Montesquieu: pensiero, opere e politica
Indice
1Vita di Montesquieu
Charles-Luis de Secondat divenne barone di Montesquieu nel 1716, dopo la morte di uno zio. Lo stesso anno fu ammesso all’Accademia di Scienze di Bordeaux, la città vicina al castello di La Brède, dov’era nato. Montesquieu aveva studiato giurisprudenza e negli anni, grazie alla sua posizione sociale e alla sua formazione, assunse via via ruoli di maggior rilievo nel Parlamento cittadino.
Divenne prima avvocato, poi consigliere e infine, sempre nel 1716, presidente. In questo periodo, Montesquieu preparò e presentò all’Accademia alcuni contributi, la cui eterogeneità tematica ci ricorda quanto vasti fossero i suoi studi e i suoi interessi. Ricordiamo, per esempio, una Dissertazione sulla politica dei romani nella religione e un Saggio di osservazioni di storia naturale.
Nel 1721, Montesquieu pubblicò la sua prima opera di grande successo, le Lettere persiane (Lettres Persanes). In quel periodo i suoi soggiorni a Parigi si facevano più frequenti e nel 1728 divenne membro dell’Accademia di Francia.
Iniziò allora un lungo periodo di viaggi: in Germania, Italia e a Londra, dove entrò a far parte della Massoneria. Durante i suoi soggiorni all’estero, Montesquieu studiava i costumi, i sistemi politici, sociali ed economici dei diversi paesi europei e questi studi confluirono nella scrittura della sua opera più celebre, Lo spirito delle leggi, pubblicata nel 1748.
Montesquieu non fa esattamente parte del novero dei philosophes, gli illuministi francesi come Voltaire (1694-1778), Diderot (1713-1784) e D’Alembert (1717-1783). Era di una generazione precedente, partecipò al progetto dell’Enciclopedia e fu per loro un punto di riferimento. D’Alembert pubblicò nel V volume dell’Enciclopedia un Elogio di Montesquieu – morto quell’anno, nel 1755 – nel quale scriveva che «è stato tra noi, per lo studio delle leggi, ciò che è stato Descartes, per la filosofia». L’opera di Montesquieu si colloca agli albori dell’illuminismo.
Non è facile stabilire con esattezza a quale ambito del sapere ascrivere l’opera di Montesquieu: è un filosofo? Sì, ma non proprio, perché si è occupato di politica, società e diritto. Allora un giurista! Non esattamente, perché del diritto gli interessava più l’aspetto politico-sociale. Filosofo politico, come Hobbes e Rousseau? In parte, ma non solo.
Montesquieu era tutto ciò e molto di più: uno studioso poliedrico che, oltre ai temi delle sue opere più celebri, si è interessato di numerose e diverse altre materie tra le quali la fisica e la metafisica, la medicina e le scienze della natura.
2Le Lettere persiane: trama e spiegazione
Lettere persiane è un romanzo epistolare, composto dalle lettere scritte da due persiani, Usbek e Rica, durante un viaggio attraverso l’Europa. I protagonisti descrivono i paesi visitati dal loro punto di vista di stranieri «stupefatti». Attraverso di loro Montesquieu può guardare con occhi apparentemente ingenui e inesperti il proprio mondo e scrivere che «gli abitanti di Parigi sono curiosi fino alla stravaganza» (Lettera XXX).
L’espediente letterario del romanzo epistolare permette a Montesquieu di descrivere con libertà la società, i costumi, le leggi, le abitudini, le convenzioni della Francia e dell’Europa in cui vive e di criticarli o mostrarne l’arbitrarietà. Del re di Francia può far dire a Rica che «è un gran mago: esercita il suo impero anche sullo spirito dei suoi sudditi, li fa pensare come vuole» e del papa che è addirittura più potente, che può far credere alla gente «che tre è uguale a uno» e che «il pane che mangia non è pane» (XXIV).
Montesquieu non risparmia le osservazioni pungenti neanche all’Accademia: il «solo ufficio» dei suoi membri – scrive – è «ciarlare senza posa» (LXXIII). Montesquieu espone attraverso le lettere anche la propria concezione cartesiana in ambito scientifico; la propria contrarietà alle tesi di Hobbes sullo stato di natura come stato di guerra originaria; e la propria avversione per il dispotismo, che ripeterà e argomenterà anche nello Spirito delle leggi.
3Lo spirito delle leggi: la divisione dei poteri secondo Montesquieu
Lo spirito delle leggi non è un trattato di giurisprudenza, non descrive le singole e diverse leggi che possono regolare la vita pubblica degli stati. Piuttosto, è un trattato politico-giuridico. L’ambizioso obiettivo di Montesquieu è descrivere i rapporti necessari che intercorrono fra i regimi politico-istituzionali e i sistemi giuridici, fra governo e diritto.
Montesquieu definisce le leggi come «i rapporti necessari che derivano dalla natura delle cose» (I, 1). Le leggi, anzitutto, sono naturali, sono date e non istituite dal diritto. Perciò «la legge, in generale, è la ragione umana, in quanto governa tutti i popoli della terra» (I, 3). La legge generale si declina poi in modo diverso nei singoli sistemi politico-giuridici.
Il diritto non è un elemento isolato della vita sociale. Le sue caratteristiche particolari dipendono da una serie di fattori, che variano a seconda dei luoghi e dei tempi: il clima e le caratteristiche geografiche dei paesi, le usanze e le attività produttive più diffuse, i sistemi di governo, le altre leggi, i commerci, la religione. Nell’opera, Montesquieu si occupa di ciascuno di questi rapporti.
Montesquieu prende in considerazione tre diversi modelli di governo, per discuterne le differenze e descrivere in che modo si rapportino alle leggi: le repubbliche, democratiche o aristocratiche; le monarchie, in cui il sovrano governa attraverso le leggi; e il dispotismo, il governo arbitrario e sregolato di un singolo. A differenza di Aristotele e Machiavelli, Montesquieu considera il dispotismo non come una sottospecie della monarchia, ma come una forma di governo a sé stante. Ciascuna forma di governo ha una natura, ciò che la contraddistingue rispetto alle altre, e un principio, o «molla» del governo.
Sviluppando alcune tesi di Locke (1632-1704) e prendendo a modello l’ordinamento britannico, che conosceva bene grazie al suo soggiorno londinese, Montesquieu teorizza la dottrina dei tre poteri, caposaldo del costituzionalismo. In ogni stato, scrive, ci sono tre poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario.
Perché sia garantita la libertà dei cittadini i tre poteri devono essere separati, detenuti da soggetti diversi e devono limitarsi a vicenda. La libertà politica, secondo Montesquieu, «non consiste affatto nel fare ciò che si vuole», bensì «è il diritto di fare tutto quello che le leggi permettono» (XI, 3).
Lo spirito delle leggi ebbe un immediato e ampio successo. Hume, per esempio, scrisse a Montesquieu che con la sua opera «s’è guadagnato la più alta considerazione di tutte le nazioni e otterrà l’ammirazione di tutti i secoli». Montesquieu si attirò, però, anche critiche e accuse. Soprattutto da parte di alcuni gesuiti e di un giornale giansenista che lo accusò di essere spinoziano, cioè ateo, e di avversare il cristianesimo. Montesquieu rispose alle critiche in un breve scritto pubblicato nel 1750, Difesa dello Spirito delle leggi.
Lo spirito delle leggi ha avuto enorme successo e risonanza. Nel Commento sullo “Spirito delle leggi” (1777), Voltaire rende omaggio a Montesquieu pur muovendogli diverse critiche. L’opera è stata un punto di riferimento per Kant (1724-1804) e poi per Hegel (1770-1831). Anche Beccaria (1738-1794) riconobbe il proprio debito nei confronti di Montesquieu, la cui opera ha influenzato anche il moderno costituzionalismo americano.
Nell’Ottocento, l’esigenza di estendere il metodo sperimentale allo studio della società riporta Lo spirito delle leggi al centro dell’indagine di quella “scuola sociologica” che con Auguste Comte (1798-1857) e con Emile Durkheim (1858-1917) ritrova in Montesquieu un “precursore” delle scienze sociali. Nel Novecento, Raymond Aron (1905-1983), in Le tappe del pensiero sociologico, scriverà che Montesquieu, per la sua volontà di «conoscere scientificamente la realtà sociale in quanto tale», più che un precursore, è a tutti gli effetti uno dei teorici della sociologia.
«La maggior parte dei popoli d’Europa sono ancora governati dai buoni costumi. Tuttavia, se per un lungo abuso del potere, se per una grande conquista, si stabilisse a un certo punto il dispotismo, non vi sarebbero più né costumi, né clima che tengano; e in questa bella parte del mondo, la natura umana soffrirebbe, almeno per qualche tempo, gli affronti che le infliggono nelle altre tre» (Lo spirito delle leggi, VIII, 8).
4Cosa condanna Montesquieu?
Lo studioso si pone contro l'intolleranza religiosa, simbolo di arretratezza culturale e portatrice di molti problemi per il suo paese, così come consuetudini ormai datate possono essere limiti allo sviluppo sociale.
Ma soprattutto si esprime contro il regime della monarchia assoluta e contro i privilegi delle classi nobili, che generano squilibri profondi, causa di crisi sociale.
Pur senza sbilanciarsi nell’indicare una forma di governo come migliore rispetto ad altre, sottolinea come, per prevenire derive dispotiche, siano necessarie leggi che regolino il potere dei potenti e permettano uno sviluppo armonico di tutte le parti della società.
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Domande & Risposte
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Chi è stato Montesquieu?
E’ stato un nobile francese, studioso del diritto, della politica e degli ordinamenti sociali. Ha teorizzato la dottrina dei tre poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario), caposaldo del costituzionalismo.
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Cosa ha scritto Montesquieu?
Lettere persiane nel 1721, Lo spirito delle leggi nel 1748.
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Quando è morto Montesquieu?
Nel 1755 a Parigi.