La lirica trobadorica: caratteristiche e protagonisti

Temi, caratteristiche e protagonisti della lirica trobadorica. Chi sono i trovatori e quando si è sviluppata la poesia provenzale

La lirica trobadorica: caratteristiche e protagonisti
getty-images

La lirica trobadorica

Cos'è la lirica trobadorica?
Fonte: getty-images

Il movimento trobadorico, primo movimento poetico della letteratura europea in volgare, nasce nel sud della Francia verso la fine dell’XI secolo e trova affermazione tra i secoli XII e XIII, prima al nord e poi fuori dei confini francesi: in Germania, nella penisola iberica e in Italia.

La sua origine è strettamente collegata alla nuova realtà politico-culturale delle corti feudali occitaniche (della lingua d’oc), il cui mecenatismo favorisce la nascita di un diverso stile di vita, più colto e raffinato. La centralità della vita di corte e l’insieme dei valori a essa connessi, caratterizzano tutta un’epoca e la sua civiltà, detta appunto cortese.

Le corti provenzali

Interprete dei gusti e delle esigenze della realtà cortese è un’originale figura di poeta che compone in volgare, possiede un notevole bagaglio di conoscenze tecniche e culturali, e svolge la sua attività da professionista: il trovatore. Il nome deriva, secondo alcuni studiosi, dal latino medievale tropatore, “inventore di tropi” (tropus è il nome assegnato a un genere di componimento in versi, con musica, che veniva inserito nel canto liturgico).

Il trovatore è insieme inventore di musica e poesia: testo e melodia sono componenti inscindibili della lirica provenzale, destinata non alla lettura, ma alla recitazione, al canto.

L’esecuzione orale avviene per opera dello stesso trovatore, oppure, più spesso, di un giullare (“buffone, giocoliere”), esponente della vasta categoria composta da mimi, musici, istrioni, che popolavano le corti e le fiere, e specializzato nella recitazione poetica e musicale.

Vige di solito una divisione professionale del lavoro letterario, per cui il trovatore compone, “inventa”, lasciando al giullare la funzione di eseguire e diffondere la lirica; la separazione tra le due figure non è tuttavia netta, perché non mancano esempi di giullari che sono anche compositori e viceversa.

Fra le corti del sud, si distinguono per importanza e fama quelle di Poitiers, di Tolosa, di Montpellier, e della Provenza propriamente detta.

I trovatori

La condizione sociale dei trovatori è varia ed eterogenea: accanto ai nobili feudatari (principi, re), a prelati, monaci, cavalieri, convivono poeti di umili origini, o appartenenti agli strati intermedi (mercanti, artigiani). Ma è importante notare che nella società occitanica, dove pure vige la gerarchia feudale, queste differenze di classe sembrano scavalcate all’interno della cerchia dei trovatori, che per gli stessi ideali e la consapevolezza delle non comuni capacità tecniche e culturali costituiscono quasi una classe a parte.

La differente provenienza sociale si rifletterà piuttosto nell’uso della propria arte: per alcuni una professione, per altri un piacere o comunque un’attività collaterale, non a tempo pieno.

L'amore cortese

Tema dominante della lirica trobadorica è l'amore, anzi l’amore “fino” (in provenzale fin’amor), una concezione raffinata, insieme esistenziale e letteraria dell’amore, che trasferisce in ambito sentimentale le modalità e la terminologia del rapporto feudale.

Il signore è la donna e il vassallo è il poeta: il rapporto amoroso si configura quindi come servizio reso dall’amante, con umiltà e obbedienza, alla donna.

Questa, che raduna in sé ogni virtù fisica e morale, appare distante e inaccessibile (per differenze sociali, per indifferenza verso l’innamorato, per effettiva lontananza), e può ripagare l’amore dimostrando orgoglio o concedendo una ricompensa.

La passione amorosa può essere vissuta dal poeta con felicità oppure, ed è il caso abituale, con sofferenza; è sempre, però, una tensione positiva e generatrice di virtù: la volontà di diventare degno dell’amata stimola e favorisce un costante e progressivo affinamento spirituale e morale. L’amor cortese è dunque un amore sublimato (ed esclusivo), che si nutre del desiderio, quasi sempre inappagato. Quest’amore adultero comporta la presenza di ostacoli supplementari, quali la figura tipo del gilos (geloso), che simbolizza il marito, o i lauzengiers (adulatori, maldicenti), che riferiscono a quest’ultimo le azioni della sposa: ne deriva la necessità di celare i sentimenti e addirittura il nome vero della dama, spesso sostituito da uno fittizio e allusivo, il Senhal (segno, segnale).

Ascolta su Spreaker.

Gli elementi cardine dell’amore “fino” sono esposti e discussi nel famoso trattato di Andrea Cappellano, intitolato appunto De amore (Sull’amore) e risalente alla seconda metà del XII secolo.

Andrea Cappellano, chierico, fu cappellano (“ciambellano”, cioè importante dignitario) forse alla corte di Maria di Champagne. Il De Amore, composto di tre libri scritti in latino e condannato dalla Chiesa nel 1277, codifica la dottrina praticata dai trovatori provenzali: l’amore può nascere solo in cuore cortese, la donna amata è considerata un essere superiore, spesso inaccessibile, e l’amante assume nei suoi confronti l’atteggiamento del vassallo davanti al suo signore. La passione amorosa è un fatto naturale, che alimenta una tensione generatrice di virtù morali e che agisce come spinta incessante alla nobilitazione e al perfezionamento; l’amor cortese, infine, può esistere solo al di fuori del matrimonio (è sostanzialmente adultero) e, spesso, genera dolore e sofferenza

I testi trobadorici

Tutta la produzione trobadorica è caratterizzata da grande abilità tecnica e metrica, e dalla simbiosi di testo poetico e di musica. La sperimentazione tecnica si applica soprattutto a una forma metrica nuova, la canzone, genere lirico per eccellenza e numericamente preponderante, che denuncia già nel nome la peculiare fusione fra parole e musica. Le norme metriche non ammettono deroghe: la rima, sempre perfetta, può essere variamente arricchita; la struttura della cobla (strofa) si ripete, senza alterazioni nello schema, per tutto il componimento. Le poesie dei trovatori sono spesso concluse dalla tornada, costituita da una o più strofe, con un numero di versi inferiore rispetto alle precedenti, così detta, perché vi ritornano, se pure parzialmente, schema metrico, rima e musica: contiene per lo più la dedica o l’invio al destinatario.

Va segnalata l’esistenza di modi diversi di poetare, e in particolare di due opposte tendenze stilistiche:

  • Una è quella tradizionale, definita Trobar leu (poetare leggero), improntato a chiarezza espressiva, assenza di tecniche troppo complicate, lessico facile, che agevola la comprensione;
  • L’altra è il Trobar clus (poetare chiuso), caratterizzato da modi ermetici, vocaboli rari e difficili, preziosità delle rime, esposizione complicata da un fitto intreccio di formule ricercate e di ornamenti retorici.

I generi

La lirica trobadorica è caratterizzata, inoltre, da una relativa fissità di temi, con un corrispondente repertorio di parole chiave.

Questo materiale si esprime attraverso due registri fondamentali, con frequenti interferenze reciproche:

  • Quello alto, aristocratico (detto anche “soggettivo”, perché tratta sentimenti personali)
  • Quello popolareggiante (“oggettivo”, spesso dialogato, che descrive un’azione o mette in scena dei personaggi).

Al primo appartengono, oltre alla canzone, gli importanti generi del sirventes, della tenso, del joc-partit.

Il sirventese tratta temi e polemiche morali, letterarie, personali, politiche, nei toni della satira e dell’invettiva.

La tenzone è un dibattito tra due o più trovatori sugli argomenti più disparati (politica, letteratura, casistica amorosa ecc.): lo scambio di opinioni avviene nell’ambito dello stesso componimento, costruito a più mani dai contendenti, che intervengono alternativamente occupando ogni volta lo spazio di una strofa.

La struttura del gioco ripartito o partimen (spartizione) è identica alla tenzone, tranne per il fatto che qui il dibattito si svolge con ruoli prefissati.

Mentre questi generi divergono dalla canzone solo per il contenuto, altri, come il descort, la balada e la dansa, presentano anche una diversa tecnica storica e musicale.

Il disaccordo si definisce come anti-canzone per la sua voluta, totale asimmetria (di strofe, versi, rime, musica), volta a esprimere lo stato, reale o fittizio, di smarrimento e confusione causato dalla passione amorosa.

Balada e dansa, generi legati al ballo, e caratterizzati dalla presenza di un refrain (ritornello), cantato dal coro in momenti prefissati rispetto alla voce del solista, appartengono al registro popolareggiante, così come l’alba e la pastorela.

La prima esprime il rammarico degli amanti, costretti a separarsi dopo l’incontro notturno, per l’arrivo precoce del nuovo giorno; la seconda è invece un contrasto o dibattito fra una pastora e un cavaliere, che cerca, talvolta raggiungendo il suo scopo, di sedurla.

I poeti trobadorici

Ma quali sono i principali protagonisti della lirica trobadorica? vediamne di seguito tre, tutti esponenti della poesia provenzale pure se con delle differenze peculiari.

Guglielmo IX

Guglielmo IX duca d’Aquitania è il primo trovatore conosciuto. Ci restano di lui dieci componimenti, che trattano principalmente d’amore: amor cortese, con i temi che diventeranno tipici della successiva produzione lirica, ma anche amore sensuale, cantato con toni divertiti o schiettamente osceni.

Bertran de Born

Nobile e frate cistercense, ha lasciato una quarantina di componimenti, sirventesi per la maggior parte, ma anche canzoni d’amore.
Dante ne conosce la produzione e lo cita a più riprese.

Arnaut Daniel

Arnaut Daniel rappresenta forse il culmine della lirica trobadorica per tecnica raffinata e abilità metrica. Ci restano diciotto sue poesie, ognuna diversa dall’altra nella struttura strofica, a testimoniare una continua ricerca di formule metriche nuove, che si abbina a una decisa propensione per la rima cara (rima difficile e preziosa) e per il trobar ric (ricco) o prim (eccellente), una poesia appunto molto ricercata e complessa a livello formale. Fu lui a definire la formula della sestina, che divenne celebre per merito di Dante, sulla scia del quale la sperimentò anche Petrarca.

I trovatori e l'Italia

Scuola siciliana e rimatori toscani
Fonte: getty-images

Non sono rari, dalla fine del XII secolo, i trovatori che approdano in Italia, ospitati presso le corti padane, a cominciare da quella del marchese Bonifacio I di Monferrato.

L’intensa circolazione e il successo della lirica occitanica nel settentrione d’Italia spiegano la presenza, accanto ai trovatori originari del sud della Francia, di un folto gruppo di trovatori italiani che adottano la lingua provenzale. Ricordiamo, fra gli altri, i genovesi Percivalle Doria, Bonifacio Calvo e Lanfranco Cigala, il bolognese Rambertino Buvalelli, il veneziano Bartolomeo Zorzi, il mantovano Sordello.

Sordello da Goito, nobile ma privo di mezzi, visse spostandosi di corte in corte, prima nell’Italia settentrionale, poi nella penisola iberica, e infine in Provenza.

Una situazione affine a quella del nord dell’Italia si riscontra in Catalogna, dove scrivono in provenzale poeti nativi della regione.

Tuttavia, sia in Italia sia nella penisola iberica, l’ideologia dell’amor cortese, con il suo corredo di temi, generi poetici, formule stilistiche, lessico tecnico, trova anche seguaci che si esprimono in lingue locali: i poeti gravitanti attorno alla corte di Federico II e quelli gravitanti attorno alla corte castigliana di re Alfonso X il Savio, che useranno, rispettivamente, il siciliano illustre e il dialetto galego-portoghese. E in parlate locali era già avvenuto il trapianto del modello provenzale nel nord della Francia e in Germania (Minnesänger).
Il movimento trobadorico, di eccezionale importanza nella civiltà e nella letteratura europea, è stato il punto d’avvio di tutta la lirica occidentale; in Italia la sua influenza fu decisiva per i Siciliani, gli Stilnovisti, Petrarca e oltre.

Leggi anche:

Un consiglio in più