L'inetto in Italo Svevo: significato e biografia dell'autore

Quella dell'inetto è la tipologia di personaggio meglio ricollegabile a Italo Svevo. Ecco le sue caratteristiche e il suo significato

L'inetto in Italo Svevo: significato e biografia dell'autore
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Italo Svevo, biografia

Aron Hector Schmitz, nome vero di Italo Svevo, è nato a Trieste il 19 dicembre 1861 da Francesco Schmitz (figlio del funzionario imperiale austriaco Adolfo Schmitz e della trevigiana Rosa Macerata) e da Allegra Moravia. Quinto di 8 figli: Paola, Natalia, Noemi, Adolfo, Ettore, Elio, Ortensia e Ottavio. Ha trascorso l'infanzia a Trieste nella casa patriarcale di Corsia Stadion, libero da preoccupazioni economiche ed in un'atmosfera gaia e affettuosa malgrado il padre, che, commerciante nel ramo vetrario, non era molto incline alle affettuosità, soprattutto nel rapporto con i figli. In questo periodo Trieste faceva ancora parte dell'Impero Austro-ungarico, nonostante la massiccia presenza degli irredentisti che volevano annetterla al neonato Regno d'Italia.

Italo Svevo, gli studi

Italo Svevo

Il padre Francesco, pur sentendosi italiano, ammirava la cultura tedesca. Volendo che i figli diventassero esperti uomini d'affari, ha mandato manda all'età di 12 anni Ettore e i due fratelli Adolfo ed Elio a studiare in collegio a Segnitz, presso Wurtzburg in Baviera, perchè credeva che il tedesco fosse una lingua indispensabile per ogni commerciante triestino. Elio non ha resistito ai rigori del clima e della disciplina ed è presto rientrato in famiglia. Nei pochi mesi trascorsi a Segnitz Elio ha tenuto un diario che oggi è molto utile per comprendere la vocazione letteraria del fratello.

Ettore è riuscito invece ad acclimatarsi ed in pochi mesi ha imparato la lingua, appassionandosi alla letteratura di quel paese, tanto da essere addirittura in grado di scrivere una tesina filosofica in tedesco in aperta polemica con il suo compagno di studi Bratter. Poco incline ai commerci, ha iniziato a scrivere, dando vita con i compagni di studi ad un circolo culturale. In questo periodo ha conosciuto anche il primo amore: quello per Anna Hertz, della quale scriverà in L'avvenire dei ricordi. Nel 1878, terminati gli studi, è tornato a Trieste, dove si è iscritto all'Istituto Commerciale Giuseppe Revoltella, senza troppo entusiasmo.

Svevo, le prime collaborazioni

In realtà, le sue aspirazioni segrete erano la letteratura ed un viaggio a Firenze per apprendere dal vivo una corretta lingua e pronuncia italiana. L'educazione tedesca e l'utilizzo del dialetto triestino, infatti, non gli avevano permesso di acquisire una soddisfacente padronanza dell'italiano, lingua cui peraltro non fu mai disposto a rinunciare. Il 2 settembre 1980 ha iniziato una collaborazione con il giornale irredentista triestino "L' Indipendente" sul quale, per dieci anni, ha pubblicato recensioni teatrali ed articoli di vario genere con lo pseudonimo di Ettore Samigli. Intanto ha abbozzato quattro testi teatrali che non avranno successo: nel febbraio la commedia "Ariosto Governatore", nel marzo "Il primo amore", nel luglio "Le Roi est mort; vive le Roi!" e successivamente "I due poeti". Nello stesso anno il fallimento del padre lo ha costretto ad impiegarsi quale corrispondente tedesco e francese presso la succursale triestina della banca Union.

Le difficoltà materiali non hanno indebolito la sua passione per la letteratura. Sottraeva molte ore del suo tempo libero al riposo per frequentare la biblioteca civica dove leggeva i classici italiani, Schiller, Balzac e Zola. Nel febbraio 1981 ha lavorato ad una novella dal titolo "Difetto moderno", ha scritto poi "La storia dei miei lavori" e in marzo la novella "I tre caratteri" che verrà poi intitolata "La gente superiore".

In questo periodo ha conosciuto ed è diventato amico fraterno del diciannovenne pittore Umberto Veruda, che gli ha ispirato il personaggio dello scultore Balli nel romanzo "Senilità". Nel 1886 il dolore per la malattia e la morte del fratello Elio hanno segnato profondamente il suo animo.

Nel 1890 "L'Indipendente" ha pubblicato a puntate il lungo racconto "L'assassinio di via Belpoggio", che testimoniava la forte influenza di Schopenhauer. Il racconto è stato accolto dal pubblico e dalla critica senza particolare entusiasmo. Erano anni di grandi cambiamenti per la vita di Ettore: nell'aprile del 1892 è morto il padre. Nello stesso anno ha pubblicato a sue spese, presso l'editore Ettore Vram di Trieste, il primo romanzo, dandogli come titolo "Una Vita" e datandolo 1893. Lo ha firmato con lo pseudonimo di Italo Svevo, che significava nello stesso tempo la sua appartenenza alla cultura italiana, tedesca e slava. In giugno ha ricevuto una lettera di elogi dallo scrittore tedesco Paul Heise. Il libro è passato pressoché inosservato: è apparsa solo una breve recensione di Domenico Oliva sul "Corriere della Sera" e qualche articolo sulla stampa cittadina.

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La vita privata e il rapporto con Joyce

Nel 1895 è morta la madre. In questo periodo ha rivisto, dopo anni, la cugina diciottenne Livia Veneziani con la quale ha instaurato una tenera amicizia. Tra i due ben presto è nato qualcosa di più e, contro la volontà dei futuri suoceri, si è fidanzato ufficialmente. Il 30 luglio 1896 si è sposato e l'anno successivo ha avuto una bambina, chiamata Letizia. Intanto ha continuato il travagliato rapporto tra Italo Svevo, lo scrittore che sperava nel successo, ed Ettore Schmitz, ormai coscienzioso padre di famiglia che affiancava al lavoro in banca, l'insegnamento all'Istituto Revoltella ed un lavoro notturno al quotidiano "Il Piccolo". Dal 15 giugno al 16 settembre 1898 è apparso a puntate sull'Indipendente il suo secondo romanzo, Senilità, che nello stesso anno è uscito in volume presso l'editore Vram, ancora una volta a spese dell'autore.

L'opera ha subito la stessa sorte delle precedenti e Svevo ha ricevuto una lettera da Paul Heise che questa volta ha espresso un giudizio negativo sul libro. Ettore ha giurato a se stesso di smetterla per sempre con la letteratura e si è immerso nella lettura di Ibsen, Dovstoevskij e Tolstoj, quasi a cercarvi un risarcimento per le sue frustrazioni di autore. Nel 1899 ha lasciato la banca Union per affiancare il suocero Gioacchino Veneziani nella direzione della fabbrica di vernici sottomarine. Le sue condizioni economiche sono migliorate: il successo che aveva invano cercato nell'arte gli è arrivato dagli affari, dai quali ha avuto anche la possibilità di andare spesso in Francia ed in Inghilterra. Nel 1904 è morto l'amico pittore Umberto Veruda. Nel 1905 ha incontrato e fatto amicizia con James Joyce, professore d'inglese alla Berlitz School di Trieste, che gli ha dato lezioni private. Il rapporto tra i due scrittori è diventato ben presto di stima confidenziale: Joyce gli leggeva i suoi lavori manoscritti e Svevo dava in lettura al futuro autore di Ulysses i suoi due romanzi pubblicati, sui quali l'inglese si è espresso entusiasticamente.

Nel 1915, scoppiata la guerra mondiale che gli irredentisti triestini hanno chiamato "quarta guerra d'indipendenza", Ettore si è trovato improvvisamente solo in una Trieste abbandonata: Joyce è stato costretto a tornare in Inghilterra, i suoceri si sono trasferiti, la fabbrica è stata confiscata: non gli sono rimaste altro che il riposo e le sue vecchie passioni, cioè la lettura e lo studio del violino. Durante questo periodo ha approfondito soprattutto Swift, si è incontrato con gli amici irredentisti al Caffè Tergesteo ed ha comunicato epistolarmente con Joyce che si era stabilito a Zurigo. Nel 1918, anno in cui finalmente Trieste è diventata italiana, ha tradotto, più che altro per assecondare il nipote medico che a causa di una malattia era suo ospite, l'opera Sul sogno di Sigmund Freud. E' stata una buona occasione per studiare le idee dello psicanalista tedesco che, peraltro, egli aveva già avuto modo di conoscere.

In quello stesso anno è diventato membro del comitato di salute pubblica, ha lavorato ad un progetto di pace universale e, alla liberazione di Trieste, ha collaborato con il neonato quotidiano "La Nazione". Ancora una volta Ettore Schmitz ha ceduto a quello che definiva un imperativo del proprio animo ed ha rivestito i panni di Italo Svevo cominciando, dopo quasi vent'anni di astinenza, a scrivere le prime pagine di La coscienza di Zeno. Scrivere, in questo momento rappresentava per lui un modo di autoanalizzarsi, un tentativo di guarire da quel "male di vivere" che lo accomunava al protagonista dell'opera. Non era importante pubblicare quello che scriveva, a suo parere, ma era impossibile fare a meno di scriverlo. Il libro sarà pubblicato solo nel 1923 ed ancora una volta la particolare sensibilità di quest'autore passerà pressoché inosservata, pur essendo molto apprezzata dall'amico James Joyce, che Italo aveva da poco rivisto a Parigi.

Joyce che aveva pubblicizzato Svevo presso i suoi amici critici e letterati parigini, è riuscito a far sì che la critica francese (Larbaud, Crémieux) si interessasse a lui. L'operazione di Joyce è andata a buon fine e nel 1925 Svevo ha ricevuto la prima lettera di Larbaud, che gli ha fatto concrete proposte per il lancio del romanzo in Francia. Nella primavera ha incontrato a Parigi i suoi estimatori e si è legato di amicizia confidenziale particolarmente con la signora Crémieux, che gli parlava di Proust, autore a lui sconosciuto e del quale ha acquistato l'opera completa. Bobi Bazlen ha fatto conoscere ad Eugenio Montale i romanzi di Svevo e nel numero IV della rivista "L'Esame" il poeta ha pubblicato il primo dei suoi scritti sveviani. Nel 1926 sono usciti su "Le Navire d'argent" larghi estratti delle sue opere. L'evento ha trascinato l'interesse della critica francese ed italiana.

Ettore Schmitz, l'uomo d'affari, poteva finalmente vestire a tempo pieno i panni di Italo Svevo, il geniale romanziere e sulla scia di questo ha scritto ancora: La madre, Una burla riuscita, Vino generoso e La novella del buon vecchio e della bella fanciulla. Nel 1927 è apparsa l'edizione francese de La coscienza di Zeno, nella traduzione di Paul-Henri Michel.

Nel marzo di quell'anno il "Convegno" di Milano ha ospitato una sua conferenza su Joyce, ed in aprile è andato in scena al Teatro degli Indipendenti di A. G. Bragaglia, a Roma, il suo atto unico, Terzetto spezzato. Nel 1928 Svevo, che nel frattempo si era profondamente appassionato per l'opera di Kafka, ha iniziato il suo quarto ed incompiuto romanzo, Il vecchione. In seguito ad un incidente stradale, Italo Svevo è morto il 13 settembre a Motta di Livenza nei pressi di Treviso.

L'inetto in Italo Svevo

Un ruolo centrale nella narrativa di Svevo è occupato dalla figura dell’inetto. L’inetto si contrappone all’esteta: si sente inadatto a vivere poiché non riesce ad aderire alla vita, non ha valori in cui credere, non ha scopi, non ha un ruolo nella società in cui riconoscersi, quindi non riesce a dare un senso alla propria vita. Inoltre l’inetto si sente malato di quella malattia che è il disagio del ‘900: l’incapacità di provare sentimenti, che provoca nell’uomo un intenso alone di tristezza e di infelicità.

Differenza tra l'inetto di Svevo e i vinti di Verga

L’inetto è sempre un eroe sconfitto che potrebbe apparire al pubblico molto simile ai personaggi vinti rappresentati da Verga, ma esiste una notevole differenza: mentre la sconfitta dei vinti era da imputare esclusivamente all’ambiente, il fallimento dell’inetto è da ricondurre alla frattura venutasi a creare tra l’io e la realtà e all’interno dell’uomo con la scoperta dell’inconscio. Tutti i personaggi protagonisti dei romanzi di Svevo sono degli inetti, ma c’è una sostanziale differenza tra Alfonso ed Emilio, protagonisti di "Una vita" e "Senilità" e Zeno, protagonista de "La coscienza di Zeno": i primi due sono tragici, sono rappresentati in una dimensione cupa e triste e il loro destino è la morte o comunque la rinuncia a vivere; Zeno invece riesce a non essere tragico in quanto, vista la sua età matura, assume la consapevolezza della sua "malattia" e usa l’ironia per sdrammatizzare se stesso e la sua condizione. Zeno è colui che, convinto di sbagliare, effettua la scelta più giusta, riuscendo perciò a raggiungere involontariamente la felicità. Nella realtà dunque, un ruolo fondamentale è rappresentato dal caso e l’inetto è appunto colui che deve sottostare a questa componente che nel ‘900 aumenta sempre di più la sua importanza.

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