Livio Andronico: vita e opere del primo autore della letteratura latina
Indice
1Livio Andronico: vita
Sin dal I secolo a.C., Livio Andronico fu considerato – con giudizio pressoché unanime – il primo autore della letteratura latina. Il motivo è semplice: nel 240 a.C., sotto il consolato di Gaio Claudio e di Marco Tudebano, fu incaricato di mettere in scena, in occasione dei ludi scaenici, un suo testo teatrale. Si trattò della prima rappresentazione di un testo drammatico in latino e segnò così la nascita ufficiale della letteratura in questa lingua.
Nonostante l’importanza nevralgica che egli ricopre all’interno della letteratura latina, della vita di Livio Andronico sappiamo, però, purtroppo ben poco. Nacque intorno al 280 a.C. a Taranto, nella Magna Grecia. Quando, a seguito della guerra contro Pirro (282-272 a.C.), la città di Taranto venne conquistata dai Romani, egli – come molti suoi concittadini – fu fatto prigioniero.
Venne portato a Roma come schiavo al seguito di un politico romano di nome Marco Livio Salinatore, che ne fece il precettore dei figli. In quegli anni, infatti, iniziava a diffondersi tra gli aristocratici l’abitudine di ricorrere a docenti greci per l’istruzione dei figli, nell’ottica di offrire ai giovani un’educazione più completa.
Distinguendosi come precettore e come grammaticus, Livio Andronico venne affrancato da Marco Livio Salinatore. Fu proprio in quest’occasione, quando gli venne concessa la libertà, che egli decise di assumere il nome gentilizio del suo patrono (Livio), anteponendolo al proprio nome; inizialmente, infatti, egli si chiamava semplicemente Andronico.
Divenne autore di testi drammatici – tragedie e commedie – a cui, secondo le fonti antiche, prese parte anche nel ruolo di attore. Oltre alla scrittura di opere teatrali, Livio Andronico – letterato perfettamente bilingue – si dedicò alla traduzione in latino di numerosi testi significativi della letteratura greca. Fu un’attività che gli fu richiesta in qualità di insegnante, nell’ottica di iniziare i giovani al gusto artistico facendo loro conoscere e stimare i grandi capolavori della cultura ellenica. In questo ambito, l’opera certamente più importante di Livio Andronico è l’Odusia, la traduzione in latino del celebre poema omerico, l’Odissea.
Oltre a quella del 240 a.C., c’è una sola altra data nota all’interno della vita del primo autore della letteratura latina. Si tratta del 207 a.C., anno in cui il poeta fu incaricato ufficialmente dei pontefici di comporre un partenio (dal greco parthênos, «vergine»), un carmen propiziatorio in onore di Giunone, con il quale Roma sperava di ottenere il favore e l’aiuto della dea nel corso della seconda guerra punica. Il carmen fu cantato da un coro di ventisette fanciulle durante una processione solenne per le vie di Roma.
Il 22 giugno dello stesso anno, il cartaginese Asdrubale fu sconfitto lungo il fiume Metauro: era il segno che il partenio scritto da Livio Andronico aveva sortito il suo effetto. L’autore ne ricevette grandissimi onori. Il senato, in particolare, mosso da una profonda gratitudine, decretò che il Collegium scribarum histrionumque – una sorta di corporazione degli scrittori e degli attori fondata proprio dall’autore dell’Odusia – venisse insediato all’interno del tempio di Minerva sull'Aventino. Allo stesso Livio Andronico fu concesso l’onore di abitare lì.
La data di morte del poeta è probabilmente di poco successiva allo svolgersi di questi eventi.
2Le opere di Livio Andronico
Come poche sono le notizie prevenuteci circa la vita di Livio Andronico, altrettanto scarsi sono i frammenti conservati delle sue opere, tutti di tradizione indiretta. Quel poco che è giunto fino a noi, però, ci è sufficiente per comprendere i caratteri della produzione letteraria di questo autore e, più in generale, della letteratura latina delle origini.
2.1Livio Andronico e l’Odusia
L’Odusia è un poema epico scritto da Livio Andronico, "traduzione artistica" in verso saturnio dell'Odissea di Omero. La composizione di quest’opera fu, con ogni probabilità, dettata principalmente da motivi di natura didattica. Come abbiamo già detto, infatti, l’autore tarantino, una volta giunto a Roma, ricoprì il ruolo di precettore presso le famiglie aristocratiche romane. È assai plausibile, quindi, che egli si servisse di questa traduzione per introdurre i suoi studenti alla lettura di una delle opere fondative della cultura greca. Questo non esclude l’ipotesi secondo cui Livio Andronico tenesse anche letture pubbliche di questo testo, aperte a un pubblico più vasto, così da rendere accessibile anche ai Romani meno colti un capolavoro ellenico di tale portata.
Ma veniamo all’analisi dell’opera: il titolo, Odusia, è la traslitterazione in latino arcaico del termine greco Odysseia. In contrasto con il titolo del poema è, invece, il nome del protagonista dell’opera, il greco Odysséus. Andronico ha infatti deciso di non ricorrere, in questo caso, alla traslitterazione, ma di optare per la forma latina Ulixes, già ben nota al pubblico romano. Il personaggio di Ulisse, infatti, era già presente nei miti italici: erano molti in Italia i luoghi dove si pensava che l’eroe omerico avesse fatto tappa durante la sua lunga peregrinazione. In questo modo, la sua figura si era legata con un filo rosso alle origini mitiche non solo di Roma, ma di diverse città italiche.
Questa familiarità dei Romani con il personaggio di Ulisse dovette essere uno dei motivi per cui Livio Andronico decise di tradurre l’Odissea e non l’Iliade. Un’altra motivazione è da ricercarsi nel tema marittimo, ampiamente presente nella vicenda odisseica e decisamente attuale nella Roma dell’epoca, impegnata proprio via mare durante la prima guerra punica.
2.2La traduzione artistica dell’Odusia
Scrivendo l’Odusia, Livio Andronico non realizzò una semplice traduzione dell’Odissea di Omero. È corretto parlare in questo caso, infatti, di “traduzione artistica”: non una mera trasposizione di un testo in una lingua diversa da quella di partenza, bensì la creazione di una nuova opera d’arte, dotata di pregi autonomi e indipendenti rispetto all’originale. Questa traduzione artistica si palesò già nella scelta del saturnio al posto dell’esametro omerico.
Non è possibile per noi sapere quanto la traduzione operata nell’Odusia fosse fedele al testo omerico nella sua totalità: dell’opera di Livio Andronico, infatti, si sono conservati all'incirca solo una quarantina di versi. Dall’analisi di questi pochi frammenti, tuttavia, emerge con chiarezza che, sebbene l’autore talvolta abbia reso i versi omerici alla lettera, in altri casi non si sia trattenuto dal modificare l’originale così da renderlo più semplice e più digeribile per i lettori di cultura romana.
Questo è visibile sin dal verso incipitario dell’Odusia, che in latino recita così: «Virum mihi, Camena, insece versutum». Traduzione in italiano: «Narrami, o Camena, l’uomo astuto».
Nell’Odissea di Omero, invece, l’incipit era il seguente: «Cantami, o Musa, l’uomo multiforme».
La traduzione sembra essere abbastanza fedele. Il modello omerico viene seguito:
• nell’ordine dei vocaboli (il vocativo e il verbo sono gli unici due elementi il cui posizionamento nella frase subisce una variazione);
• nell’uso delle figure retoriche. In particolare, nel testo latino notiamo un iperbato tra il complemento oggetto e il suo attributo, già presente nell’originale greco;
• nell’utilizzo del verbo insece (imperativo di inseco), perfetto calco dell’omerico ènnepe (da ennèpo); si tratta, sia nella lingua latina che in quella greca, di un arcaismo.
Tuttavia, i caratteri della traduzione artistica si manifestano in modo palese già in questo primo verso. Salta subito all’occhio, nell’invocazione, la sostituzione della Musa greca con la Camena latina. Le Camenae, o Casmenae, erano le antiche divinità italiche legate alle fonti e alle sorgenti. Esse possedevano, secondo i Romani, dei poteri profetici e divinatori; divennero poi, col tempo, le dee dell’ispirazione poetica. Si trattava di figure certamente più note ai Romani rispetto alle Muse; la traduzione artistica di Livio Andronico prende qui le caratteristiche di una romanizzazione del testo, con il fine di rendere quest’ultimo più familiare a un lettore di cultura latina
2.3Livio Andronico: opere teatrali
Sebbene la sua opera più nota sia l’Odusia, Livio Andronico – come abbiamo già avuto modo di vedere – si spese molto per il teatro.
Delle sue opere teatrali, conserviamo:
- Otto titoli di tragedie (Achilles, Aegisthus, Aiax mastigophorus, Equos, Troianus, Hermiona, Andromeda, Danae, Tereus); si tratta di fabulae cothurnatae, tragedie di ambientazione e argomento greci . Come si intuisce dai titoli, le prime cinque di queste tragedie sono riconducibili al ciclo troiano. Le restanti tre, invece, si rifanno ad altri miti di tradizione greca. I modelli di Livio Andronico per la scrittura di queste tragedie furono, con ogni probabilità, Eschilo, Sofocle ed Euripide. In particolare l’Aegisthus, la tragedia dell’autore di cui possediamo il più alto numero di versi, richiama nel titolo l’Orestea, la famosa trilogia tragica di Eschilo.
- Tre titoli di commedie (Gladiolus, Ludius, Verpus – quest’ultimo incerto); si tratta di fabulae palliatae, commedie di ambientazione e argomento greci . Queste opere erano improntate sul modello della commedia nuova di Menandro e Filemone. Alcuni dei personaggi inseriti all’interno di queste commedie da Livio Andronico hanno goduto di notevole fortuna nelle opere teatrali successive. Nel Gladiolus, ad esempio, viene inserito il personaggio del soldato vanaglorioso, puntualmente ridicolizzato agli occhi del pubblico. Il personaggio del miles fanfarone torna nelle commedie di Plauto, in particolar modo nel Miles Gloriosus.
I frammenti a noi giunti di queste opere sono circa una cinquantina, la maggior parte dei quali è costituita da un solo verso, spesso anche incompleto. Da quel poco che emerge da questa esigua quantità di testi, si può dedurre che Livio Andronico fosse solito rielaborare con grande libertà i modelli greci, facendo ricorso anche alla contaminatio.
Per ciò che concerne lo stile, emerge nelle opere teatrali un’insistenza sulle figure di suono, prima tra tutte l’allitterazione.