La letteratura italiana durante il fascismo
Indice
1Le radici culturali del fascismo
Il movimento fascista nasce e si sviluppa in maniera improvvisa e tumultuosa in un'Italia ancora fortemente scossa dagli enormi sforzi umani ed economici della Prima Guerra Mondiale, e dalle enormi tensioni politiche emerse con le sommosse del biennio rosso.
I fasci italiani di combattimento, fondati da Benito Mussolini nel 1919 a Milano, s'impongono ben presto come una forza politica vitale, destando l'interesse e la curiosità d'intellettuali, poeti e scrittori.
Dal punto di vista ideologico, infatti, già il primissimo fascismo si presenta come un'originale miscuglio di riferimenti culturali e ideologici e pratiche politiche antitetiche: le parole d'ordine dei socialisti vengono riprese e piegate in chiave nazionalista, così come quelle della tradizione repubblicana e anticlericale sono rimodellate in un'ottica fortemente reazionaria, mentre sul piano dell'azione politica le critiche alla classe dirigente si trasformano, di fatto, in violentissimi attacchi alle sedi dei lavoratori e dei partiti di sinistra al fine di tutelare gli interessi dei grandi proprietari terrieri e dei grandi industriali.
Anche sul piano estetico esiste una forte mescolanza di simboli di tradizione diversa, come il simbolo del teschio ripreso dalle formazioni di arditi che avevano combattuto sul fronte austriaco e lo stesso fascio littorio, che dai tempi della Rivoluzione francese fino ad arrivare ai fasci siciliani, aveva sempre avuto un valore repubblicano se non addirittura socialisteggiante.
1.1Il fascismo e le avanguardie
In concreto, però, il discorso fascista si nutre e si basa sulla retorica bellica e nazionalista, agita la questione della vittoria mutilata e i reduci di guerra affluiscono in massa tra le sue fila: non c'è perciò da stupirsi che si creassero immediate corrispondenze con alcuni movimenti letterari e con alcune figure intellettuali che, da anni, portavano avanti ideali bellicisti e nazionalisti.
In questo senso il neonato movimento si presenta come la naturale prosecuzione, e incarnazione, delle posizioni di quegli scrittori che avevano preso fortemente posizione a favore dell’entrata in guerra.
Personaggi come il romanziere triestino Scipio Slataper, fautore di una forte polemica irredentista, o come Giuseppe Prezzolini e Ardengo Soffici sono tra quelle che testimoniano quanto le posizioni interventiste e militariste fossero diffuse tra i letterati italiani anche se, ovviamente, i nomi più importanti tra questi sono quelli di Gabriele d’Annunzio e Filippo Tommaso Marinetti, che aderiscono al fascismo e l’appoggiano fin dai suoi primi anni.
In effetti, tra il fascismo e gli ambienti del futurismo italiano, e in particolare con il suo fondatore, si crea fin da subito un legame particolare, dato che il movimento mussoliniano sembra mettere in pratica le idee tracciate da quell’avanguardia letteraria e artistica.
Più complesso appare il legame con Gabriele D'Annunzio che, intellettuale e poeta raffinatissimo, interventista della prima ora e promotore dell'impresa fiumana, sembrava incarnare alla perfezione l'ideale dell'uomo fascista, al punto che questo ne fece una sorta di simbolo, un ruolo che però il 'Vate' trova presto scomodo, soprattutto quando, nell’ultimo periodo della sua vita, ha forti attriti con Mussolini.
2Il fascismo al potere
Il lungo Ventennio fascista si caratterizza per la progressiva opera di repressione e censura delle varie voci di dissenso al regime e per la complessa e articolata opera d’imposizione dell'ideologia di partito, un’operazione che si muove tanto sul piano politico quanto su quello culturale.
Esemplare sotto questo punto di vista è quanto succede a seguito dell'omicidio di Giacomo Matteotti, il 10 giugno 1924, un episodio che scuote fortemente l'opinione pubblica e spinge molti giornalisti, intellettuali e politici a criticare apertamente il governo e lo stesso Mussolini; i sostenitori del governo, invece, prendono posizione per difenderlo.
Giovanni Gentile, eminente filosofo e autore di una riforma scolastica che Mussolini definisce come «la più fascista» delle riforme, prende apertamente posizione in favore del governo stilando un Manifesto degli intellettuali fascisti cui aderiscono, oltre a D'Annunzio e Marinetti, anche personaggi del calibro di Pirandello, Ungaretti e Malaparte.
Un’iniziativa imitata poco meno di un anno più tardi, il I maggio del 1925, da Benedetto Croce che stila un Manifesto degli intellettuali antifascisti in risposta a quello pubblicato da Gentile a cui aderiscono molte importanti personalità del mondo della cultura, delineando così un'opposizione destinata ad assottigliarsi sempre col tempo.
Nel processo di solidificazione dell'impianto culturale fascista ha un ruolo di primo piano il Ministero della Cultura Popolare, un nuovo ente statale fortemente voluto e fondato dallo stesso Mussolini che aveva il compito di diffondere la linea politica del partito nel modo più ampio possibile.
Compito che viene affrontato in maniera assolutamente innovativa attraverso l'ampio uso della radio e del cinema, cioè dei più nuovi mezzi di comunicazione che il nuovo secolo metteva a disposizione: in questo modo la propaganda si muove attraverso i notiziari radio e i cinegiornali, mentre i film promossi dal ministero danno corpo agli ideali di vita nella società fascista.
2.1La cultura fascista
La diffusione del consenso per il nuovo regime, e quindi l'appiattimento delle posizioni critiche, è un processo lungo e complesso e, al netto della repressione delle posizioni apertamente antifasciste e contrarie al regime, questo dimostra una notevole capacità di assorbire al suo interno posizioni e influenze culturali assai diverse, che vanno ad alimentare un dibattito interno al partito ricco ed articolato.
Molte sono le iniziative e le riviste che, proseguendo nel solco della tradizione d'inizio Novecento, mescolano letteratura, analisi politica e riflessione intellettuale.
Tra le riviste vanno senz'altro ricordate La critica fascista, una rivista di polemica culturale diretta dall'originale figura di Giuseppe Bottai, e ovviamente Gerarchia, organo di dibattito e riflessione interno al partito fondato dallo stesso Mussolini, che ha un ruolo chiave nel definire la linea politica del regime durante tutto il Ventennio.
Rivista politica che però presenta anche importanti digressioni letterarie è Il Bargello, fondata dall'intransigente gerarca Alessandro Pavolini, in cui però, con una certa cautela, vengono presentate le opere di nuovi scrittori italiani o di grandi autori europei.
2.2Strapaese e Stracittà
Più specificamente letterarie sono le riviste Il Selvaggio e L'italiano, riviste che assumono il compito di definire i criteri di una letteratura fascista, mescolando stile e istanze politiche.
Il Selvaggio, cui partecipa entusiasticamente Mino Maccari, inizia le sue pubblicazioni nel 1924 con l'intenzione di fungere da pungolo al nuovo regime che, nell'ottica della rivista, non doveva abbandonare lo spirito dello squadrismo dei primi tempi e, anzi, mantenere lo spirito anti-borghese; finita questa prima fase, il periodico assume una postura più nettamente culturale, dando spazio ad artisti e letterati emergenti, così sulle sue pagine compaiono i nomi di Giorgio Morandi, Renato Guttuso, Romano Bilenchi ed Elsa Morante.
L'italiano, diretto da un giovanissimo Leo Longanesi, come l'altra rivista mescola arte narrativa e figurativa, raccogliendo le opere di Malaparte e Ungaretti, e prefiggendosi il compito di tutelare lo spirito originario del fascismo e la sua natura antiliberale; dopo questo primo periodo, dal 1930 la rivista assume una postura marcatamente artistica e letteraria.
Entrambe le riviste fanno parte di quel movimento culturale noto come Strapaese che, nato come interno al fascismo, si connota per il suo forte provincialismo e nazionalismo, proponendosi di ricostruire, attraverso il movimento politico mussoliniano, l'ideale di un'Italia rurale, cristiana e patriottica.
Ad esso si oppone il movimento conosciuto come Stracittà che, al contrario, vedeva nel fascismo uno chiave per la sprovincializzazione della cultura italiana e per la sua innovazione tramite la costruzione di collegamenti con la cultura europea.
3La letteratura coloniale
L'espansionismo territoriale e la costruzione di un impero coloniale, obiettivi che il Regno d'Italia perseguiva già dalla fine del XIX secolo, diventano una colonna della propaganda fascista che vede in essi un metodo di affermazione del Paese sul piano internazionale.
Il nazionalismo esasperato, la retorica militarista che dipingeva la guerra come qualcosa di avventuroso ed eroico nascondendone gli orrori, e l'immaginario coloniale che dipingeva le nazioni e i popoli non occidentali come qualcosa di esotico da conquistare, da sottomettere e civilizzare: sono questi gli elementi chiave che sostanziano quella letteratura coloniale che si diffonde in Italia con l'inizio delle prime operazioni belliche in Africa, che si dà una struttura composita e forte con l'avvento del fascismo e che funge da puntello ideologico e sociale degli sforzi militari del regime.
La letteratura coloniale riassume sotto molti aspetti il connubio tra politica e cultura che caratterizza il Ventennio.
Già dal 1926 la rivista Esotica dichiarava che fosse compito della letteratura fungere da appoggio per le imprese coloniali del regime; pochi anni dopo sotto la guida di Marinetti si forma un gruppo di scrittori, di cui fanno parte anche letterati del calibro di Massimo Bontempelli, incaricati di scrivere storie e romanzi d'ambientazione coloniale.
Si viene a creare così una vasta offerta di letteratura d'intrattenimento che, ricolma di stereotipi razzisti e retorica bellica, dipinge le guerre coloniali come un'occasione per vivere avventure sensuali, per visitare luoghi misteriosi e inesplorati, e anche per dimostrare il proprio valore militare.
L'aggressione all'Etiopia nel 1936 dà ulteriore linfa a questa espressione letteraria: il regime spinge i partecipanti alla guerra dotati di un qualche talento letterario a scrivere articoli e racconti sulla loro esperienza di guerra, e in questo contesto si distinguono i romanzi di Pavolini e le prime fatiche letterarie di un giovanissimo Indro Montanelli.