La Notte di Elie Wiesel: riassunto e commento

Riassunto e commento del romanzo di Elie Wiesel, La notte. Trama, personaggi, temi principali del libro ambientato nell'epoca nazista

La Notte di Elie Wiesel: riassunto e commento
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ELIE WIESEL, LA NOTTE

Elie Wiesel, La notte
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Elie oggi è un uomo di 80 anni, la cui storia è simile a quella dei tanti altri ebrei costretti a vivere l'incubo dei campi di concentramento.

Nel 1941 Elie è ancora un semplice ragazzino dodicenne della comunità ebraica di Sighet, in Transilvania.

Vive in casa con la madre, le tre sorelle ed il padre, Shlomo, uomo colto, poco sentimentale e consultato spesso per le questioni pubbliche e private.

Elie è un ragazzino profondamente religioso, interessato ai misteri della Cabala e al Talmud.

Elie trova nel factotum di una sinagoga chassidica, Moshè lo shammàsh, un saggio, fidato ed umile insegnante di Zohar, fino a quando questi viene espulso assieme agli altri ebrei stranieri della comunità.

Non se ne ha notizia fino alla fine del 1942, quando all'improvviso ricompare a Sighet e racconta di essere sfuggito ad una strage presso Kolomaye, messo in atto dagli uomini della Gestapo, e di essere l'unico sopravvissuto.

Nessuno, neppure il caro allievo Elie gli crede. Dunque scompare.

La vita nella comunità continua imperturbata anche nonostante la giunta di notizie difficili, come la presa di potere da parte del partito fascista. Si diffondono ottimismo e speranza: Radio Londra fa giungere notizie di bombardamenti quotidiani sulla Germania di nuovi successi sul fronte russo ed avanzamenti da parte dell'Armata Rossa.

L'inquietudine inizia a risvegliarsi nel 1943, quando le truppe tedesche penetrano, in accordo col governo, prima nel territorio ungherese, poi in Sighet. È la Pasqua del 1944 e i tedeschi attendono la fine della festività per arrestare i capi della comunità ebraica, togliere tutti o quasi i diritti dei cittadini. Poco dopo vengono creati due ghetti.

LA NOTTE DI ELIE WIESEL

La vita riprende, ma una sera il padre di Elie annuncia ai suoi concittadini che i due ghetti devono essere pian piano completamente liquidati.

Il ragazzino e la sua famiglia lasciano la comunità il terzo giorno dopo la decisione: vengono fatti montare su un convoglio di carri bestiame (ottanta per carro) e dopo circa una settimana di viaggio interminabile e di continue perquisizioni, giungono a Birkenau, esausti.

Arrivati al campo vengono divisi in uomini e donne. Qui Elie vede per l'ultima volta la madre e le tre sorelle. Un solo pensiero ha in mente, da ora fino alla fine della guerra: non perdere suo padre. Ma non ci riuscirà.

Padre e figlio sfuggono insieme alla prima selezione. Vengono fatti sistemare in una baracca, accolti da decine di detenuti che il giorno dopo, bastone alla mano, non smettono di colpire e dare ordini.

Vengono rasati, disinfettati, e rivestiti dopo essere stati privati di tutto, scarpe comprese.

La crudeltà del campo trasforma profondamente Elie, al punto che la violenza e il dolore non gli provocano più alcuna reazione. Il pane raffermo e la scodella di zuppa diventano tutta la sua vita.

Presto i deportati giungono marciando ad Auschwitz e vengono condotti in uno degli edifici di cemento a due piani, nuovamente lavati e fatti sistemare nel blocco 17.

Il mattino dopo viene portato loro del caffè nero, a mezzogiorno consumano una minestra e nel pomeriggio vengono marchiati al braccio col loro nuovo nome.

Elie Wiesel diventa A-7713.

Per tre settimane le giornate trascorrono identiche e tranquille: alle sei del pomeriggio l'appello, più tardi del pane e alle nove a letto. L'unica preoccupazione è quella di non lasciare mai il campo, dunque di non iscriversi come operaio qualificato.

Ma quando questi vengono tutti mandati in altri campi, arriva anche il turno dei rimanenti, che quindi vengono portati a Buna, il nuovo campo.

Trascorrono i primi tre giorni in quarantena: vengono lavati, vestiti con dei nuovi abiti, sistemati in due tende e visitati da un medico.
Il quarto giorno vengono invece destinati al deposito di materiale elettrico.

Conoscono subito un gruppo di musicisti, Juliek, Louis ed Hans, che li assicurano sul lavoro: è semplice e non pericoloso, ma si deve fare attenzione al kapò, Idek, spesso preso da violenti accessi di follia che sperimentano inevitabilmente sulla loro pelle sia il padre che il figlio.

Conoscono anche Franek, il caposquadra polacco che costringe Elie a lasciargli l'unica cosa di valore ancora in suo possesso: una corona dentaria d'oro.

Una domenica mattina suonano le sirene del campo, che viene bombardato per più di un'ora da aeroplani americani.

Alla fine dell'attacco ebrei, kapò ed S.S. escono dai blocchi e nel pomeriggio i detenuti vanno a rimuovere con entusiasmo le macerie.

Una settimana dopo viene montata in mezzo al campo, sul posto in cui viene fatto l'appello, una forca dipinta di nero.

Il condannato è un ragazzo forte e ben piantato di Varsavia: ha rubato durante l'allarme.

Il fatto turba profondamente i diecimila detenuti costretti ad assistere alla scena (“Che vi serva da lezione!”) ma presto diventano immuni anche a questa tragedia: assisteranno ad altre impiccagioni ma non verseranno mai una sola lacrima.

Tuttavia una di queste esecuzioni è più crudele delle altre: la vittima è un bambino, chiamato “pipel”, condannato alla pena di morte per essere stato al servizio di un Oberkapo coinvolto in un furto d'armi nel campo.

L'anno ebraico sta ormai terminando ed è giunta la vigilia di Rosh Hashanà, la sera viene celebrata la funzione, ma mai quanto ora Elie e suo Shlomo credono meno in Dio, stanchi si accettare il Suo silenzio.

Il giorno del Grande Perdono entrambi non digiunano, come è nella tradizione, come fosse un atto di rivolta e di protesta contro di lui.

Un giorno un nuovo terrore si espande per tutto il campo: quello della selezione.
I detenuti vengono fatti spogliare completamente e costretti a correre davanti ai medici delle S.S. e al dottor Mengele, che avrebbe annotato su di un foglio il nome dei detenuti da sopprimere.

Elie viene risparmiato, ma il padre viene costretto a subire una seconda selezione. Alla fine, dopo ore di angoscia per il figlio, si salva.

L'inverno è alle porte. Verso la metà di gennaio il piede di Elie inizia a gonfiarsi per il freddo e presto viene sottoposto ad un intervento.

Ma mentre il ragazzo è ancora in convalescenza, si diffonde la voce nel campo che il fronte si è avvicinato e che l'Armata Rossa sta piombando su Buna.

Due giorni dopo, il campo viene fatto preparare per l'evacuazione.

Il piede di Elie non è ancora guarito ma, nonostante la possibilità di rimanere nel campo, parte assieme a Shlomo con gli altri detenuti sani per timore di venir ucciso senza che nessuno lo sappia. Non può sapere che chi è rimasto nell'ospedale si è salvato due giorni dopo con l'arrivo dei russi.

LA SHOAH, L'OLOCAUSTO DEGLI EBREI

La sera si mettono in marcia sotto la neve insistente. Poi, forse per combattere il freddo, forse per fare più in fretta, le S.S. costringono i detenuti già esausti a correre.

E allora uomini, anziani e ragazzi corrono fino allo sfinimento. In molti muoiono, stanchi, travolti e calpestati. L'unica cosa che dà la forza ad Elie di non lasciarsi andare è la presenza del padre, compagno di disavventure fino a quel giorno.

Vanno avanti fino al mattino, quando finalmente giungono, a settanta chilometri di distanza, presso un villaggio abbandonato. Molti muoiono durante la notte. Dopo poche ore di riposo la marcia riprende e a notte fonda giungono a Gleiwitz, dove vengono fatti alloggiare in una baracca.

Elie rincontra in questo luogo Juliek, il violinista incontrato a Buna insieme a Louis ed Hans. Anche lui è stremato, ma inizia a suonare un frammento di un concerto di Beethoven. Il giorno dopo Juliek viene ritrovato morto. E con lui anche il suo violino, distrutto.

I sopravvissuti rimangono tre giorni senza cibo né acqua a Gleiwitz, mentre il fronte li segue. Il terzo giorni gli ufficiali delle S.S. sottopongono gli uomini già stremati ad una nuova selezione, ed Elie riesce ad intrufolarsi della stessa fila in cui viene designato il padre.

Insieme vengono poi fatti uscire dal campo ed un treno li porta a Buchenwald.

Ascolta su Spreaker.

Il viaggio dura dieci infiniti giorni, come sempre senza cibo né acqua. I morti sono centinaia e ormai anche Shlomo sta per crollare.
Gli uomini sono allo stremo e iniziano a dimenticare qualsiasi valore sociale: l'istinto di sopravvivenza prende il sopravvento, la cordialità e la solidarietà sono solamente un ricordo.

Un giorno nel carro viene gettato del pane. Scoppia una vera e propria rissa, sembrano bestie feroci pronte a tutto pur di mangiare. A soli quindici anni, Elie è costretto a vedere un padre ed un figlio uccidersi per ottenere una briciola di pane.

Responsabile del loro vagone è Meir Katz, un amico di Shlomo, un uomo robusto, forte, dall'apparenza indistruttibile. Ma anche lui non ne può più..

L'ultimo giorno di viaggio è il più duro. Cercano di muoversi, di non morire, ma è impossibile non lasciarsi andare alla disperazione.

La sera dell'arrivo, sui cento che sono saliti sul vagone di Elie e suo padre, solamente in dodici riescono a scendere, e fra questi Meir Katz non è compreso.

A Buchenwald Shlomo perde il senno della ragione, sull'orlo dell'agonia: sa che la sua fine è vicina.

Debole, spaurito e vulnerabile si rivolge disperatamente al figlio, pregandolo come un bambino di avere sono un attimo di riposo.


Elie si vergogna nel ricordarsi che, anche se per un istante, ha avuto il pensiero di sbarazzarsi di lui.

Il giorno dopo Shlomo è in infermeria affetto da dissenteria, bruciante di febbre, livido, le labbra pallide e sciupate, scosso dai brividi. Ai malati non viene servito nulla da mangiare e presto, quel padre si lascia andare, sfinito, vittima degli altri malati che gli sottraggono il pane di bocca. Elie fa di tutto pur di salvarlo, chiama un dottore, gli porta del cibo, ma non può più far nulla.
Il 29 gennaio del 1945 Shlomo non è più nell'infermeria. Al suo posto c'è un altro malato. La sua ultima parola è stata :”Eliezer”.

Ormai nulla ha più importanza per Elie. Nulla lo tocca più. Resta a Buchenwald fino all'11 aprile, quando improvvisamente irrompono degli uomini armati che fanno fuggire le S.S. Quando i carri armati americani si presentano alle porte del campo, del bambino che era Ellie non c'è più traccia.

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