Caravaggio: le esperienze di un artista ribelle
Michelangelo Merisi, detto Caravaggio, è stato un artista ribelle e stravagante, che ha fatto parlare di sè, oltre che per le opere, anche per i suoi atteggiamenti
Michelangelo Merisi, conosciuto come Caravaggio, è nato a Milano nel 1571, probabilmente il 29 settembre. Figlio primogenito delle seconde nozze di Fermo Merisi con Lucia Aratori, Michelangelo ha trascorso la sua adolescenza insieme ai fratelli Giovan Battista e Caterina e ai due fratellastri tra Milano e il piccolo borgo vicino Bergamo da cui provenivano i genitori e dove la famiglia si è trasferita probabilmente per sfuggire alla terribile pestilenza che ha devastato Milano nel 1577. Il padre era maestro di casa dei signori di Caravaggio. Tra la famiglia Merisi e gli Sforza c'erano rapporti di stima e protezione. Rapporti testimoniati anche dal fatto che il marchese Francesco I, marito di Costanza Colonna, aveva partecipato alle nozze di Fermo e Lucia come testimone. Questi legami avranno una grande importanza quando a Roma Caravaggio potrà contare in più occasioni sull’aiuto e l’appoggio della potente famiglia Colonna.
Nel 1578 il padre di Michelangelo è morto, forse di peste, e nel 1584 Michelangelo è stato mandato a studiare pittura a Milano nella bottega di Simone Peterzano, che, nel contratto datato 6 aprile 1584, si è impegnato a tenere il giovane per 4 anni presso di sé. La frequentazione della bottega di Peterzano potrebbe giustificare l’influsso del tonalismo veneto che si avverte nelle opere giovanili di Merisi, tuttavia è probabile che il giovane apprendista abbia visto e meditato anche le opere sparse nelle chiese di Bergamo, Brescia e Cremona, città vicine a Caravaggio. Gli scorci paesaggistici, gli atteggiamenti dei personaggi, l’attenzione per la rappresentazione puntigliosa e verosimile della realtà, così come la tavolozza ricca di morbidi accordi cromatici che caratterizzano le opere di Moretto, Savoldo, Romanino o dei Campi, si ritrovano anche nelle prime opere di Caravaggio.
Terminato il periodo di apprendistato, Michelangelo forse è tornato a Caravaggio, dove nel 1589 ha venduto la metà di un terreno ricevuto in eredità dal padre, ma non si può escludere che facesse la spola tra il piccolo borgo e Milano, dove risiedeva lo zio prete, Ludovico Merisi. Quest'ultimo nel 1590, alla morte della madre di Merisi, è diventato il tutore dei ragazzi. Secondo alcuni biografi, Michelangelo avrebbe già dato le prime avvisaglie del suo carattere inquieto e violento. Secondo alcuni sarebbe arrivato ad uccidere un suo compagno e, dopo aver passato un anno in carcere, avrebbe deciso di cambiar città. Non si sa tuttavia quanto ci sia di vero in questa notizia. Quel che è certo è che nel maggio del 1592 Michelangelo è tornato a Caravaggio. Da qui, incassato il resto dell’eredità materna, è partito per Roma, dove nel frattempo si era trasferito lo zio prete.
A Roma, Merisi ha frequentato probabilmente la comunità lombarda che si riuniva attorno alla confraternita di Sant’Ambrogio al Corso e quella sorta di colonia di artigiani, scalpellini e architetti originari di Brescia e Bergamo che si era insediata nei pressi di palazzo Colonna, tra piazza Santi Apostoli e il quartiere dei Pantani. Le prime notizie documentate indicano che nell’estate del 1593 Caravaggio ha conosciuto ed ha iniziato a frequentare Onorio Longhi, figlio dell’architetto Martino, originario del varesotto e architetto lui stesso al servizio dei Colonna. Forse grazie ai buoni uffici dello zio prete, il giovane Merisi ha trovato ospitalità presso monsignor Pandolfo Pucci, beneficiario di San Pietro e maestro di casa della sorella di Sisto V, Camilla Peretti.
Per monsignor Pucci, Caravaggio ha dipinto copie di quadri devozionali in cambio dell’alloggio e del misero vitto. Dopo qualche mese, stanco del trattamento riservatogli dal prelato, Caravaggio si è trasferito da un certo Tarquinio, un oste milanese proprietario di due osterie nel quartiere del bordello agli “ortacci”, a cui ha fatto un ritratto oggi perduto. Qui ha iniziato a dipingere quadri "per vendere", cioè quadri di medie dimensioni facili da smerciare. Dall’osteria di Tarquinio Caravaggio è passato alla bottega di un pittore siciliano di nome Lorenzo, che viene identificato con un pittore al servizio del cardinale Federico Borromeo o con Lorenzo di Marco, mediocre artista siciliano che aveva bottega insieme ad uno spadaro ai Condotti. Qui Merisi ha conosciuto il quindicenne Mario Minniti, pittore e compagno di bravate, che Michelangelo ritroverà poi a Malta e in Sicilia.
Nella bottega di Lorenzo, Caravaggio si è dedicato ai ritratti, scelta che testimonia sia la sua abilità nel dipingere dal vivo, sia l’esigenza di avere davanti sempre un modello da ritrarre sulla tela. Quest'ultima caratteristica apparirà ai detrattori come il maggior limite del naturalismo di Caravaggio. Merisi intanto frequentava la bottega del pittore senese Antiveduto Gramatica, dove avrebbe dipinto le sue prime composizioni a mezze figure, sperimentando per la prima volta l’uso di forti contrasti di luce e di ombra.
Proseguendo nella sua ascesa nell’ambiente artistico romano, Caravaggio è riuscito ad entrare nella bottega di uno dei più affermati pittori del tempo: Giuseppe Cesari, detto il Cavalier d’Arpino. Tra gli artisti preferiti da papa Clemente VIII Aldobrandini, pur essendo maggiore di Caravaggio di soli tre anni, Cesari dominava la scena romana insieme a Federico Zuccari e Cristoforo Roncalli, detto il Pomarancio. Raggiunta già la fama con gli affreschi nei cantieri vaticani e nella chiesa di San Lorenzo in Damaso, nel periodo in cui Caravaggio è entrato nella sua bottega, il Cavalier d’Arpino aveva appena terminato gli affreschi sulla volta della cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi e stava affrescando la cappella Olgiati in Santa Prassede.
La scelta di Merisi di presentarsi alla bottega di Cesari appare oggi come il frutto di una attenta ponderazione. Scartato tanto il manierismo retorico di Zuccari quanto il classicismo compunto del Pomarancio, l’attenzione di Caravaggio si appuntava sul Cavalier d’Arpino, artista artificioso e manierato, che era titolare di una ben avviata bottega gestita con piglio imprenditoriale. Caravaggio è entrato così a far parte dei collaboratori che avevano il compito di realizzare i progetti e i disegni elaborati dal Cavalier d’Arpino.
Durante gli 8 mesi della permanenza nella bottega del Cavalier d’Arpino, non si sa se Caravaggio abbia realizzato opere diverse dai quadri decorativi raffiguranti festoni o composizioni di fiori e frutta, molto richiesti in quegli anni in seguito al successo riscosso tra i collezionisti romani dalle opere di pittori olandesi e fiamminghi. Cesari sembra non usasse eccessivi riguardi nei confronti dell’allievo, al quale avrebbe dato solo un misero pagliericcio come ricovero, e, sebbene forse ingigantita dalla leggenda, non è improbabile che durante il periodo di discepolato presso la sua bottega sia nata una certa inimicizia e rivalità tra i due. La collaborazione ha termine dopo il ricovero di Caravaggio nell’Ospedale della Consolazione per un misterioso incidente, forse il calcio di un cavallo che gli ha fatto gonfiare una gamba. Uscito dall’ospedale Merisi non farà più ritorno alla bottega del Cavalier d’Arpino, mantenendo comunque i rapporti con Prospero Orsi, fratello del poeta Aurelio Orsi e noto col soprannome di Prosperin delle Grottesche, collaboratore e intimo amico di Cesari.
Trovata ospitalità nel palazzo di monsignor Fantin Petrignani in Campo Marzio, Caravaggio ha ripreso a dedicarsi a quadri che potevano essere venduti con facilità, tele da cavalletto che affidava a un certo "Maestro Valentino a San Luigi de’ Francesi", uno dei numerosi mercanti d’arte presenti a Roma il cui nome non è stato però rintracciato in nessun documento del tempo. Tra le opere di Caravaggio forse affidate al mercante ci sarebbe anche il "Ragazzo con canestro di frutta" e il cosiddetto "Bacchino malato", che rappresenta con ogni probabilità il primo degli autoritratti di Merisi. I magri guadagni non gli permettevano il lusso di far posare dei modelli per le sue composizioni e Caravaggio si affidava quindi allo specchio, ritraendosi come un giovane Bacco coronato d’edera, con un grappolo d’uva in mano, mentre sorride malinconico allo spettatore.
Incuriosito dal gran parlare che Prospero Orsi faceva del suo amico Caravaggio o forse capitato nella bottega del mercante Valentino nei pressi di palazzo Madama dove abitava, il cardinale Francesco Maria Bourbon Del Monte è rimasto favorevolmente impressionato dai quadri di Merisi e non si è limitato ad acquistarne alcuni ma gli ha offerto ospitalità nella sua casa e lo ha iscritto a “rolo”, garantendogli cioè uno stipendio mensile. L’incontro con il cardinale è stato decisivo per l’affermazione sulla scena artistica romana di Caravaggio, permettendogli finalmente di farsi conoscere dai facoltosi e raffinati collezionisti dell’epoca. Per Del Monte il pittore ha realizzato alcuni tra i suoi capolavori.
Il suo interesse per la rappresentazione della realtà viva lo ha spinto ad accogliere la lezione dei pittori nordici, introducendo nelle sue composizioni delle nature morte con vasi, fiori e frutta, raffigurati con la stessa precisione con cui ritraeva le figure umane. Il nome di Caravaggio era ormai ben conosciuto nella cerchia degli intenditori d’arte e le commissioni si moltiplicavano. Tra il 1594 e il 1599 Merisi ha realizzato il Riposo nella fuga in Egitto e la Maddalena penitente, probabilmente commissionati dal cardinale Pietro Aldobrandini e da questi pervenuti alla collezione Doria Pamphili. Il banchiere Costa ha commissionato la Giuditta che decapita Oloferne, il San Francesco in estasi e il quadro che raffigura Marta che rimprovera Maddalena per la sua vanità; mentre il nobile Ciriaco Mattei ha richiesto a Caravaggio un San Giovanni Battista.
Nel 1597 Caravaggio ha consolidato la sua fama al punto che il reverendo Ruggero Tritonio da Udine, nel testamento redatto in quell’anno, menzionava il San Francesco avuto in dono da Ottavio Costa, definendolo «celeberrimo pictore». La prima commissione pubblica importante è arrivata nel luglio del 1599, grazie ai buoni uffici del cardinal Del Monte. Questi, forse facendo leva sui suoi stretti legami con la nazione francese, ha ottenuto che il completamento della decorazione della cappella acquistata da Matteo Contarelli in San Luigi dei Francesi nel 1565 fosse affidato a Caravaggio. Commissionate prima al manierista Girolamo Muziano e poi al Cavalier d’Arpino, le storie tratte dalla vita di San Matteo offrivano al pittore il primo impegnativo banco di prova e le radiografie eseguite sulle tele rivelano il tormento con cui Merisi ha affrontato il compito assegnatogli.
La prima idea per la composizione del Martirio di san Matteo sembra ricalcare la tradizione. Il pittore ambienta l’evento davanti a una imponente architettura, tra una folla di personaggi vestiti all’antica. È chiara la sua intenzione di confrontarsi con la grande tradizione della pittura di storia allora in voga, genere in cui eccellevano il Cavalier d’Arpino e lo stesso Muziano. Ma la tentazione di uniformarsi ai desideri dei committenti è di breve durata. Abbandonata temporaneamente l’esecuzione del Martirio, Caravaggio ha affrontato la Vocazione di san Matteo, trovando nella semplicità del racconto evangelico lo spunto per una idea totalmente nuova. La chiamata di Cristo si svolge infatti in uno spazio quasi totalmente immerso nella penombra, tanto che risulta difficile dire se l’azione si svolga all’esterno o all’interno di una stanza.
Il fiotto di luce che piove dall’alto a destra illumina come un faro il gruppo di uomini riuniti a un tavolo attorno a Levi d’Alfeo, il gabelliere che prenderà poi il nome di Matteo, mentre dal buio emergono le figure di Cristo e di Pietro, che con i loro gesti chiamano Matteo a unirsi ai discepoli.
Sulla grande tela affiora il ricordo del tonalismo veneto, soprattutto nelle vesti degli uomini al tavolo, ma il rigore della rappresentazione, la naturalezza del racconto e l’uso sapiente dei contrasti di luce e di ombre sono del tutto nuovi. Risolta in questo modo la Vocazione, Caravaggio ha ripreso il Martirio stravolgendo l’idea iniziale e riducendo drasticamente il ruolo dell’architettura nell’economia della composizione. L’evento cruento si svolge ora di fronte a un altare, tra un groviglio di corpi in fuga, mentre il santo è riverso a terra, solo di fronte alla spada dello scherano che sta per vibrare il colpo di grazia. Sullo sfondo della scena Caravaggio si è ritratto tra la folla, mentre volge il suo sguardo mesto verso il primo piano, raffigurandosi come un testimone partecipe ma impotente della violenza.
Per l’altare della cappella, Merisi realizzerà poi nel 1602 una prima versione del San Matteo e l’angelo, respinta dal clero della chiesa per una pretesa mancanza di decoro, sostituendola poi con un’altra. È questo il primo dei rifiuti a cui andrà incontro il pittore nel corso della sua carriera, ma sulle reali motivazioni di questi rifiuti gli studiosi sono ancora divisi, imputandoli di volta in volta al mancato rispetto delle regole dettate dalla Controriforma, all’adesione a una visione laica e potenzialmente eretica della scienza e della natura o all’adesione alle istanze pauperistiche di alcuni ambienti religiosi, visti con sospetto dalle autorità ecclesiastiche.
Il "romore" suscitato dall’apertura al pubblico della cappella Contarelli ha creato scompiglio anche nella comunità degli artisti e il Principe dell’Accademia di San Luca, Federico Zuccari, ha cercato di liquidare sbrigativamente il nuovo astro nascente definendolo un semplice epigono di Giorgione. D’altra parte lo stile di Caravaggio non poteva essere più lontano dall’idea di pittura di Zuccari, fondata sullo studio dei maestri del passato e sull’esercizio del disegno, espressione più alta e compiuta, a suo modo di vedere, dell’intelletto umano. Intanto i giovani pittori celebrano Caravaggio "come unico imitatore della natura", affascinati dal suo stile "tutto risentito di oscuri gagliardi", e cercavano di imitare i suoi quadri e i suoi soggetti preferiti.
Qualche mese dopo il completamento del ciclo in San Luigi dei Francesi, monsignor Tiberio Cerasi ha commissionato a Caravaggio due quadri su tavole di cipresso per la sua cappella in Santa Maria del Popolo, raffiguranti la Conversione di san Paolo e la Crocifissione di san Pietro. La prima versione è stata rifiutata e sostituita da altre due tele consegnate da Merisi nel novembre del 1601.
Con il successo sembravano però arrivare anche i primi seri guai con la giustizia. A partire dal 1601, infatti, il nome di Merisi è comparso spesso nei rapporti di polizia con le accuse più diverse: risse, ferimenti, schiamazzi e porto abusivo di armi. Che il pittore avesse un carattere rissoso e violento è un fatto conclamato, va detto però che a quei tempi pochi erano quelli che nel corso dell’esistenza riuscivano a tenersi alla larga dalla giustizia e anche tra gli artisti gli esempi non mancano. Nel frattempo, pur criticate dai committenti o dal clero, le opere rifiutate avevano trovato immediatamente degli acquirenti.
Per il marchese Vincenzo Giustiniani Merisi realizza nel 1603 l'Amor vittorioso in gara con Giovanni Baglione, un mediocre pittore che tentava di aggiornare il suo stile imitando i modi di Caravaggio e poi è rientrato nell’orbita della pittura accademica facendosi paladino delle idee di Zuccari. Giudicato inferiore al quadro di Caravaggio, l'Amor divino che sottomette l’amor profano dipinto da Baglione è stato comunque ricompensato dal marchese con una ricca collana d’oro, che il pittore sfoggiava con orgoglio. Questa gara è probabilmente all’origine degli eventi che hanno portato nel 1603 al processo per diffamazione intentato da Baglione nei confronti dei pittori Merisi, Orazio Gentileschi, Filippo Trisegni e dell’architetto Onorio Longhi. Il processo, di cui è rimasta una completa documentazione negli archivi, sempre più appare oggi come una sorta di resa di conti tra fazioni rivali.
Nella querela Baglione accusava i quattro di aver scritto e diffuso un libello scurrile e ingiurioso ai suoi danni, ma quando Caravaggio, dopo due giorni di detenzione nelle carceri di Tor di Nona, è comparso di fronte al governatore di Roma ha affermato di non dilettarsi "de compor versi né volgari né latini", di non saper nulla dei sonetti incriminati anche se non "ce sia nessun pittore che lodi per buon pittore Giovanni Baglione". Nel corso della deposizione Caravaggio ha dichiarato inoltre di stimare per "valent’huomini" il Cavalier d’Arpino, Annibale Carracci, Federico Zuccari e il Pomarancio. Interrogato dal governatore su cosa intendesse per "valent’huomini", l’artista ha esposto in maniera chiara e concisa la sua idea del mestiere dell’artista: "quella parola valent’huomo appresso di me vuol dire che sappi fare bene, cioè sappi fare bene dell’arte sua, cos“ in pittura valent’huomo che sappi depingere bene et imitar bene le cose naturali".
Tornato in libertà grazie all’interessamento dell’ambasciatore di Spagna, Caravaggio ha preso in affitto una casa a vicolo San Biagio in Campo Marzio ed ha continuato ad allargare la cerchia dei suoi committenti. Tra il 1600 e il 1603 ha eseguito un Ritratto del cardinale Maffeo Barberini e probabilmente anche il Sacrificio di Isacco per la sua collezione; per Ciriaco Mattei ha dipinto la Cattura di Cristo e per il marchese Giustiniani l'Incredulità di Tommaso. Nello studio di vicolo San Biagio, Merisi ha portato a termine alcuni dei suoi più celebrati capolavori: la Sepoltura di Cristo per la cappella Vittrice in Santa Maria in Vallicella, consegnata nel settembre del 1604, e La Madonna dei pellegrini, installata sull’altare della cappella Cavalletti nella chiesa di Sant’Agostino nel 1605.
Quest’ultima opera ha suscitato grande schiamazzo e scandalo, per la mancanza di decoro con cui erano raffigurati i "due pellegrini uno co’ piedi fangosi, e l’altra con una cuffia sdrucita, e sudicia", inginocchiati davanti a una Madonna di Loreto "ritratta dal naturale". Sembra che Caravaggio abbia preso a modella per la Vergine del quadro Lena, una bella cortigiana da lui amata e per la quale ha ferito un notaio suo amante ed ha rischiato la prigione.
Dopo un breve soggiorno a Genova, dove era fuggito per scampare al carcere, Caravaggio ha eseguito tra la fine del 1605 e l’inizio del 1606 la Madonna dei Palafrenieri, una grande pala, commissionata dalla potente confraternita dei Palafrenieri, che è rimasta sull’altare a cui era destinata in San Pietro per soli due giorni ed è stata rimossa perché poco rispettosa dell’iconografia tradizionale dell’Immacolata Concezione. Il quadro, dopo essere stato temporaneamente sistemato nella chiesa di Santa Maria dei Palafrenieri, è stato poi acquistato per una cifra irrisoria dal cardinale Scipione Borghese, protettore della confraternita e spregiudicato collezionista.
Apparentemente sempre più inviso alle gerarchie ecclesiastiche ma ancora supportato da un nutrito gruppo di estimatori altolocati, Caravaggio si è visto rifiutare anche la monumentale pala che raffigurava la Morte della Madonna, commissionata da Laerzio Cherubini per adornare l’altare della cappella di famiglia nella chiesa di Santa Maria della Scala. Ignorando le direttive impartitegli nel contratto di commissione dell’opera, firmato nel 1601 quando ancora risiedeva nel palazzo di Ciriaco Mattei, l’artista ha raffigurato infatti sulla tela solo l’episodio della morte della Vergine, senza illustrare anche la sua ascensione al cielo con l’anima e il corpo, particolare fondamentale per evitare qualsiasi sospetto di collusione con l’eresia luterana. Inoltre, anche in questo caso, il pubblico è rimasto colpito sfavorevolmente dalla mancanza di decoro con cui è stata raffigurata la Madonna, "gonfia, e con gambe scoperte", come fosse una morta affogata, per la quale l’artista avrebbe preso a modella una cortigiana da lui amata. La tela, venduta nel 1607 da Cherubini al duca Vincenzo I Gonzaga grazie alla mediazione di Rubens, prima di essere spedita a Mantova, è stata esposta per una settimana al pubblico su richiesta dei pittori, suscitando lodi ed entusiasmo generali.
Il 29 maggio 1606, durante una lite sorta in seguito a una partita di pallacorda, Merisi ha ucciso Ranuccio Tomassoni, un compagno di bravate conosciuto da tempo, e nella mischia è rimasto lui stesso ferito alla testa. Per sfuggire al mandato di cattura, si è dato alla fuga, trovando riparo nei feudi laziali dei Colonna tra Paliano, Zagarolo e Palestrina. Per tutta l’estate è rimasto nascosto nella speranza che i suoi protettori, Filippo Colonna e il cardinale Ascanio, riuscissero ad ottenere la grazia che gli avrebbe consentito di tornare a Roma. Nel frattempo ha continuato a dipingere, realizzando una Maddalena e, secondo alcuni, anche la Cena in Emmaus, ora a Brera. L’esperienza dell’omicidio ha lasciato una traccia indelebile sull’arte di Caravaggio, che da questo momento nelle sue opere è tornato in maniera sempre più ossessiva e angosciosa sul tema della morte violenta, dipingendo martirii di santi e teste mozze.
Alla fine dell’estate, perdute le speranze di risolvere in tempi brevi la sua situazione, Merisi ha lasciato il suo nascondiglio ed è partito alla volta di Napoli, dove la fama della sua pittura era già arrivata da tempo. Il primo soggiorno partenopeo di Caravaggio è durato pochi mesi, eppure le opere che ha lasciato in città hanno influito profondamente sugli sviluppi della scuola barocca napoletana. Merisi si sarebbe poi imbarcato per Malta per il desiderio "di ricevere la Croce di Malta solita darsi per gratia ad huomini riguardevoli per merito e per virtù", ed è probabile che l’artista sperasse di potersi mettere al sicuro dal "bando capitale" emesso dal tribunale pontificio entrando a far parte del Sacro Ordine Gerosolimitano. A condurlo sull’isola potrebbe essere stato un altro esponente della famiglia che lo proteggeva, Fabrizio Sforza Colonna. Sull’isola Merisi si è guadagnato il favore del Gran Maestro dell’Ordine, Alof de Wignacourt, che gli ha commissionato dei ritratti e alcuni straordinari capolavori: il San Girolamo scrivente e la terribile Decollazione del Battista per la cocattedrale di San Giovanni. Come ricompensa il 14 luglio 1608 Wignacourt ha nominato Caravaggio cavaliere “di Grazia”, unica carica a cui potevano aspirare i non nobili.
Qualche mese più tardi Michelangelo è stato rinchiuso nella fortezza di Sant’Angelo con l’accusa di essere venuto a contesa con un cavaliere di nobili natali, forse un magistrato venuto a sapere del mandato di cattura che inseguiva il pittore. Dopo una romanzesca evasione dal carcere, a Caravaggio non rimaneva quindi che prendere il largo, grazie all’aiuto forse ancora di Fabrizio Sforza Colonna, e cercare scampo in Sicilia. Intanto, in una seduta dei cavalieri convocata da Wignacourt, Merisi è stato espulso dal Sacro Ordine e con la bolla del primo dicembre 1608 dichiarato "membrum putridum et foetidum". Sbarcato a Siracusa, Caravaggio ha ritrovato il pittore Mario Minniti, che lo ha presentato al senato di Siracusa, procurandogli la commissione della pala raffigurante la Sepoltura di santa Lucia per l’altar maggiore della chiesa di Santa Lucia al Sepolcro.
Da Siracusa, l’artista è risalito verso Messina, dove il ricco commerciante genovese Giovan Battista de Lazzaris gli ha affidato l’esecuzione della Resurrezione di Lazzaro da sistemare nella chiesa dei Padri Crociferi. Entrambe le opere eseguite a Siracusa e a Messina, sebbene molto rovinate, mostrano uno stile sempre più scarno e drammatico, in cui Caravaggio ha rinunciato consapevolmente a ogni sfoggio di virtuosismo. Accanto a queste angosciate meditazioni sul tema della morte, Merisi ha realizzato anche l'Adorazione dei pastori per la chiesa dei Cappuccini di Messina e la Natività coi santi Francesco e Lorenzo per l’Oratorio della Compagnia di San Lorenzo a Palermo, dove si era nel frattempo trasferito. Non si sa quando l’artista ha deciso di lasciare l’isola per fare ritorno a Napoli. Di sicuro dopo l’agosto del 1609, data in cui ha consegnato la Natività palermitana.
È un Caravaggio sempre più angosciato quello che ha fatto ritorno nella città partenopea. Forse era ossessionato dal costante pericolo di essere raggiunto e ucciso dagli emissari dei cavalieri di Malta e si sentiva braccato. A Napoli, nell’ottobre del 1609, è stato assalito e sfregiato sulla soglia della locanda del Cerriglio dove aveva preso alloggio. Nonostante tutto, Caravaggio ha trovato comunque il modo di realizzare i suoi ultimi capolavori: una Salomè con la testa del Battista; il David con la testa di Golia; un piccolo San Giovanni Battista e il Martirio di sant’Orsola.
L’ultima tappa della vita di Caravaggio è per molti aspetti avvolta dal mistero. Il 24 luglio 1610 il nunzio Deodato Gentile ha scritto al cardinale Scipione Borghese un dettagliato rapporto sugli ultimi giorni di vita del pittore: "il povero Caravaggio non è morto in Procida, ma a Port’hercole, perché essendo capitato con la felluca, in quale andava a Palo, ivi da quel Capitano fu carcerato, e la felluca in quel romore tirandosi in alto mare se ne ritornò a Napoli. Il Caravaggio restato prigione, si liberò con uno sborso grosso di denari, e per terra, e forsi a piedi si ridusse sino a Port’hercole, ove ammalatosi ha lasciato la vita". Fermata dunque a Palo la feluca su cui si era imbarcato, Michelangelo sarebbe stato arrestato dai gendarmi della guarnigione spagnola, forse scambiato per un altro ricercato. Quando è riuscito a liberarsi, la nave era ormai ripartita con tutti suoi bagagli e le tele che ancora doveva ultimare. Solo, disperato e senza un soldo, costretto forse a procedere a piedi, è giunto a Porto Ercole dove si è ammalato di malaria e il 18 luglio del 1610 è morto. A Roma, intanto, dopo anni di perorazioni da parte dei suoi potenti amici, la revoca del bando capitale era stata finalmente firmata, ma era troppo tardi.
Podcast:
- Michelangelo Merisi, il Caravaggio
- Caravaggio: prime esperienze
- Caravaggio a Roma dal 1592
- Caravaggio dal 1597
- Caravaggio: da Napoli a Porto Ercole
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