Non chiederci la parola: testo, analisi e parafrasi alla poesia di Eugenio Montale
Indice
1La poesia in crisi
Con questo componimento Montale inaugura la sezione intitolata Ossi di seppia che dà il titolo all’intera raccolta.
Si tratta di una lirica particolare sia per il tono, a tratti solenne, che per il contenuto, e si concentra sul ruolo stesso della poesia e sull’azione dei poeti, sulla loro incapacità di esprimere ideali certi e concreti o di rispondere alle inquietudini che dominano l’anima della società novecentesca. Il componimento denuncia infatti una condizione di impotenza, di incapacità profonda che si esprime fin dal primo verso, già dalla prima frase.
L’incipit della poesia è una imperativa negativa, Non chiederci la parola (v. 1), che con la declinazione al plurale sembra suggerire la volontà di questo scritto di prendere parola a nome di tutti i poeti: la crisi è universale e coinvolge l’essenza stessa della poesia, l’impossibilità di dare risposte, di rappresentare in tono positivo o assertivo gli aspetti dell’animo umano.
In tutta la lirica prevale un tono negativo che definisce l’unica cosa definibile, e cioè i limiti dell’espressione poetica ormai così inefficace da essere paragonabile, per la sua aridità, a un ramo secco.
Se Limoni può essere inteso come un manifesto programmatico della poesia montaliana, che ne definisce sia il profilo stilistico che quello tematico, così Non chiederci la parola si può leggere come il manifesto ideale di Montale sulla poesia novecentesca, la cui scarsa capacità espressiva e comunicativa riflette il disorientamento sociale e la perdita di saldi punti di riferimento collettivi nella società d’inizio secolo e, pertanto, trasmette un messaggio che non può limitarsi soltanto alla produzione poetica del suo autore, ma che può essere estesa a tutti i poeti dell’epoca.
Emerge anche l’idea del ruolo e della figura del poeta secondo Montale, e si sottolinea la sua marginalità rispetto al rilievo simbolico che assumono gli oggetti che, di volta in volta, si fanno protagonisti del racconto poetico, ulteriore differenza che separa la produzione poetica di questo autore da quella dei ‘poeti laureati’ come D’Annunzio.
2Analisi del componimento: la metrica
Sul piano metrico la poesia si compone di tre strofe, tre quartine composte di versi liberi, mentre dal punto di vista ritmico si nota un sistema di rime chiuse per le prime due quartine (ABBA e CDDC) e alternata alla terza (EFEF).
La poesia si apre con una frase imperativa ma in senso negativo, Non chiederci (v. 1), in cui il poeta, parlando alla prima persona plurale e quindi, presumibilmente, a nome di tutti i poeti, dice a un oscuro interlocutore di non chiedere loro di pronunciare parole in grado di definire l’animo umano.
La richiesta di una parola che squadri da ogni lato (v. 1), magari utilizzando lettere di fuoco (v. 2) non può quindi essere accolta, e si manifesta così tutta la consapevolezza dell’incapacità della poesia contemporanea di stabilire qualcosa di solido, di arrivare ad una conoscenza ferma, quadrata; l’idea della solidità geometrica è data con forza dall’uso delle parole squadri e lato, che contrastano metaforicamente con l’immagine dell’animo informe del v. 2.
Le immagini di forze e luminosità continuano ad alternarsi a quelle infime, le lettere di fuoco del v. 2 aprono alla metafora dei due versi conclusivi della strofa, e segnano l’inizio del paragone finale che gira attorno all’immagine del croco (v. 3), la cui bellezza risalta a dispetto del contesto del polveroso prato (v. 4) proprio come dovrebbero fare quelle lettere di fuoco che i poeti, ormai, non sono più in grado di scrivere.
L’efficacia di quest’ultima immagine, quella legata al croco, poggia anche sulla sua forza sul piano linguistico con il contrasto tra la parola croco, termine ricercato, e il resto della metafora che invece viene espressa con un linguaggio basso e quotidiano.
La seconda quartina si distingue per un deciso cambio di tono rispetto sia alla precedente che alla successiva: l’immagine di un uomo che se ne va sicuro (v. 5) entra improvvisamente nella narrazione poetica iniziando una parentesi dal retrogusto ironico. Questa figura, infatti, che procede con il contegno di chi è agli altri e a se stesso amico (v. 6), non sembra rendersi conto del lato oscuro della vita, rappresentata in maniera visiva dall’ombra proiettata sul muro.
In questa strofa sono forti le allitterazioni, basate soprattutto sulla ripetizione delle consonanti s e c.
La quartina conclusiva riprende il tono della prima, con l’imperativo negativo di Non domandarci (v. 9), e il suo tema, che questa volta viene però ampliato all’intero mondo. La poesia non possiede più alcuna formula (v. 9), né scientifica e nemmeno magica, in grado di spiegare il significato della realtà o del mondo.
Al contrario, l’unica cosa che i poeti sono ormai in grado di offrire è qualche sillaba dalla forma storta e secca come un ramo: un’immagine botanica che sembra richiamare e ribaltare quella del croco (v. 3) dandole un senso soltanto negativo; dal punto di vista retorico è notevole qui l’uso dell’allitterazione con storta sillaba e secca al v. 10.
Gli ultimi due versi assumono un valore finale e conclusivo: l’unica cosa che il poeta contemporaneo può dire con certezza è ciò che egli non è, e ciò che non vuole. La negazione, ripetuta per ben due volte al v. 12, diventa l’unica cosa solida ed esprimibile con certezza all’interno dell’orizzonte della crisi definitiva dei tradizionali valori e dei consolidati riferimenti culturali e spirituali.
3Non chiederci la parola: testo e parafrasi
Testo
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Parafrasi
di questo nostro animo deforme, e che in modo sferzante
lo definisca e lo faccia risplendere come un croco
solitario in mezzo a un prato polveroso di terra.
Ah, colui che vive carico di certezze,
che si compiace d’essere amico di sé stesso e di tutti,
e la sua ombra non si preoccupa d’altro che della calura
che stampa la proietta su un muro rovinato!
Non chiederci di pronunciare quella formula in grado di spiegarti come gira il mondo,
al massimo possiamo dare qualche sillaba come un ramo secco.
Oggi possiamo dirti solo questo,
quello che non siamo, quello che non vogliamo.
4Ossi di seppia: la raccolta poetica
Montale pubblica la raccolta poetica Ossi di seppia nel 1925, l'opera è composta da 23 poesie suddivisi in sezioni tematiche. Il titolo rimanda ai residui dei molluschi che il mare deposita sulla spiaggia, l’allusione è a una condizione umana ridotta all’aridità, una condizione di vita impoverita e inconsistente.
Un’aridità che si trova nella descrizione del paesaggio che il poeta ci restituisce nei vari componimenti: è il paesaggio ligure quello rappresentato, sia montuoso che marino. Il panorama è secco e abbandonato, spesso è quello tipico delle prime ore del pomeriggio, quando tutto è fermo. Emerge dalla raccolta una condizione di disagio esistenziale del poeta, di dolore, quel famoso "male di vivere".
Tra le poesie più famose della raccolta, oltre a Non chiederci la parola, ci sono: Spesso il male di vivere ho incontrato, I limoni, Meriggiare pallido e assorto e Corno inglese.