Lettera del Veggente di Arthur Rimbaud: analisi
Lettera del Veggente di Arthur Rimbaud: analisi del testo inviato da Arthur Rimbaud all'amico Paul Demeny il 15 maggio del 1871
Indice
Lettera del Veggente
Lettera del veggente è importante perché attraverso questo testo si può capire la poetica simbolista.
Nella sua delirante ma mirabile poetica, Rimbaud ha deciso che la sua ricerca sarà l’interiorità: “il poeta cerca la sua anima, la scruta, la saggia…”.
Quello è il suo campo d’azione: il poeta cerca la sua anima, perché gli appare [l’anima] come un mondo decisamente più affascinante e misterioso. Il mondo dell’interiorità è molto più affascinante e misterioso rispetto all’universo esteriore ed esterno: forse l’universo esterno è un’illusione. Il pensiero di Rimbaud non è quello di uno scienziato, anzi, è irrazionalista; non è lo scienziato, ma è il veggente, cioè colui che non vede con gli occhi esteriori, ma vede in un altro modo: vede senza l’aiuto dei sensi, senza l’aiuto della ragione, vede ciò che il velo della realtà nasconde. Ecco il poeta si fa veggente mediante l’annullamento di tutti i sensi.
Cos'è la Lettera al veggente
Rimbaud sa che lo sconvolgimento dei sensi è considerato il delirio e l’allucinazione della follia, perché lui ha provocato questa follia per esperienza personale, lui comincia a cercare quella follia assaporando tutti i veleni; solo in maniera artificiale diventa sommo sapiente perché giunge all’ignoto.
Quando Rimbaud scrive questo ha 17 anni, quindi ancora ha dentro di sé lo slancio verso l’assoluto, il mito del poeta veggente.
Lui vuole portare la verità, il fuoco, agli uomini. E come può portare questo fuoco? Deve trovare una lingua per comunicare agli altri uomini quello che lui vede in questi viaggi e lo deve fare attraverso il simbolo, attraverso l’illusione, attraverso l’analogia. Quindi, la nuova lingua sarà proprio il contributo del poeta al progresso dell’umanità. Ecco perché lui diventa profeta e modello per le generazioni motivi dei poeti del ‘900.
Significato e analisi
Questa lettera, scritta appassionatamente da un Rimbaud appena sedicenne, costituisce un elemento fondamentale nell'opera e nel pensiero del poeta, e viene considerata il primo vero manifesto delle correnti simboliste.
La missiva è un urlo trionfante e feroce con cui Rimbaud investe il poeta della funzione di Profeta, di Veggente che ha la missione di guidare gli uomini sulla strada dell'Avvenire. Il poeta deve la propria lucidità soprannaturale alla capacità di coltivare sistematicamente le sensazioni, allo sregolamento di tutti i sensi, e diventa Veggente grazie alla malattia, alla droga, al delitto, coltivando in sé allucinazioni e percezioni assolute: un concetto peraltro già adombrato qualche anno prima nei Paradisi artificiali di Charles Baudelaire.
Questa lettera scritta a Paul Demeny nel 1871 promette fin dall'inizio "un'ora di letteratura nuova", e in effetti contiene i motivi centrali della poetica di Rimbaud. In primo luogo egli comincia dal distruggere in poche righe tutto il passato letterario della Francia e del mondo, salvando solo i greci dell'antichità.
Tutto è "prosa rimata", "versificazione" espressione di "generazioni idiote".
Una specifica menzione di disonore è riservata al soggettivismo e al sentimentalismo dei romantici e, in generale, allo spirito francese rappresentato da Lamartine, Musset, Rabelais, La Fontaine, Voltaire. La pars construens è rappresentata dall'affermazione del poeta veggente.
Sintetizza così Diego Valeri: "Ora bisogna instaurare una poesia nuova, fondata sull'assioma che "Io è un altro": cioè che il nostro Io più autentico, il solo "nostro io", è ancora inesplorato, sepolto e confuso nell'inconscio, e che ad esso bisogna ricorrere, a esso attingere i mezzi e le forze, per ricongiungersi alfine con "l'Intelligenza universale". Il poeta, cioè, offre la parola alla visione che si forma in lui, emergendo dalle zone oscure dell'inconscio. È un attivo ascoltatore che propizia il "caso" dell'ispirazione senza dargli una direzione prefissata: "lancio una nota sull'archetto: la sinfonia fa il suo sommovimento in profondità". I risultati sono incontrollabili: "Se l'ottone si sveglia tromba, non è affatto colpa sua".
Questa ricettività viene conquistata attraverso una sorta di ascesi e di annullamento della personalità cosciente, sovvertendo il modo stesso di percepire imposto dalla convenzione e dall'abitudine (attuando, cioè, un consapevole "sregolamento dei sensi"). Solo così si giunge alla ricettività metarazionale di chi - "veggente" - sa cogliere le "corrispondenze" (in senso baudelairiano) della natura e farsi voce dell'ignoto. Il linguaggio poetico deve corrispondere a questa intuizione dell'unità. Occorre "trovare una lingua [...] dell'anima per l'anima" capace di riassumere tutto, profumi, suoni, colori, del pensiero che aggancia e che tira.
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