, a Gomorra di Roberto Saviano (1979), un romanzo-inchiesta sulla camorra campana, o a La città dei vivi di Nicola Lagioia (1973), riguardante un fatto di cronaca nera avvenuto a Roma nel 2016, quando un giovane ragazzo – Luca Varani – è stato torturato e ucciso da due ragazzi di buona famiglia, Manuel Foffo e Marco Prato.