La Scuola siciliana: caratteristiche, canone lirico ed esponenti
Scuola siciliana, riassunto: caratteristiche, come si forma il canone lirico, le opere e i rimatori siculo-toscani
Indice
La Scuola siciliana
La poesia lirica si sviluppa in Italia durante il regno di Federico II di Svevia, la cui corte, prevalentemente situata in Sicilia, divenne il centro politico e culturale dell'Impero. Federico II adottò una visione moderna del potere, centralizzato e unitario. La sua opposizione alla Chiesa non fu solo di natura politica, ma anche culturale, promuovendo un approccio laico e favorendo lo studio scientifico. Federico II di Svevia sostenne il ritorno all'apprendimento del latino e incentivò la nascita di istituzioni educative e culturali, come la scuola di Capua, l'Università di Napoli e la scuola medica di Salerno. Città siciliane come Palermo e Messina diventarono centri di grande fermento intellettuale e culturale.
Per quanto riguarda la poesia, Federico II favorì lo sviluppo di forme liriche in volgare ispirate alla tradizione dei trovatori provenzali. Tale fu l’influenza della poesia siciliana che i poeti successivi, sino agli stilnovisti, furono chiamati siciliani anche se operavano in regioni del Centro o del Nord Italia. Oggi si parla di Scuola Siciliana solo per indicare il gruppo dei poeti (25 circa) attivi nel periodo fra il 1230 e il 1266.
Rispetto al modello provenzale, cambia anzitutto la figura del poeta. Questo non è più un professionista proveniente dalle file dei cavalieri poveri e della piccola nobiltà, né un giullare, ma, quasi sempre, un borghese che esercita funzioni giuridiche e amministrative a corte, e che si dedica alla poesia solo per diletto. La realtà in cui vivono i poeti siciliani non è più quella feudale: è la corte di Federico II; questo spiega il perché l’accento è posto, più che sul rapporto d’amore fra vassallo e dama, sull’amore in quanto tale.
Come si forma il canone lirico
Con la Scuola Siciliana abbiamo tre strutture metriche principali: la canzone, la canzonetta e il sonetto. Dalla canso provenzale deriva la canzone, che diventa la forma più elevata e illustre di poesia lirica. La canzone costituisce lo schema metrico più rappresentativo e importante della scuola. La canzonetta ha una struttura narrativa e dialogica e dunque si presta ad argomenti meno nobili ed elevati. Anche i versi sono più brevi e vivaci. Ha un andamento ritmico più semplice e spontaneo. Quanto al sonetto, esso è stato usato per la prima volta dal caposcuola dei Siciliani, Giacomo da Lentini. Il sonetto tratta argomenti diversi e svariati. La lirica siciliana si esprime in un linguaggio elevato; il volgare siciliano ne costituisce la base. Della lingua dai poeti siciliani effettivamente impiegata possediamo una scarsa documentazione.
Gli esponenti: Giacomo da Lentini e Cielo D'Alcamo
L’attività come funzionario imperiale di Giacomo da Lentini è documentata fra il 1233 e il 1241, e a questo periodo risalgono le sue poesie. Fu noto in Toscana come il Notaro. Di lui, che molto probabilmente fu l’inventore del sonetto, restano 38 componimenti. Fu quasi certamente il caposcuola, e dunque il fondatore, del canone lirico che sarà istituzionalizzato alla fine del secolo. Da Giacomo da Lentini derivano due tendenze principali: una “tragica”, l’altra più narrativa e colloquiale.
Questa seconda linea ha poi diversi punti di contatto con una produzione che sembra giullaresca, e quindi estranea alla Scuola siciliana vera e propria, di cui massima espressione è il Contrasto di Cielo d’Alcamo.
Il contrasto
Il Contrasto è un'opera di incerta attribuzione; nulla sappiamo dell'autore ed anche il suo nome è incerto. Sicuramente è stato scritto nell’arco cronologico che va dal 1231, anno della promulgazione delle Costituzioni di Melfi, al 1250, anno della morte di Federico II.
Il Contrasto è una rappresentazione “teatrale”, un testo da recitare con gesti, azioni mimate, uso di oggetti ed elementi scenici, se pur scarni ed allusivi; è un'opera giullaresca ritenuta per lungo tempo di origine popolare, ma negli ultimi tempi studi più approfonditi hanno stabilito che il 'poeta' non poteva che appartenere a una classe sociale piuttosto elevata, sia per le conoscenze storiche e culturali che si evidenziano nel componimento sia per il tipo di linguaggio, a volte colto ed elevato, con espressioni d'origine provenzale, riecheggianti modelli espressivi tipicamente cortesi.
Per quanto riguarda la lingua, nel Contrasto si alternano un registro “alto” e cortese e uno popolare e “basso”. Alla prima area linguistica appartengono numerosi latinismi e francesismi che hanno la funzione di nobilitare e impreziosire il testo.
La giullarata si apre con una dichiarazione cortese dell'innamorato, alla quale risponde Madonna con un secco rifiuto. Le maniere cortesi convivono con una certa rusticità di un atteggiamento e di un linguaggio che possiamo definire "popolari".
Coesistono quindi gentilezza e rusticità, cortesia e violenza, linguaggio popolare e linguaggio colto. Dopo un altezzoso atteggiamento iniziale, l’amata a poco a poco cede alle lusinghe del poeta e gli si concede infine appassionatamente.
I rimatori siculo-toscani e Guittone D'Arezzo
Dopo la battaglia di Benevento (1266) e il declino della potenza sveva, la civiltà letteraria siciliana decade rapidamente. Tuttavia, fra il 1240 e il 1266, i funzionari imperiali di Federico II e di Manfredi avevano intrattenuto frequenti rapporti con gli esponenti del partito ghibellino nei Comuni dell’Italia centrale e centro-settentrionale. Questi rapporti spiegano la diffusione della poesia siciliana in Toscana e a Bologna. Di fatto, il tramonto della civiltà letteraria siciliana coincide con il suo trapianto in Toscana.
I Siculo-toscani riprendono si la canzone e il sonetto elaborati dai Siciliani e la loro tematica amorosa, ma sperimentano anche altre forme metriche, come la ballata, e danno ampio spazio alla canzone politica. La lingua non è più il volgare illustre siciliano, ma il toscano.
Tutte le principali città toscane presentano una loro fioritura di poeti. Tra i rimatori siculo-toscani, un ruolo di primo piano spetta a Bonagiunta Orbicciani da Lucca e soprattutto a Guittone d’Arezzo.
Guittone apparteneva al partito guelfo. Per contrasti politici dovette abbandonare in volontario esilio Arezzo e la Toscana, recandosi a vivere a Bologna. Qui, nel 1265, aderì ai cavalieri di Santa Maria, comunemente detti “frati gaudenti”. Questa conversione segna la sua vita, e lo induce a lasciare moglie e figli per dedicarsi completamente a una missione religiosa.
Di Guittone restano circa 300 componimenti poetici. L’apporto più originale di Guittone alla poesia duecentesca va individuato nella canzone politica e civile.
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