La morte di Mastro don Gesualdo
Analisi e commento sulla morte di Mastro don Gesualdo, protagonista dell'opera di Verga. Spiegazione e divisione in macrosequenze.
MASTRO DON GESUALDO
Mastro don Gesualdo, scritto dal siciliano Giovanni Verga, esponente del Verismo, è certamente uno dei romanzi più noti del Novecento, e fa parte del ciclo di romanzi detto Ciclo dei vinti.
Se vuoi approfondire il testo o saperne di più sul romanzo in sé, qui trovi la nostra scheda libro con analisi.
MASTRO DON GESUALDO: MORTE
Parte fondamentale del romanzo è la sezione che riguarda la morte di Mastro don Gesualdo, che possiamo analizzare dividendola in tre macrosequenze:
- Gesualdo ammalato nel palazzo del genero e della figlia a Palermo
- Gesualdo che prende coscienza della gravità della sua malattia e del fallimento della sua vita
- La morte vera e propria di Gesualdo
Nella prima macrosequenza la narrazione avviene secondo il punto di vista di mastro-don Gesualdo che nel palazzo del genero si accorge dell’improduttività della vita aristocratica e dello sperpero della ricchezza: a nulla è valso accumularla, se ne viene fatto un simile scempio.
Tutta quella gente che mangiava e beveva alle spalle di sua figlia, sulla dote che egli le aveva dato su … le terre che aveva covato cogli occhi tanto tempo, sera e mattina, e misurato col desiderio, e sognato la notte, acquistato palmo a palmo, giorno per giorno, togliendosi il pane di bocca (notare l’insistita ripetizione della congiunzione e che esprime la pazienza e la dedizione costante alla Roba).
Come Mazzarò, protagonista de La Roba di Verga, anche Gesualdo sottolinea come i nobili siano incapaci di gestire il patrimonio.
Il genero di Gesualdo è come il padrone di Mazzarò:
Il signor duca quando usciva di casa, a testa alta, con il sigaro in bocca e il pomo del bastoncino nella tasca del pastrano, fermavasi appena a dare un’occhiata ai suoi cavalli, ossequiato come il Santissimo Sacramento, le finestre si chiudevano in fretta, ciascuno correva al suo posto, tutti a capo scoperto, il guardaportone col berretto gallonato in mano, ritto dinanzi alla sua vetrina, gli stallieri immobili accanto alla groppa delle loro bestie, colla striglia appoggiata all’anca…una commedia che durava cinque minuti. Dopo, appena lui voltava l’angolo, ricominciava il chiasso e la baraonda[…].
Gesualdo vede consumarsi il suo patrimonio proprio come lui stesso viene consumato dalla sua malattia. Il protagonista cerca di adattarsi all’etichetta della vita aristocratica con i suoi riti incomprensibili ed inutili:
ogni cosa regolata a suon di campanello, con un cerimoniale da messa cantata, per aver un bicchier d’acqua, o per entrare nelle stanze della figliola. Lo stesso duca, all’ora di pranzo, si vestiva come se andasse a nozze.
Gesualdo nota poi l’ipocrisia e l’ingordigia del genero, che dietro l’apparenza affettuosa (nel viso, nelle parole, sin nel tono della voce, anche quando voleva fare l’amabile… aveva qualcosa che vi respingeva indietro e vi faceva cascar le braccia) vuole una delega per poter amministrare il patrimonio di Gesualdo. Già nella prima macro-sequenza emergono i temi dominanti l’intero capitolo: la solitudine e l’incomunicabilità, oltre all'isolamento fisico e psicologico del protagonista.
Ascolta su Spreaker.Il tema dell’incomunicabilità diventa il motivo conduttore della seconda macrosequenza.
Il primo tipo di incomunicabilità che emerge è quella con i dottori che lo curano ma, al tempo stesso, lo disprezzano, poiché ritengono degradante soddisfare le richieste di un ex manovale. Quando Don Gesualdo chiede informazioni dirette sulla sua malattia, ci dice Verga che:
Il signor dottore cominciò a fare una scenata col duca, quasi gli si fosse mancato di rispetto in casa sua. Ci volle del bello e del buono per calmarlo, e perché non piantasse lì malato e malattia.
Il secondo tipo di incomunicabilità è quello con la figlia: con lei vorrebbe instaurare un rapporto affettivo autentico, ma Isabella è chiusa nel rancore. Si vergogna, inoltre, della sua estrazione popolare. La donna, proprio come il marito, apparentemente gentile e premurosa, in realtà indifferente al dramma del padre.
La distanza affettiva tra padre e figlia si evidenzia anche nel fallimento del tentativo di Gesualdo, ormai consapevole di morire, di trasmettere ad Isabella il senso di possesso per i suoi beni:
Le raccomandava la sua roba, di proteggerla, di difenderla: piuttosto farti tagliare la mano vedi! …quando tuo marito torna a proporti di firmare delle carte! Lui non sa che cosa vuol dire. Ma Isabella non è interessata: smaniava per la stanza, si cacciava le mani nei capelli, diceva che le lacerava il cuore, che gli pareva un malaugurio, mostrandosi del tutto indifferente ai discorsi del padre.
Alla fine del colloquio con la figlia, Gesualdo vorrebbe aprirle il cuore come al confessore e leggerle nel suo. Gesualdo ha degli scrupoli di coscienza e vuole che Isabella si incarichi di eseguire la sua volontà testamentaria, mentre parla cerca di scorgere nello sguardo della figlia il desiderio di comunicargli quell’altro segreto, quell’altro cruccio, poiché anche Isabella ha avuto un figlio illegittimo da Corrado.
Ma Gesualdo non oterrà nulla: ella chinava il capo, quasi avesse indovinato, colla ruga ostinata dei Trao fra le ciglia, tirandosi indietro, chiudendosi in sé, superba, con i suoi guai e il suo segreto. E lui allora sentì di tornare Motta, com’essa era Trao, diffidente, ostile, di un’altra pasta.
MORTE DI GESUALDO
Quando è arrivato ormai alla fine, Gesualdo è lasciato solo, più sopportato che accudito. La conclusione è affidata a don Leopoldo, del tutto insofferente all'accudimento di quello che ritiene un uomo suo pari, forse addirittura inferiore: Pazienza servire quelli che sono nati meglio di noi...
Mastro-don Gesualdo è per gli umili un traditore della loro classe, e per questo disprezzato. Ma allo stesso modo non è accettato dai nobili, perché nato umile.
Verga non mostra solidarietà con il suo personaggio: lo si comprende dai termini utilizzati per descrivere l'agonia di Gesualdo: capricci, canzone, contrabbasso, uzzolo e mattana.