Friedrich Nietzsche, eterno ritorno

Uno dei punti principali della filosofia di Friedrich Nietzsche: eterno ritorno e infinito: un ciclo che si rinnova non nell'ordine ma nel caos

Friedrich Nietzsche, eterno ritorno
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NIETZSCHE, ETERNO RITORNO

Friedrich Nietzsche
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Dopo aver affrontato il tema della morte di Dio, Nietzsche auspica l’avvento di un super-uomo capace di vivere la tragedia della vita, accettando il presente. "Potrei credere solo a un dio che sapesse danzare" egli dice, e la danza è il simbolo della completa aderenza all’attimo come tale.

L'OLTREUOMO

Accettare il presente e insieme accettare il divenire, cioè la morte. Impedire che la realtà della morte nullifichi il presente. Questo, in definitiva, il compito e l’atteggiamento del super-uomo. Ed ecco allora anche in Nietzsche ricomparire il valore dato da Schopenhauer al presente e quindi alle sensazioni, illusioni, passioni e quant’altro il presente offre quando sciolto da fondamenti etici, religiosi o metafisici si dà come vita "pura" o, come "immagine pura" dell’io.

Schopenhauer riusciva, nella sua concezione del mondo come rappresentazione dell’io, ad annullare il tempo. E difatti il futuro, in quella sua concezione, diveniva estraneità; il passato si riduceva, evocato, al presente e il presente era vissuto col distacco con cui di solito si guarda al passato. Nietzsche dà a questo atteggiamento una formulazione teorica con la strana e suggestiva immagine dell’"eterno ritorno" contenuta nello Zarathustra: lo svolgersi del tempo è pensato come un cerchio eternamente a sé ritornante.

Nel cerchio il corso del tempo si ribadisce senza fine e senza finalità, secondo un ciclo che rispecchia quello delle stagioni, delle costellazioni e di tutti i cicli naturali.

Questa dottrina dell’eterno ritorno, anche se sembra ripresa dalle antiche correnti del pensiero greco, quali soprattutto quella dei Pitagorici e degli Stoici, ha un significato ben diverso. Il ciclo rinnovantesi all’infinito, nel mondo classico, rappresenta la razionalità, il logos immanente nel mondo; in Nietzsche, invece, esprime irrazionalità, disordine, caos.

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L'ATTIMO IN NIETZSCHE

Nel singolo vivente, dunque, scorrono le immagini già scritte, senza pentimenti né attese; tutto ciò che accade già era e dovrà tornare. Questa forma circolare dà ad ogni punto del cerchio, cioè ad ogni attimo, un valore assoluto. Ogni attimo non potrebbe infatti essere diverso da quel che è né avrebbe senso una preoccupazione di responsabilità o di coinvolgimento morale nei suoi confronti; e inoltre ogni attimo c’è sempre già stato e sempre ritornerà ad esserci.

In altre parole, l’eterno non sottostà più al presente quale sua intelaiatura di valore (come avviene per esempio nella teologia cristiana), ma si manifesta e coincide con l’attimo stesso che infatti ha valore in sé ed è di volta in volta "cifra" dell’eterno.

Questa possibilità di percepire l’attimo come cifra dell’eterno è compito del super-uomo ed è il segno della sua salute e del suo spirito "dionisico" eternamente giovane. Si può dire dell’estrema salute che Nietzsche attribuisce al super-uomo quello che si può dire intorno al culto della malattia proprio degli estimatori della filosofia di Schpenhauer.

Salute e malattia difatti coincidono nei confronti della loro specifica possibilità di aderenza all’attimo; esse si presentano come situazioni idonee a vivere una vita fatta di attimi. E’ da osservare che nel caso della totale e ritrovata salute del super-uomo è l’io a scomparire nel mondo, come avviene nell’ebbrezza e nella danza; mentre, all’opposto, nel caso della malattia è il mondo che si adagia e svanisce nella coscienza dell’io.

La prima posizione, quella nicciana dell’estrema salute e perenne giovinezza, la possiamo vedere esemplificata, pur con qualche forzatura caricaturale, nel modo di vivere e di sentire di D’Annunzio e nella sua costante preoccupazione di "aderire alla vita", mentre la seconda, quella di Schopenhauer, più senile e riflessiva, può essere ritrovata nella figura e nelle pagine di Italo Svevo. Ma il fatto che qui interessa sottolineare è che queste due diverse risposte esistenziali sorgono dalla medesima percezione del "presente" come realtà in sé, che più non "scorre verso..." e che tende quindi a valere in quanto tale.

Questa riduzione del tempo, e dunque della vita umana, a "presente" viene da lontano ed è probabilmente già implicita nella concezione immanentistica del mondo moderno. Essa è già nell’atteggiamento rinascimentale, compare nelle riflessioni di Michel de Montaigne, è sottintesa all’io cartesiano, è apertamente dichiarata nell’Emilio di Rousseau, si ritrova nel concetto leopardiano delle illusioni come qualcosa di solido e reale, si diffonderà poi nel Decadentismo e in tanto romanzo, poesia e filosofia contemporanea.

Ed è proprio all’interno di una siffatta concezione che i due atteggiamenti di Schopenhauer e di Nietzsche sembrano, nella loro drastica ma anche complementare opposizione, in qualche modo richiamarsi come due estremi legati alo stesso filo: la perdita di senso della realtà intesa come unità, ordine, progetto e la riduzione, quindi, di questa realtà a "presente" vissuto e accettato nella propria soggettività.

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