La storia di Elsa Morante: analisi e personaggi
La storia di Elsa Morante: analisi con biografia dell'autrice, personaggi, spazio, tempo, fabula, stile, riassunto e commento
Indice
Elsa Morante, La storia
Scritto in tre anni, dal 1971 al 1973, La Storia, il più celebre tra i romanzi di Elsa Morante, venne pubblicato nel 1974, suscitando immediatamente calorosi consensi e accese polemiche.
Quest’opera letteraria non si presenta come i comuni romanzi storici dell’Ottocento, ma contiene, all’inizio di ogni capitolo, una scrupolosa e oggettiva ricostruzione storica di ogni anno dal 1900 al 1967.
In questo libro la Morante racconta se stessa e la percezione della guerra dal punto di vista della popolazione inerme, col preciso intento di far conoscere anche alle generazioni future la sofferenza della Grande Guerra.
Biografia breve
Elsa Morante è nata a Roma nel 1913. Imparò a leggere e a scrivere da sola senza bisogno di frequentare le scuole medie ed elementari. Iniziò ben presto a comporre le sue prime poesie e fiabe. Più grande si iscrisse al liceo classico dove sostenne risultati tanto positivi da permetterle di frequentare l'università. Non ottenne però la laurea perché troppo occupata dall'attività letteraria, che l'aveva portata a scrivere novelle e racconti pubblicati in seguito su riviste femminili.
Nel 1941 uscì la sua prima raccolta di novelle Il gioco segreto. Nello stesso anno si sposò con lo scrittore Alberto Moravia, con il quale, però si separò nel 1962. Il suo primo romanzo, Menzogna e sortilegio, fu pubblicato nel 1948 e ricevette il Premio Viareggio, nel 1957 la Morante ricevette il Premio Strega grazie a L'isola di Arturo. Scrisse anche: un libro di poesie (Alibi), un libro di racconti (Lo scialle Andaluso) ed una raccolta di poesie e prose (Il mondo salvato dai ragazzini).
Nel 1974 scrisse la sua più famosa opera, La storia, e il suo ultimo suo romanzo, Aracoeli, che risale al 1982. Tre anni dopo Elsa Morante morì a Roma.
La Storia: personaggi
Il narratore descrive direttamente ogni personaggio, fornendoci dati sia sull’aspetto fisico sia sul carattere.
Essi ci vengono presentati nella loro interezza: prima con una descrizione fisica e un’ampia panoramica sul loro mondo interiore, poi riportandone il passato, per meglio capire come si è formata la loro personalità, e infine, continuando ad analizzare le loro azioni e i loro comportamenti.
Ida Ramundo
Ida Ramando, vedova Mancuso, è la protagonista di questo libro, una giovane maestrina elementare di origini miste.
Sua madre, Nora Almagia, era una maestra elementare di origine ebraica, ma, per timore delle leggi razziali era solita cambiare l’accento del suo cognome da Almagià ad Almagìa, sperando così di camuffarlo in semplice cognome padano.
Lei proveniva infatti da Venezia, dalla quale se ne andò dopo aver ottenuto una cattedra a Cosenza, dove conobbe suo marito.
Giuseppe Ramando proveniva da una famiglia contadina nell’estremo sud calabrese, anche lui insegnava in una scuola elementare ma, al contrario della moglie, pacata e riservata, lui, seppure in privato, ostentava una fede anarchica.
Ida era nata nel 1903 e fin dai primi giorni dimostrò un’intelligenza mediocre, ma essendo docile e volenterosa, riuscì abilmente nello studio, e sulle orme dei genitori, diventò un’insegnante in una scuola elementare.
Dopo una difficile infanzia, che la vide orfana fin da ragazza, Ida crebbe segnata da dolori e timori, finché trovò sicurezza e serenità nell’amore e nell’affetto dimostratogli dal marito Alfio,anch’egli insegnante,e del figlio Nino, che crescendo le diede molte preoccupazioni e dispiaceri.
All’epoca dei fatti, Ida aveva trentasette anni e il suo corpo, piuttosto denutrito e malformato, era come quello di una donna matura: sfiorito nel petto e ingrossato nella parte inferiore. Al contrario il suo bel viso tondo non sembrava intaccato dai segni dell’età, e con le labbra, sembrava nell’insieme quello di una bimba; i suoi capelli erano crespi e nerissimi, ma già da tempo erano comparse delle ciocche bianche.
Ida era di indole umile, sempre abituata ad accontentare i desideri degli altri e chiusa nella sua timidezza, che le impediva anche di farsi conoscere dagli abitanti del suo quartiere.
Ida, sebbene battezzata e di fede cattolica, viveva, come sua madre, nel costante terrore che le squadre delle SS potessero arrestarla, e questa paura la portò con sé fino al giorno in cui venne rinchiusa in un manicomio.
Nino
Nino, solitamente chiamato Ninarieddu o Ninuzzo, e dal fratellino anche Ino, era il figlio maggiore di Ida, nonché un personaggio molto importante nella storia, perché ricopre il ruolo del partigiano, fortemente affascinato dagli ideali anarchici e allo stesso tempo dal mito americano.
Stanco della scuola, si dedicò ben presto ad attività che lui riteneva decisamente più educative, come ad esempio l’entrare a far parte delle brigate nere e sfilare in divisa per le vie di Roma. La sua indole ribelle e avventuriera lo portò ben presto ad arruolarsi, ma dopo breve ammirazione, quella per il Duce, che fin dall’infanzia lo aveva contrassegnato, svanì per tramutarsi in disprezzo. Fu così che avvenne il passaggio dal fascismo all’anarchia, da soldato a partigiano.
Fisicamente era un ragazzo piacente, dai capelli ricci e mori, in armonia con la tipica carnagione olivastra dei romani, anche gli occhi si sposavano in quell’insieme con un bellissimo color nocciola.
Useppe
Giuseppe, poi rinominato Useppe, è il secondo figlio di Ida, nato da uno stupro da parte soldato tedesco incontrato per caso davanti al portone della donna.
Era un bambino molto docile, di indole tranquilla, e molto grazioso nell’aspetto: i capelli tinti di un bellissimo nero, e gli occhi azzurro intenso, sicuramente ereditati dal padre, che scrutavano con fare curioso qualsiasi cosa lo circondasse.
A causa della guerra il suo corpo non ricevette mai ricevuto il giusto nutrimento, anche se Ida pur di procurargli un pasto decente si era risolta a rubare, e perciò rimase sempre esile e deboluccio.
Al contrario però, la sua personalità era molto vivace e solare. Useppe amava stare con gli altri bambini ma tra tutte, la sua compagnia preferita restava quella del fratello Ino, col quale se poteva passava intere giornate senza mai annoiarsi.
Lo spazio
La vicenda ha luogo a Roma in diversi ambienti tutti reali e sia esterni sia interni.
Quelli più importanti, dove si svolgono le scene principali, sono interni, come la casa di Iduzza, il ricovero di Pietralata e la casa dei Marocco.
L’appartamento di Ida è descritto poco dettagliatamente e di esso sappiamo che era molto piccolo, composto da una cucina, un bagno, una stanza da letto e un salottino nel quale dormiva Nino. Solitamente era in disordine perché i vestiti di Nino erano sparsi ovunque e più tardi, con l’arrivo di Useppe, la stessa sorte toccò ai suoi giochi, anche se questi si limitavano a due palline colorate e qualche noce.
Il ricovero di Pietralata era relativamente più grande ma lo spazio veniva diviso tra più famiglie, ad ognuna delle quali era adibito un angolo. In quell’ambiente Ida si sente più sicura perché a condividere le stesse ansie c’erano più persone.
La casa dei Marocco è ultima dimora: qui i due occupavano una sola stanza, quella del figlio partito per la guerra, che era arredata molto semplicemente. Vi era un solo lettino, un piccolo armadio e un tavolino sul quale erano ancora conservati gli effetti personali del proprietario.
Il tempo
La storia si svolge nell’arco di tempo di sette anni, dal 1941 al 1947; i riferimenti storici sono precisi poiché è l’autrice stessa a indicarci le date (“Due giorni dopo, il 10 luglio, gli alleati sbarcarono in Sicilia. La sirena adesso suonava tutte le notti, e Useppe, ogni sera, metteva sotto il proprio cuscino il guinzaglio di Blitz…”), fornendoci anche all’inizio di ogni capitolo, ognuno dei quali corrisponde ad un anno, una dettagliata cronologia degli eventi di quell’anno, ad esempio: “1946- Giugno- Settembre- In Italia, prime elezioni a suffragio universale per l’assemblea costituente e la scelta fra repubblica o monarchia. Vince la repubblica. La famiglia Savoia parte per l’esilio. Si riunisce l’Assemblea Costituente…”.
Fabula e intreccio
I fatti sono narrati in analessi, da un narratore onnisciente, che racconta la storia in ordine cronologico, inserendo spesso altre analessi o piccoli flash-back, perciò fabula e intreccio non corrispondono.
Lo scorrere del tempo è abbastanza omogeneo e l’utilizzo di sommari o ellissi, è relativamente basso mentre frequenti sono le pause, per lo più descrizioni e digressioni.
Aspetti stilistici
Il genere scelto dall’autore è quello del romanzo storico, ossia un testo in prosa di media lunghezza che ha come sfondo un’ambientazione storica reale.
Tecniche narrative
Le tecniche narrative utilizzate sono quella della narrazione in terza persona, il discorso diretto (- Eri fascista pure tu?- No- Eri antifascista pure da prima?- Sono stato sempre anarchico.-), il discorso indiretto (“…e intrufolandosi fra tutta quella gente, guardava divertito come se volesse annunciare che lui era lì.”), il discorso indiretto libero (“E Useppe si grattava di sotto e di sopra, eseguendo delle vere e proprie ginnastiche naturali, come i cani e i gatti, e brontolando appena per commento lope, ossia mosche, giacché lui tutti gli insetti li chiamava mosche.
”) e le digressioni, come la prima lunga descrizione del passato e della famiglia di Ida.
L’autrice fa anche utilizzo di molte analessi, come quella dedicata alla vita di Davide Segre dopo la morte di Nino, nella quale ci mostra una delle tante orribili conseguenze della guerra.
Il registro stilistico è medio e il lessico utilizzato è semplice (“Non era lei, ma una sorta di bestiaccia sanguisuga, sua nemica, che le si aggrappava all’interno, forzandola a una recitazione pazza e incomprensibile.”), con la presenza di termini dialettali (“Essa riapprovò nella camera e si sedette sulla sedia vicino al sommier, in compagnia di Bella, a guardare il pischelletto.”) e stranieri (“E puntando il dito sul soggetto fotografato, domandò a Ida, con la serietà di un’indagine: -Tot?-(morto?”).
La lingua
Le costruzioni sono sia paratattiche che ipotattiche e generalmente di media lunghezza (“E la grazia veneziana delle sue maniere la faceva amare dalle sue alunne.” “A quanto pare, la canzonetta s’era diffusa, nel giro degli uccelli, diventando un’aria di moda, visto che la sapevano anche i passeri.”).
Le figure retoriche più utilizzate sono le similitudini (“Poi, come fanno i gatti si era messo ad esplorare il suo nuovo alloggio.”), le enumerazioni (“Pareva divertirsi a provocare tutti: gli Italiani sottoposti, i Tedeschi occupanti, i rinnegati fascisti, le Fortezze Volanti degli alleati, i manifesti con le requisizioni e la pena di morte,”) e le climax, soprattutto per indicare le situazioni di angoscia della protagonista (“Al cessato allarme, nell’affacciarsi fuori di là, si ritrovava dentro una grande, immensa, gigantesca nube pulverulenta…”).
La voce narrante è quella dell’autore, che si presenta come un narratore onnisciente che conosce tutto dei suoi personaggi, e in base a questo partecipa alla vicenda esprimendo giudizi e perplessità (“Io non conosco abbastanza la Calabria. E della Cosenza di Iduzza non posso che ritrarne una figura imprecisa, attraverso le poche memorie dei morti.”).
La Storia: riassunto
La storia di Ida e dei suoi due figli ebbe inizio un giorno di gennaio del 1941, proprio la data in cui venne concepito Useppe in seguito ad una violenza perpetrata da un giovane soldato tedesco.
Circa un anno dopo il figlio maggiore Nino che, anche se di malavoglia aveva sempre vissuto con la sua famiglia, lascia la casa per arruolarsi nelle brigate nere, così Ida e Useppe rimasero soli.
Un giorno, madre e figlio si trovarono coinvolti in un attacco aereo durante il quale la loro casa viene completamente distrutta e non possedendo più nulla, tranne qualche misero risparmio, si rifugiarono in un centro per senza tetto nella zona di Pietralata.
In seguito, dopo un anno circa, i due si trasferirono presso la famiglia Marocco, occupando la stanza del figlio che era partito per la guerra.
Nino, da quando era partito, diede pochissime notizie di sé, facendo visita alla madre una volta ogni tanto.
Nella sua vita c’erano stati molti cambiamenti importanti, primo fra tutti l’essere diventato partigiano ed aver abbandonato gli ideali fascisti per quelli anarchici.
Col finire della guerra Nino si dedicò al contrabbando e, con le alte rendite del mestiere regalò al fratellino un bellissimo pastore maremmano di nome Bella.
Ida e Useppe continuavano a vivere nella precaria routine di tutti i giorni, quando giunse loro la notizia della morte di Ninnuzzo: durante un viaggio “di lavoro” il ragazzo venne inseguito dalla polizia e, mentre cercava di fuggire finì fuori strada.
La povera donna si ritrovò così a convivere con un ennesimo dispiacere nel cuore, consolandosi solamente con la presenza di Useppe, ma anche questa volta il destino fu crudele con lei e le portò via il secondo figlio.
Purtroppo non fu un evento totalmente inaspettato perché già da tempo, il bambino era tormentato da terribili crisi epilettiche, l’ultima delle quali gli fu fatale.
Impazzita per il dolore, Ida venne rinchiusa in un manicomio dove visse imprigionata nell’angoscia per nove lunghissimi anni, dopodiché la sua vita venne stroncata da una complicazione polmonare.
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