Analisi e parafrasi de La vita fugge et non s'arresta una hora
La vita fugge et non s'arresta una hora: analisi, temi e parafrasi del sonetto scritto da Francesco Petrarca dopo la morte di Laura
FRANCESCO PETRARCA E LAURA
La vita fugge et non s'arresta una hora è un componimento scritto dal poeta trecentesco Francesco Petrarca dopo la morte di Laura, sua amata e ispiratrice delle sue poesie. Il poeta, che ha perso la sua guida, all'interno di questo componimento parla del suo dolore, e del fatto che lui stesso ormai desideri morire.
LA VITA FUGGE ET NON S’ARRESTA UNA HORA: PARAFRASI
La vita corre e non si ferma un attimo e la morte viene dietro a grandi tappe; mi tormentano i ricordi della vita passata, le circostanze di quella presente, le previsioni di quella futura; e il ricordare e l’aspettare mi angosciano sia se mi rivolgo al passato sia all’avvenire, così che in verità, io mi sarei già liberato di questi affanni, se non avessi pietà della mia anima.
Cerco di ricordarmi se il mio triste cuore ebbe mai alcuna gioia; e per quanto riguarda il futuro, vedo i venti turbati nel corso della mia vita; vedo tempesta anche in porto: persino la morte, che avrebbe dovuto essere il mio porto di tranquillità, mi si preannuncia agitata, e stanco ormai il mio spirito, vedo rotti gli alberi e le funi della mia nave e vedo spenti per sempre i begli occhi di Laura che ero solito contemplare.
LA VITA FUGGE ET NON S’ARRESTA UNA HORA: ANALISI
Questo drammatico sonetto, percorso da un ritmo rotto e agitato, nasce in Petrarca in un momento di grave turbamento, di pesante e cupo sconforto.
Laura è morta e lui avverte con sgomento la fugacità della vita: sente dietro di sé il passo veloce della morte, e non solo non sa riconoscere alcun motivo di conforto nei ricordi del passato, ma non intravede neppure alcuna luce di speranza nell’avvenire. Tutto intorno a lui è rovina e tempesta.
L’ultimo verso dimostra un vero e proprio naufragio esistenziale. Il tema è sempre quello della fugacità del tempo, ma torna con un’insistenza maggiore e lo fa con una prospettiva differente da quella precedente nei sonetti In vita di Madonna Laura; questo sonetto vuole essere piuttosto il compimento della storia spirituale raccolta nel Canzoniere.
Inoltre il tema riprende il motivo della vanità del tutto che è già annunciato nel sonetto premiale Quanto piace al mondo è breve sogno.
Il sonetto è diviso in due quartine e in due terzine secondo lo schema ritmico tipico del sonetto ABBA ABBA CDE CDE. Nella prima quartina, dal primo verso, si annuncia l’inesorabilità del tempo che corre e che Petrarca vede come qualcosa di materiale, come fosse un nemico che lo insegue: la morte si presenta nell’immaginazione del poeta come un pauroso fantasma.
Dal punto di vista stilistico-linguistico la fugacità del tempo è resa mediante la struttura sintattica del polisindeto che domina tutto il discorso poetico conferendogli un andamento incalzante, quasi affannoso. Le preposizioni incalzano, e il tutto è sottolineato dal ripetersi della congiunzione e, che determina un ritmo assai stentato e faticoso.
Anche l’utilizzo di apostrofi e forme elise e tronche dà l’idea di questa lacerazione interiore: presentano un ritmo spezzato, sincopato.
Petrarca descrive questo suo tormento interiore anche attraverso l’affollarsi di verbi di movimento, che dimostrano, appunto, affanno: fugge, vien, tornami e le forti apposizioni binarie (antitesi).
In questo sonetto, inoltre, sono presenti due metafore capaci di descrivere lo sconvolto paesaggio dell’animo del poeta. All’inizio del sonetto vi sono le metafore che riguardano la guerra (a gran giornate, mi danno guerra), che descrivono l’angoscia dei piani temporali del presente e del passato, che ormai non sono più capaci di dare una qualche consolazione al poeta.
Alla fine, vi sono le metafore del navigare e del porto. Con la prima il poeta afferma che la sua vita futura gli appare come una navigazione in un mare in tempesta. Con la metafora del porto, invece,contrariamente a quanto ci si possa aspettare, presenta il tramonto della vita, che è, per definizione, la morte, nella quale si dovrebbe trovare sollievo.
In realtà, Petrarca raffigura anche il porto in tempesta, la fortuna, da cui si deduce la sua visione tormentata della morte.