La poetica di Giacomo Leopardi

La poetica di Leopardi: il percorso artistico, le scelte stilistiche, lo studio sulla lingua, gli ardiri e le parole del poeta di recanati
La poetica di Giacomo Leopardi
ansa

1Leopardi e la poetica del vago

Ritratto di Giacomo Leopardi
Fonte: ansa

Uno dei punti fermi del pensiero di Leopardi e, in particolare, della sua teoria del piacere è: Il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così nell’immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni (Zibaldone).

Nella ricerca del piacere, anche la poesia è chiamata a fare la sua parte: per questo motivo in molti dei Canti – soprattutto negli idilli, stesi tra il 1819 e il 1821, e in una parte delle poesie del ciclo pisano-recanatese (un tempo conosciuti come ‘grandi idilli’) composti fra il 1828 e il 1830 – troviamo paesaggi incantati, momenti di vita felice, scene serene e luminose, percezioni vaghe e indefinite; queste immagini e queste sensazioni piacevoli sono rese con versi musicali, dolci, armoniosi. Secondo la teoria poetica di Leopardi, queste scelte tematiche e formali hanno un obiettivo preciso: il raggiungimento del ‘piacere dell’immaginazione’.       

2Teoria e pratica poetica di Leopardi

Gli idilli e i ‘grandi idilli’ del ciclo pisano-recanatese hanno un comune aspetto linguistico. La ragione di questa somiglianza è semplice. Nello scriverli, Leopardi ha messo in pratica uno dei principi più importanti della sua poetica: che la poesia, cioè, ha bisogno di una lingua vaga e indeterminata per suscitare illusioni potenti. Di questo era certo e infatti nello Zibaldone lo aveva più volte affermato. Inoltre, proprio sfogliando il suo ‘diario intellettuale’ vediamo comporsi, pagina dopo pagina, una specie di ‘vocabolario poetico ragionato’, nel quale sono presentate le parole più adatte alla scrittura in versi e si spiega perché alcune siano da preferire ad altre simili.     

La biblioteca di casa Leopardi
Fonte: ansa

Leopardi ritiene che la poesia abbia bisogno di «parole», non di «termini»: i termini «presentano la nuda e circoscritta idea» dell’oggetto al quale si riferiscono; le parole, invece, «non presentano la sola idea dell’oggetto significato, ma quando più quando meno, immagini accessorie». 

Tra i 'termini' e le 'parole' c'è una diversità sostanziale nella poetica di Leopardi: i 'termini' indicano in modo preciso un oggetto e ad esso si riferiscono in modo chiaro e inequivocabile, mentre le 'parole' convogliano attorno all'oggetto un insieme vago di senso, che Leopardi chiama «idee accessorie». Per questa ragione, Leopardi afferma che i termini sono più adatti alla scrittura tecnico-scientifica – che deve essere chiara e precisa – mentre le parole, in virtù della loro ricchezza semantica, sono più adatte a quella poetica.  

3C'è parola e parola

Statua di Giacomo Leopardi a Recanati
Fonte: ansa

Per suscitare illusioni e fantasticherie, per appagare, cioè, il bisogno di piacere che è innato nell'uomo, la poesia deve far uso di parole che diano l'idea di una dolce indeterminatezza. È Leopardi stesso, nello Zibaldone, a indicare in modo esplicito quali siano queste parole. Scrive, per esempio: «le parole irrevocabile, irremeabile e altre tali produrranno sempre una sensazione piacevole perché destano un'idea senza limite, e non possibile a concepirsi interamente».  

Suscitano il medesimo effetto sulla fantasia del lettore le parole che rientrano nella sfera del 'vago' e che significano 'infinità' (si pensi a L'infinito: «interminati / spazi», «quello / infinito», «questa / immensità»). 

Poetiche sono le parole che rimandano all'idea di solitudine: «le voci ermo, eremo… tutte poetiche per l'infinità o vastità dell'idea»; e così anche deserto e solitudine. Altre parole con una simile intensità poetica sono ultimo, oscurità, profondo, lontano, antico, futuro, passato, eterno, lungo, alto, ecc.

La parola guardo è propriamente poetica perché desueta, ossia insolita, uscita dall'uso corrente; spiega Leopardi: «Una parola o frase difficilmente è elegante se non si apparta in qualche modo dall'uso volgare… Le parole antiche… Sogliono riuscire eleganti, perché tanto rimote dall'uso quotidiano, quanto basta perché abbiano quello straordinario e peregrino che non pregiudica né alla chiarezza né alla disinvoltura e convenienza loro colle parole e frasi moderne». 

Infine, due delle più efficaci realizzazioni del 'vago' sono il notturno e il ricordo: «Le parole notte, notturno ecc., le descrizioni della notte – si legge sempre nello Zibaldone – sono poeticissime, perché la notte confondendo gli oggetti, l'animo non ne concepisce che un'immagine vaga, indistinta, incompleta, sì di essa che quanto ella contiene». 

E ancora, stavolta a proposito della dimensione del ricordo e delle parole che a essa si riferiscono: «L'effetto delle immagini campestri dipende in massima parte dalla copia delle rimembranze… Ond'è che il fanciullo il quale per necessità ha poche rimembranze… deve trovar poco dilettevoli e belle molte bellissime parti delle più grandi poesie».

4Gli «ardiri»

Mezzobusto di Quinto Orazio Flacco
Fonte: ansa

Nello Zibaldone Leopardi elogia Orazio per la sua capacità di creare degli «ardiri», che riconosce come una delle qualità stilistiche essenziali della scrittura poetica. Nella poetica di Leopardi, gli «ardiri» sono metafore e costruzioni sintattiche irregolari, che spiazzano le attese del lettore perché scardinano l'andamento 'naturale' del discorso, conferendogli un ritmo insolito, spezzato, sussultante: gli «ardiri» danno una 'scossa' alla lingua, infrangendone le regole.     

Gli «ardiri» sono caratteristici di quello che la critica ha definito, usando la terminologia leopardiana, 'lo stile del vero'. Esemplificano questo stile le canzoni e i canti napoletani, che denunciano la negatività del reale; 'lo stile del vago', invece, è più ricorrente negli idilli e in alcuni dei canti pisano-recanatesi, dove ricorrono parole suggestive, con un significato indefinito e un suono dolce, armonioso. 

[...] la felicità è impossibile a chi la desidera, perché il desiderio, sí come è desiderio assoluto di felicità e non di una tal felicità, è senza limiti necessariamente, perché la felicità assoluta è indefinita e non ha limiti.

Giacomo Leopardi, Zibaldone

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Leopardi fu un pensatore molto precoce. Si suppone che il suo Infinito sia stato composto quando aveva solo 20 anni.

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