La mafia si sviluppa in Sicilia dopo l'abolizione del sistema feudale
nel 1812
.
Il trasferimento di gran parte della
proprietà terriera alla borghesia indusse i nuovi
proprietari ad organizzare bande o squadre per il controllo
territoriale.
Le bande fungevano da mediatori tra ladri e
derubati, tra contadini e nuovi proprietari e davano protezione agli
affiliati.
Dopo l'Unità d'Italia si videro i primi
esperimenti di coordinamento fra cosche.
La sottovalutazione
del fenomeno mafioso da parte del governo centrale, consentì
la penetrazione della mafia nelle istituzioni legali,
legittimando ulteriormente il potere mafioso agli occhi dei siciliani.
La campagna repressiva contro la mafia, voluta da Mussolini dopo un
viaggio in Sicilia nel maggio del 1925 e affidata al prefetto Cesare
Mori, si articolava su un piano sia repressivo che sociale: da un lato
si faceva ricorso a misure di polizia per sradicare i mafiosi dai
territori controllati e attaccarne il prestigio presso le
comunità; dall'altro l'azione era rivolta a neutralizzare il
peso del ceto intermedio, abolendo le elezioni politiche e
amministrative e riservando allo Stato le funzioni di protezione e di
regolamentazione economica.
Con la caduta di Mussolini la
mafia riapparve.
Gli uomini d'onore, antifascisti convinti,
passarono dal carcere alle cariche pubbliche.
In realtà,
gran parte dei mafiosi era sfuggita alla repressione fascista
rifugiandosi negli Stati Uniti d'America, dove dettero vita all'Unione
siciliana, chiamata più tardi Cosa nostra.
In seguito
la mafia da rurale diventò urbana,
attirata da nuove fonti di profitto: edilizia, mercati generali e
appalti.
Settori in cui si presentò nelle vesti
tradizionali di protettrice, imponendo tangenti agli imprenditori e
finendo poi per gestire in proprio l'iniziativa imprenditoriale, che
poteva contare su efficaci metodi di scoraggiamento della concorrenza e
sull'accaparramento dei finanziamenti pubblici.
In questi anni divenne
particolarmente intenso il rapporto fra cosche mafiose e partiti
politici, per i quali la mafia non mostrava alcun interesse ideologico,
limitandosi a indirizzare il consenso verso lo schieramento in grado di
fornire le maggiori garanzie di conservazione del proprio potere.
Dopo
aver superato i primi processi alla fine degli anni ’60, la
mafia durante gli anni 70 svolse un'opera di rafforzamento del proprio
tessuto organizzativo per renderlo adeguato ai mutati scenari
criminali, dal contrabbando al traffico di stupefacenti.
Il
rapporto con le istituzioni iniziò a farsi più
conflittuale, prevedendo, come unica alternativa alla corruzione dei
rappresentanti dei poteri statali, l’eliminazione degli
stessi, con metodologie di tipo terroristico.
Nel 1962 fu istituita la prima Commissione parlamentare d'inchiesta
sulla mafia in Sicilia, che però non diede risultati
apprezzabili.
Furono varate nuove leggi che introdussero il reato di
associazione di stampo mafioso e definirono giuridicamente il delitto
di mafia.
Nel 1982 nacque l'Alto commissariato per la lotta alla mafia
e nel 1983 la nuova Commissione parlamentare antimafia, che
è tuttora in funzione.
Queste misure culminarono nel 1986
nel primo maxiprocesso istruito da Giovanni Falcone.
Nel frattempo si
scatenò una violenta offensiva mafiosa contro i
rappresentanti del governo o contro chi ostacolava le alleanze
politiche e mafiose.
Nel 1991 fu istituita una Direzione investigativa
antimafia, la DIA, e una Direzione nazionale antimafia.
Consistenti
successi giudiziari si registrarono solo col ricorso sistematico ai
cosiddetti pentiti o collaboratori di giustizia, che permisero agli
investigatori di penetrare all'interno dell'organizzazione di Cosa
Nostra.