La sera del dì di festa di Leopardi | Video

La sera del dì di festa di Leopardi: guarda il video con Emanuele Bosi. Analisi e spiegazione del componimento del poeta di Recanati

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redazione

La sera del dì di festa di Giacomo Leopardi

La sera del dì di festa è un componimento dei Canti di Giacomo Leopardi. Qui sono presenti i punti fondamentali della poesia dell'autore di Recanati, temi presenti nell’Infinito e nel Sabato del Villaggio

La sera del dì di festa è una Canzone libera che Leopardi ha composto fra il 1819 e il 1821. Dal punto di vista metrico, è costituita da un blocco unico di 46 endecasillabi sciolti. Nell’ordinamento dei Canti è preceduta dall’Infinito, ma probabilmente è stata composta prima.

La sera del dì di festa si apre con un notturno che solo in un secondo momento si rivelerà essere la sera di un giorno festivo. Leopardi scrive infatti Questo dì fu solenne. Forse stai pensando che questa sia un’esatta copia del Sabato del villaggio, ma non è proprio così. Nel Sabato del villaggio il punto di vista è interamente centrato sulla sera precedente alla festa, mentre qui quel momento è solo accennato in questi versi:

"Nella mia prima età, quando s’aspetta / bramosamente il dì festivo."

Non è un mistero che il motivo dell’attesa gioiosa della festa e della conseguente delusione sia centrale per Leopardi. E non è un mistero neppure che tutto questo acquisti una valenza simbolica: il problema per Leopardi non risiede tanto in quella delusione, insomma, ma in ciò che comporta. In parole più semplici… se nel Sabato del villaggio la festa è di per se stessa fonte di tristezza e noia, qui l’angoscia del poeta è legata soprattutto alla fine di quel momento, perché è quello a ricordargli che il tempo scorre inesorabile.

Vediamo ora invece una somiglianza fra i due Canti: è la descrizione del notturno paesano. Chiudi gli occhi e immagina: luci fioche appena accennate, il buio che induce al silenzio… nel Sabato del villaggio gli unici rumori sono un martello, la sega del legnaiolo e un contadino che torna fischiettando. Qui, invece, proprio in fine di componimento, sentiamo il canto di un artigiano, che muore a poco a poco – dice Leopardi – “lontanando”.

Eppure alla serenità di quella che a noi appare come una notte tranquilla si contrappongono fortissime l’inquietudine e il dolore quasi esasperato di Leopardi, che scrive:

Qui per terra mi getto, e grido e fremo.

Il poeta vive di nuovo un senso di solitudine e di frustrazione per l’indifferenza della donna amata che lo ha ferito. E proprio lei, del tutto inconsapevole della sua sofferenza, riposa serena.

Come spesso accade in Leopardi, però, il tema del rifiuto è solo il primo spunto per una serie di riflessioni: il tempo che fugge, l’esistenza labile, e soprattutto la prospettiva che si allarga fino a raggiungere, dal tempo attuale, quelli antichi. Leopardi parla infatti del “grande impero” romano: anche le civiltà più illustri sono destinate a decadere, perché il tempo corrode tutto.

Ecco allora che anche il riposo notturno, prima contrapposto all’insonnia dell’amante deluso, diventa emblema della morte e della distruzione connessa alla perdita della memoria, nei versi E più di lor non si ragiona.

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