La tragedia
Indice
1La tragedia: caratteristiche
Il testo teatrale viene solitamente classificato in due grandi generi fondamentali:
- quello della tragedia;
- quello della commedia
Le origini di entrambi risalgono alla civiltà greca. La tragedia è quel genere teatrale dallo stile elevato in cui vengono messe in scena vicende esemplari e in cui vengono affrontanti i grandi problemi dell’uomo, emotivamente coinvolgenti, che spingono lo spettatore a riflettere sul dolore e sulla fragilità della vita umana, sul bene e sul male, sulla vita e sulla dimensione divina.
In origine la tragedia si ispirava alle divinità e agli eroi mitologici, portando in scena lo scontro dei personaggi con un fato avverso, un destino ineluttabile. Solitamente a dare il via alla vicenda era l’infrazione di un divieto, con cui veniva rotto l’equilibrio iniziale: era il momento dell’hamartìa, ovvero dell’errore che porta il personaggio a compiere un gesto sacrilego (hybris). Lo svolgimento della vicenda e, soprattutto, la conclusione (la nèmesis) erano spesso catastrofici, per l’appunto tragici, segnati da fatti luttuosi, violenti e da gravi sofferenze.
Per tutti questi motivi il linguaggio della tragedia non può che essere alto e solenne, ricco di periodi ipotattici, capace di mettere in luce la complessità della vita.
1.1La struttura della tragedia classica
Ma come è strutturata la tragedia classica e, in particolare, quella greca? La tragedia greca si compone di cinque diversi elementi, strutturati come segue:
- Un prologo, nel quale viene introdotto l’argomento di cui si parlerà e ne vengono narrati gli antefatti;
- Il parodo (pàrodos), ovvero il canto di ingresso del coro;
- Una serie di episodi (da tre a sei), ovvero gli atti del dramma;
- Gli stasimi (stàsima), ovvero i canti corali che chiudono ogni episodio;
- L’esodo (èxodos), ovvero il canto finale.
1.2La tragedia nella Poetica di Aristotele
Per comprendere a fondo i meccanismi del teatro antico può essere utile consultare la Poetica di Aristotele, un trattato, scritto ad uso didattico probabilmente tra il 334 e il 330 a.C., in cui il filosofo greco si trovò a riflettere, tra le altre cose, anche sulla composizione della tragedia.
Secondo Aristotele, la tragedia è un’imitazione di un’azione seria e compiuta e deve suscitare pietà e terrore. Essa deve affrontare temi universali e deve farlo in modo realistico e verosimile. Nello spettatore deve suscitare sentimenti di pietà e di paura, liberandolo da quelle che sono le sue tensioni. Questo effetto liberatorio dalle passioni che la rappresentazione tragica porta con sé è un momento che Aristotele definisce catarsi.
Infine, sempre secondo il filosofo greco, la tragedia – per preservare l’ordine e l’armonia e dunque la bellezza del racconto – deve rispettare le cosiddette tre unità:
- unità di tempo: l’azione rappresentata deve svolgersi nell’arco di una sola giornata;
- unità di luogo: lo svolgimento dell'azione deve limitarsi a un solo ambiente;
- unità di azione: l'argomento deve limitarsi a un unico avvenimento e l’azione deve essere compiuta, cioè, deve avere un inizio uno svolgimento e una fine.
2La storia della tragedia
Nel teatro la tragedia e la commedia sono i due generi più famosi e che hanno radici più antiche. Entrambi, infatti, nacquero nell’antica Grecia e conobbero il loro massimo splendore nel V secolo a.C., in quella che è passata la storia con il nome di età di Pericle.
La tragedia nacque dalle processioni e dai canti in onore di Dioniso, dio del vino, dell’ebrezza e della liberazione dei sensi. Durante questi riti venivano intonati degli inni corali, che prendevano il nome di ditirambi. È da questi canti rituali, che in origine erano accompagnati da danze, che si sviluppò la tragedia, che letteralmente significa "canto del capro".
Inizialmente i ditirambi erano guidati da un capo coro, chiamato corifeo; successivamente, invece, il coro si divise in due gruppi che cantavano in maniera alternata. Ancora più tardi, dal coro iniziò a staccarsi un attore, il protagonista (primo attore), che interagiva con il corifeo e interpretava più personaggi. Fu Eschilo (525-456 a.C.) a introdurre il deuteragonista (secondo attore), mentre la presenza del tritagonista (terzo attore) si deve a Sofocle (496-406 a.C.).
2.1La tragedia nell’antica Grecia
Fu proprio in virtù di questi ampliamenti che nacque, in Grecia, la tragedia: i tre maggiori esponenti di questo genere furono i già citati Eschilo e Sofocle, ed Euripide (480 circa-406 a.C.).
Di Eschilo possediamo oggi sette tragedie, ma sappiamo che gli ne scrisse circa ottanta. È a lui che dobbiamo, oltre all’introduzione del secondo attore, la presenza dei temi della colpa e della punizione divina e, di conseguenza, di personaggi dai caratteri eroici.
Sofocle, invece, scrisse circa centoventi tragedie; di queste oggi ne sono sopravvissute soltanto sette. Egli riuscì a inserire nei suoi testi una forte tensione drammatica, ideando personaggi spesso in lotta contro un destino avverso.
Infine, Euripide, di cui possediamo diciassette tragedie delle circa ottanta che egli scrisse, si caratterizzò per una scrittura decisamente realistica e per la creazione di personaggi con una forte caratterizzazione psicologica.
2.2La tragedia a Roma
Nell’antica Roma il teatro occupò un posto di assoluto rilievo, a partire – e, in parte, soprattutto – dalla letteratura delle origini. Gli autori latini si ispirarono al modello del teatro greco con cui entrarono in contatto a partire dalla conquista della Magna Grecia; questa condusse a una graduale ellenizzazione che abbracciò tutta la produzione letteraria in lingua latina.
Sebbene il genere teatrale che più appassionò i romani fu quello della commedia, la tragedia trovò un suo grande esponente in un letterato del calibro di Lucio Anneo Seneca (4 a.C.-65 d.C.), di cui ci sono giunte integralmente nove opere tragiche:
- Ercole furente
- Le Troadi
- Le Fenicie
- Medea
- Fedra
- Edipo
- Agamennone
- Tieste
- Ercole Eteo
Esse furono caratterizzate dalla presenza di scene ricche di violenza, da un gusto macabro del sangue e dell’orrore; ne emerse una cupa visione del mondo, che rifletteva la società contemporanea dell’autore, vissuto sotto l’impero di Nerone.
2.3La tragedia dal Medioevo al Seicento
La tragedia scomparve quasi del tutto durante il Medioevo, per poi venire riscoperta come genere teatrale a partire dal Rinascimento. Seneca, in quest’ottica, divenne il modello principale a cui i tragediografi dell’epoca si ispirarono.
Fu soprattutto nel Seicento che la tragedia conobbe un nuovo splendore in tutta Europa. In Inghilterra, durante il regno di Elisabetta I (1558-1603), visse uno degli autori di tragedie più famosi dell’intera storia mondiale del teatro. Stiamo ovviamente parlando di William Shakespeare (1564-1616) che fu attore, comproprietario del Globe Theatre di Londra e, soprattutto, autore di opere teatrali rimaste indelebili nella memoria collettiva, tra cui commedie, drammi storici e, ovviamente, tragedie.
Tra queste non possiamo non citare Romeo e Giulietta (1594-1596), Re Lear (1605-1606) e Macbeth (1605-1608). Shakespeare operò una rottura rispetto alla tradizione: decise, infatti, di non rispettare le tre unità – di tempo, di spazio e di azione – tanto care ad Aristotele.
In Spagna, sempre a cavallo tra Cinquecento e Seicento, spiccarono come autori di tragedie Lope de Vega (1562-1635) e Pedro Calderón de la Barca (1600-1681), che trattarono nelle loro opere temi legati ai conflitti sociali e alle passioni umane.
Sempre nel Seicento, anche il teatro francese conobbe la sua piena maturità, grazie anche alla promozione delle arti portata avanti da Luigi XIV, il cosiddetto Re Sole. Fu in questo clima di fioritura teatrale che vennero scritte alcune delle più importanti tragedie della storia letteraria francese, per mano di autori come Pierre Corneille (1606-1684) e Jean Racine (1639-1699), che trassero ispirazione dalla storia antica, dal mondo classico e dall’immaginario mitologico.
2.4L'Italia e la tragedia
E in Italia? Nel nostro Paese bisogna attendere il Settecento per conoscere un autore di tragedia di livello europeo. Stiamo parlando di Vittorio Alfieri (1749-1803), autore di 21 tragedie in endecasillabi sciolti, caratterizzate da uno stile breve e, al contempo, solenne. I protagonisti di queste opere tragiche sono personaggi di eccezione – re, tiranni, uomini politici –; degli individui che si trovano a combattere contro un fato avverso, in uno scontro tutto interiore verso la conquista della propria libertà. Le tragedie più importanti di Alfieri sono Saul (1782) e Mirra (1784) che, esattamente come gli altri scritti teatrali dell’autore, rispettano appieno le regole della tragedia classica e le tre unità aristoteliche.
A partire dall’Ottocento, infine, il confine tra tragedie e commedia si fece sempre più labile, dando vita a un nuovo genere intermedio.