La globalizzazione che funziona: riassunto del libro di Stigliz
La globalizzazione che funziona: riassunto dettagliato per capitoli del libro del premio Nobel per l'economia Joseph Stigliz
Indice
LA GLOBALIZZAZIONE SECONDO STIGLIZ
La globalizzazione che funziona è un libro del 2006 scritto dal premio Nobel per l'Economia nel 2001 Joseph E. Stiglitz. In questo saggio Stiglitz si chiede quali cambiamenti di rotta serviranno affinché la globalizzazione mantenga le sue promesse e in che modo, il fenomeno, può esplodere pur nel rispetto della democrazia e della giutizia sociale.
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Capitolo 1
La globalizzazione abbraccia molti aspetti: il flusso internazionale d’idee e conoscenze, la condivisione delle culture, una società civile globale e il movimento ambientale.
Questo libro si limita tuttavia alla globalizzazione economica che favorisce l’integrazione dei paesi attraverso una circolazione di beni, servizi, capitali e manodopera. La grande speranza della globalizzazione è quella di migliorare il tenore di vita in tutto il mondo garantendo ai paesi poveri l’accesso ai mercati internazionali.
La globalizzazione ha le potenzialità per arrecare enormi vantaggi sia nei paesi in via di sviluppo sia in quelli industrializzati. Il motore della globalizzazione è l’economia, specie attraverso la riduzione dei costi delle comunicazioni e dei trasporti ma è la politica che l’ha plasmata. I grandi paesi industrializzati non hanno cercato di creare modalità eque condivise, e men che meno regole che favorissero la diffusione del benessere nei paesi più poveri del mondo. Da sempre, le riunioni di Davos offrono l’opportunità di tastare il polso ai leader economici mondiali.
Il forum del 2003 si era svolto all’insegna di enormi tensioni tra gli Stati Uniti e il resto del mondo sul tema della guerra in Iraq e quelli degli anni precedenti avevano evidenziato il disaccordo su come indirizzare la globalizzazione. Nel 2004 si è preso atto con sollievo che queste tensioni si erano stemperate. Tuttavia non erano venute meno le preoccupazioni per l’unilateralismo degli Stati Uniti, il paese più potente del mondo, che da una parte si erge a paladino della democrazia, dell’autodeterminazione e dei diritti umani, e dall’altra impone con la propria forza il suo volere.
La cosa preoccupante dell’incontro del 2004 è stata la velocità con cui le opinioni sono cambiate. Un numero sempre maggiore di partecipanti si domandava se la globalizzazione stesse realmente producendo i benefici sperati, specie nei paesi più poveri. Ci si chiedeva se i paesi in via di sviluppo fossero in grado di far fronte alle conseguenze della globalizzazione.
A Davos, i paesi in via di sviluppo sono stati invitati a risolvere il grave problema della corruzione, a liberalizzare i mercati e ad aprirli alle società multinazionali così ben rappresentate sulle montagne svizzere.
Nei primi anni novanta la globalizzazione fu accolta con euforia. Essa doveva garantire a tutti una prosperità senza precedenti. Nessuno stupore, quindi, che la prima grande protesta contro la globalizzazione abbia lasciato di stucco i sostenitori dei mercati aperti.
La globalizzazione era riuscita nell’intento di unire le persone del mondo, ma proprio contro la globalizzazione.
Gli operai americani hanno visto mettere in pericolo i loro posti di lavoro dalla concorrenza cinese. In nome della globalizzazione, i cittadini europei hanno assistito a un progressivo indebolimento delle tutele dei lavoratori, per le quali avevano combattuto. Gli ambientalisti hanno capito che la globalizzazione minacciava la loro lotta decennale a tutela dell’ambiente. Tutte queste voci fuori dal coro non hanno sposato la tesi che, almeno dal punto di vista economico, la globalizzazione avrebbe portato maggiore benessere.
Le critiche alla globalizzazione
Alcune delle critiche che possiamo muovere al fenomeno della globalizzazione:
- Le regole del gioco che governano la globalizzazione sono inique e tendono a favorire i paesi industrializzati. Alcuni paesi più poveri stanno peggio di prima.
- La globalizzazione antepone valori materiali ad altri valori.
- Il modo in cui la globalizzazione è stata gestita ha privato gran parte dei paesi in via di sviluppo della loro sovranità e della loro autonomia decisionale in settori chiave che influiscono sul benessere dei loro cittadini. In questo senso ha indebolito la democrazia.
- Benché i fautori della globalizzazione sostengano che tutti ne avrebbero tratto un vantaggio economico, è dimostrato che molti ci hanno rimesso, sia nei paesi più ricchi sia in quelli più poveri.
- Il sistema economico che è stato impostato ai paesi in via di sviluppo è inadeguato e spesso fortemente pregiudizievole. Globalizzazione non dovrebbe significare americanizzazione della cultura e della politica economica, ma purtroppo è stato spesso così e non ha mancato di provocare un profondo risentimento.
Se la globalizzazione è usata per promuovere il modello americano d’economia e mercato, ebbene non tutti sono sicuri di volerlo. Ciò di cui si lamentano le popolazioni dei paesi in via di sviluppo è ancora più grave, e cioè che la globalizzazione sia stata usata per promuovere una versione dell’economia di mercato ancora più estrema di quella praticata negli Stati Uniti, a solo vantaggio degli interessi delle grandi multinazionali
Il mondo è in corsa tra crescita economica e crescita della popolazione, e finora quest’ultima è in aumento. Secondo la Banca Mondiale, si definisce povero chi vive con meno di due dollari al giorno ed estremamente povero chi deve cavarsela con meno di un dollaro.
La globalizzazione ha svolto un ruolo importante nei grandi successi, ma anche in alcuni fallimenti. La crescita economica della Cina ha strappato alla povertà diverse centinaia di milioni di persone. Ma la Cina ha gestito la globalizzazione in modo oculato: ha aperto con cautela i propri mercati alle importazioni e ancora oggi non consente l’ingresso di capitali speculativi, quelli cioè che puntano a rendimenti elevati nel breve periodo e accorrono verso un paese sulla scia dell’ottimismo, salvo poi fuggire al primo accenno di crisi. Al di fuori della Cina, la povertà nel Terzo Mondo è aumentata negli ultimi due decenni. Circa il 40% delle persone che popolano il mondo vive in povertà, un sesto vive in estrema povertà, la situazione più grave si registra in Africa.
L’Africa è la regione più sfruttata dalla globalizzazione : durante il periodo del colonialismo, il mondo l’ha spogliata delle sue risorse, senza dare nulla in cambio. Anche l’America latina e la Russia sono rimaste scottate dalla globalizzazione. Hanno aperto i loro mercati, ma la globalizzazione non ha mantenuto le sue promesse, specie nei confronti dei poveri.
I rischi della globalizzazione
La globalizzazione ha esposto i paesi in via di sviluppo a rischi maggiori, ma i mercati che dovrebbero assicurare contro questi rischi sono, inesistenti. Nei paesi più avanzati, i governi colmano questa lacuna garantendo ai propri cittadini pensioni di anzianità e di invalidità, assicurazione e assistenza sanitaria e indennità di disoccupazione. Ma nei paesi in via di sviluppo, i governi sono troppo poveri per realizzare programmi di sicurezza sociale.
I paesi in via di sviluppo si vedono limitare la libertà d’azione dai nuovi vincoli imposti dall’esterno e dall’indebolimento delle loro istituzioni e ordinamenti dovuto in parte alla globalizzazione. Si ritiene inoltre che il modo in cui la globalizzazione è gestita attualmente sia in contrasto con i principi di democrazia. I paesi con le economie più forti hanno più voti. I voti a disposizione dipendono in massima parte dal potere economico che i diversi paesi detenevano all’epoca della costituzione dell’FMI (Fondo Monetario Internazionale) avvenuta sessant’anni fa.
Il dibattito sulla globalizzazione è passato da una presa di coscienza generalizzata che non tutto era andato per il verso giusto e gli scontenti avevano le loro buone ragioni a un’analisi più approfondita, che collega politiche specifiche a specifici fallimenti.
I leader dei principali paesi industrializzati (il cosiddetto G8) si riuniscono una volta all’anno per dibattere sui grandi problemi del mondo globalizzato. Al G8 del 2005 i leader dei paesi industriali hanno stabilito di cancellare del tutto il debito verso l’FMI e la Banca Mondiale dei diciotto paesi più poveri del mondo, quattordici dei quali sono africani. Molti paesi in via di sviluppo hanno ancora un tremendo eccesso di spesa per il pagamento degli interessi.
Malgrado la cancellazione del debito, il livello d’indebitamento dei paesi più poveri non ha fatto che aumentare. Il debito e il modo in cui il mondo tratta con i paesi che non riescono a far fronte ai propri obblighi non è un problema circoscritto ai soli paesi a basso reddito
Una delle ragioni per cui gli accordi commerciali internazionali hanno avuto così scarso successo nel promuovere il progresso nei paesi poveri è che spesso erano fortemente sbilanciati, in quanto consentivano ai paesi industrializzati d’imporre sui beni prodotti dai paesi in via di sviluppo tariffe doganali che erano quattro volte superiori a quelle applicate sulle merci prodotte dagli altri paesi industrializzati.
Negli anni Novanta tutta l’attenzione venne focalizzata su ciò che i paesi in via di sviluppo non avevano fatto. Se la liberalizzazione commerciale non aveva prodotto crescita era perché questi paesi non avevano liberalizzato abbastanza, o perché la corruzione creava un ambiente sfavorevole per gli affari.
La questione politica più aspramente dibattuta degli anni novanta è stata la liberalizzazione dei mercati dei capitali, cioè l’apertura dei mercati alla circolazione di capitali speculativi a breve termine. La liberalizzazione dei mercati non ha prodotto una maggiore crescita, ma solo una maggiore instabilità.
Nel lungo periodo, il mondo deve affrontare la sfida della sostenibilità ambientale. Dieci anni fa erano solo gli attivisti e gli esperti a nutrire preoccupazioni in merito all’ambiente e alla globalizzazione. Oggi questi temi sono universali. Se non si troverà un modo per limitare i danni ambientali, per risparmiare energia e conservare le altre risorse naturali, oltre che per rallentare il riscaldamento del pianeta, si è destinati al disastro. Il riscaldamento globale è un problema che investe tutti.
Circa 150 anni fa, la diminuzione dei costi della comunicazione e dei trasporti diede origine a quello che potrebbe essere considerato il primo precursore della globalizzazione. Furono i cambiamenti introdotti nel XIX secolo a condurre alla formazione di economie nazionali e a consolidare lo stato nazione. I governi venivano posti di fronte a nuove esigenze: i mercati producevano crescita, ma quest’ultima era accompagnata da nuovi problemi sociali, e economici. I governi entrarono in gioco vietando i monopoli, gettando le basi dei moderni sistemi di previdenza e regolamentando le banche e altri organismi finanziari.
Gli Stati Uniti hanno avuto successo per via del ruolo che il loro governo ha svolto nel promuovere lo sviluppo, nel regolare i mercati e nel fornire i servizi sociali di base. Da una parte il processo di globalizzazione impone agli stati-nazione di affrontare il problema dell’insicurezza e della disuguaglianza crescenti e di rispondere alle sfide competitive che essa presenta, la stessa globalizzazione, però, ne limita per molti versi la capacità di reazione. Per esempio essa ha scatenato forze di mercato talmente potenti che i governi, specie nel mondo in via di sviluppo, non sono in grado di controllare.
Esiste l’esigenza di creare istituzioni internazionali in grado di affrontare le sfide poste dalla globalizzazione economica, eppure la fiducia negli organismi esistenti è scarsa.
Le cose peggiorano se si pensa che gli abitanti dei paesi avanzati, i cui governi dettano l’orientamento della globalizzazione economica, non hanno ancora capito che per far funzionare la comunità globale occorre collaborare ed essere solidali.
La maggioranza delle persone vive sempre nello stesso posto e non si rende conto che con la globalizzazione facciamo ormai tutti in parte di una comunità globale. Gli abitanti del vecchio continente stanno imparando a considerarsi tedeschi, italiani, e al tempo stesso europei. La maggiore integrazione economica ha contribuito a questo. Lo stesso avviene a livello mondiale: viviamo una realtà locale, ma dobbiamo pensare sempre di più in modo globale e vederci parte di una comunità che aggrega tutto il mondo. Dovremo cambiare mentalità se vogliamo cambiare il modo in cui viene gestita la globalizzazione.
I risultati della globalizzazione
Recessioni, depressioni provocate dall’instabilità globale, degrado dell’ambiente imputabile alla mancanza di regole globali che governino la crescita, un continente come l’Africa, spogliato delle sue ricchezze e risorse naturali.
Persino i paesi avanzati stanno cominciando a porsi domande sulla globalizzazione, perché porta con sé insicurezza economica e disuguaglianze, perché il materialismo economico calpesta altri valori, perché i paesi si rendono conto che il loro benessere, se non addirittura la loro sopravvivenza, dipende da altri, di cui potrebbero non fidarsi. La crescita, senz’altro, c’è stata, ma la maggior parte delle persone sta peggio di prima.
Capitolo VII
Le multinazionali hanno portato i vantaggi della globalizzazione nei paesi in via di sviluppo e contribuito ad alzare il tenore di vita in gran parte del mondo. Hanno permesso alle merci dei paesi in via di sviluppo di raggiungere i mercati industriali avanzati; la capacità delle grandi aziende di oggi di far sapere ai produttori, quasi in tempo reale, che cosa chiedono i consumatori internazionali ha portato enormi vantaggi a entrambi. I grandi gruppi hanno creato posti di lavoro e crescita economica nelle nazioni in via di sviluppo e portato merci a buon prezzo, di qualità sempre crescente, nei paesi industrializzati, contribuendo così a ridurre il costo della vita e contenere l’inflazione e i tassi d’interesse. Essendo al centro della globalizzazione, le grandi società possono essere incolpate di molti dei suoi mali, ma bisogna anche dare loro credito per molti dei suoi meriti.
Critiche, svantaggi e problemi
Le multinazionali, cacciando i piccoli negozi, finiscono per svuotare la città. Spesso i piccoli commercianti sono la spina dorsale della comunità, e schiacciando i concorrenti le multinazionali spezzano questa spina dorsale. Indebolendo, infatti, le realtà locali, c’è il rischio che le grandi multinazionali, nel lungo periodo, possono addirittura indebolire lo sviluppo.
- Quando le multinazionali lavorano all’estero, la responsabilità morale risulta piuttosto indebolita. In patria, molti dirigenti non si sognerebbero neanche lontanamente di trattare i dipendenti o l’ambiente come fanno d’abitudine all’estero.
- La cosa peggiore è che le grandi imprese hanno capito di poter influire di più sui trattati internazionali che non sulle politiche nazionali.
- Se c’è scarsa concorrenza le possibilità che le multinazionali commettano degli abusi sono maggiori.
- La globalizzazione ha creato le condizioni per nuovi comportamenti anticoncorrenziali che potrebbero essere difficili sia da individuare sia da correggere.
- Mentre i vantaggi per i monopolisti sono globali, l’applicazione delle leggi rimane frammentaria, poiché ogni giurisdizione si occupa solo dei propri cittadini, nessuno si preoccupa dei consumatori dei paesi piccoli o in via di sviluppo.
La globalizzazione ha aggravato i problemi che derivano dal disallineamento degli incentivi nelle corporation moderne. La concorrenza tra paesi in via di sviluppo per attirare gli investimenti può innescare un circolo vizioso, perché le aziende tenderanno sempre a privilegiare le nazioni con le leggi più permissive in materia di tutela dei lavoratori e dell’ambiente.
È facile capire come mai le multinazionali abbiano svolto un ruolo così importante nella globalizzazione: occorrono organizzazioni di vasta portata per lavorare su scala mondiale, per mettere i mercati, le tecnologie, e il capitale dei paesi sviluppati insieme alle capacità di produzione dei paesi in via di sviluppo.
La questione è come riuscire a far sì che i paesi in via di sviluppo ricevano più vantaggi accollandosi una parte minore di costi.
L’incapacità di sviluppare un approccio globale ai cartelli e ai monopoli internazionali è un altro esempio di come la globalizzazione economica vada più veloce di quella politica. L’approccio frammentario adottato oggi è costoso e inefficiente, e particolarmente inefficace quando si tratta di proteggere gli abitanti dei paesi in via di sviluppo le cui risorse non sono minimamente paragonabili a quelle delle grandi multinazionali.
Capitolo X
Si pensava che la globalizzazione avrebbe portato vantaggi senza precedenti a tutti, invece, oggi le vengono addebitate guai e storture in ogni parte del mondo. Gli Stati Uniti e l’Europa si sentono minacciati dall’outsorcing; i paesi in via di sviluppo temono che le nazioni industrializzate avanzate rivoltino loro contro il regime economico globale. La gente comune vede che gli interessi delle imprese hanno sistematicamente la meglio su altri valori più importanti.
I problemi nascono dal fatto che la globalizzazione dell’economia corre più veloce di quella politica e che le sue conseguenze economiche superano le nostre capacità di capire e plasmare questi processi nonché di affrontarne gli effetti attraverso la politica. Riformare la globalizzazione è una questione politica.
Con una completa integrazione economica a livello globale, il mondo diventerà come un unico, grande paese, e i salari dei lavoratori non qualificati, ovunque si trovino, saranno gli stessi in tutto il mondo. Che vivano negli Stati Uniti, in India, o in Cina, i lavoratori generici, a parità di specializzazione e di tipo di lavoro, saranno pagati allo stesso modo.
Abbattere tutte le barriere tariffarie e commerciali non basterà per arrivare immediatamente a un’integrazione completa o all’equiparazione dei salari. In passato, almeno due erano i fattori che contribuivano a mantenere le differenze dei salari. Il primo è la scarsità di capitali nei paesi in via di sviluppo, che ha un’importanza non indifferente, perché con meno capitali, i lavoratori sono meno efficienti. Il secondo è lo scarto di conoscenze fra i paesi più e meno sviluppati. Le specializzazioni e le tecnologie sono rimaste al palo nel mondo in via di sviluppo e questo ha contribuito a ridurre la produttività e a deprimere i salari.
Ci vorranno decenni per colmare del tutto lo scarto di conoscenze e risolvere il problema della scarsità di capitali nel mondo in via di sviluppo. Il vero problema è che anche un divario relativamente piccolo tra la domanda e l’offerta di manodopera può creare enormi difficoltà e indurre la stagnazione e la diminuzione dei salari, oltre a rialzare il livello dell’ansia dei molti lavoratori che sentono minacciata la sicurezza del loro posto.
La globalizzazione e la liberalizzazione faranno aumentare i redditi complessivi. Ne consegue che con l’aumento medio dei redditi, e la stagnazione o la diminuzione dei salari, specie quelli più bassi, le disuguaglianze aumenteranno.
I paesi industriali avanzati possono rispondere alle sfide della globalizzazione in tre modi diversi:
- Il primo è ignorare il problema e accettare che le disuguaglianze vadano aumentando. Se è vero che molti traggono vantaggio dalla globalizzazione, è altrettanto vero che molti ci perdono. La globalizzazione è solo uno dei tanti motori alla base della società e dell’economia, e anche senza di essa la disuguaglianza aumenterebbe sempre di più. I cambiamenti indotti dalle nuove tecnologie hanno aumentato il premio che il mercato attribuisce a determinate specializzazioni, quindi i vincenti nell’economia d’oggi sono quelli che le possiedono o possono acquisirle. Quasi ovunque aumenta la tendenza al protezionismo.
- Opporsi ad una globalizzazione equa. In quest’ottica, gli Stati Uniti e l’Europa usano il loro potere economico per fare un in modo che le regole del gioco siano sempre e comunque a loro favore, o per lo meno il più a lungo possibile.
In questa logica, pur continuando a tessere le lodi del libero commercio, gli Stati Uniti dovrebbero proteggersi dall’assalto delle merci straniere e dall’outsorcing e, al tempo stesso, fare tutto il possibile per penetrare nei mercati nei mercati esteri.
Non resta che una sola strada da percorrere: affrontare la globalizzazione e correggere la rotta. I paesi industriali avanzati dovranno puntare a una sempre maggiore qualificazione della forza lavoro, ma anche consolidare gli ammortizzatori sociali e aumentare la progressività della tassazione sul reddito. Sono le persone più umili ad aver risentito degli effetti negativi della globalizzazione. Sarebbe giusto allentare la pressione fiscale su queste categorie e aumentare le imposte per coloro che finora hanno ricevuto i vantaggi maggiori.
A livello internazionale non si è riusciti a dar vita alle istituzioni politiche democratiche necessarie per far funzionare davvero la globalizzazione e far si che la forza dell’economia di mercato mondiale porti ad un miglioramento delle condizioni di vita di tutte le popolazioni, e non soltanto dei ricchi nei paesi ricchi. A causa del deficit di democrazia nella gestione della globalizzazione, non è stato possibile moderarne gli eccessi; anzi talvolta la globalizzazione ha ostacolato le democrazie nazionali che tentavano di intervenire sull’economia di mercato con dei correttivi.
Perché la globalizzazione possa davvero funzionare, bisognerà cambiare mentalità: dovremo pensare e agire in modo globale. Sono in pochi a possedere questo senso d’identità globale. Visto che la maggior parte della gente vive ancora in una dimensione “locale”, non c’è da stupirsi che la globalizzazione venga confinata entro gli orizzonti asfittici della politica nazionale. La mentalità locale è dura a morire e il malcontento nei confronti della globalizzazione nasce proprio da questa dicotomia fra politica locale e problemi mondiali.
Le possibili risposte al problema del deficit di democrazia nelle istituzioni internazionali sono due: la prima è riformare i trattati istituzionali secondo linee guida, la seconda è riflettere in modo più approfondito sulle decisioni che si prendono a livello internazionale.
Con la globalizzazione, gli eventi che si verificano in una determinata parte del mondo producono effetti a catena in altre, adesso che idee e conoscenze, beni e servizi, capitali e persone circolano liberamente attraverso le frontiere.
L’azione collettiva globale dovrebbe concentrarsi sulla necessità di porre un freno alle esternalità negative (gli svantaggi che un soggetto economico procura ad un altro soggetto) e di promuovere, agendo collettivamente, il benessere generale provvedendo a garantire beni pubblici globali che vadano a beneficio delle popolazioni di tutto il pianeta. Adesso che il mondo è più globalizzato e integrato, aumentano le aree in cui si può agire in modo cooperativo, e in cui tale azione collettiva è non solo desiderabile, ma necessaria.
Nel lungo periodo, i cambiamenti più necessari perché la globalizzazione si metta veramente a funzionare riguardano le riforme finalizzate a ridurre il deficit di democrazia. Ecco i cambiamenti che sarebbero necessari in ciascuna istituzione internazionale:
- Cambiare il sistema di voto presso l’FMI e la Banca Mondiale, dando maggior peso ai paesi in via di sviluppo.. Nel FMI, gli Stati Uniti restano l’unico paese con diritto di veto effettivo. In entrambe le istituzioni, il potere di voto dipende dal potere economico e, si fa riferimento non al potere economico di oggi, ma dell’epoca in cui queste istituzioni furono create, oltre mezzo secolo fa.
- Cambiare la rappresentanza, cioè chi rappresenta ciascun paese. Un possibile cambiamento potrebbe essere quello di coinvolgere tutti i ministri interessati quando diversi ambiti si intersecano.
Adottare principi di rappresentanza.
Riforme per modificare il modo di agire delle istituzioni internazionali:
- Maggiore trasparenza,
- Migliorare le norme che regolano i conflitti d’interessi,
- Tutti dovranno avere voce in capitolo,
- Possibilità per i paesi in via di sviluppo di partecipare in maniera significativa al processo decisionale,
- Le istituzioni internazionali devono rispondere del loro operato,
- Introdurre procedimenti giudiziari più efficaci,
- Far rispettare le leggi internazionali.
Abbiamo un sistema imperfetto di governance globale senza governo globale. Una delle imperfezioni consiste nel fatto che non riusciamo ad applicare gli accordi internazionali e a fermare le esternalità negative. Per riuscirvi dobbiamo usare tutti gli strumenti a nostra disposizione, comprese le sanzioni commerciali.
Perché la globalizzazione si metta a funzionare abbiamo bisogno di un regime economico internazionale più equilibrato nel garantire il benessere sia dei paesi sviluppati, sia dei paesi in via di sviluppo: un nuovo contratto sociale globale tra i paesi ricchi e quelli più svantaggiati.
Perché la globalizzazione possa funzionare, è ovvio che anche i paesi in via di sviluppo devono far la loro parte. La comunità internazionale può contribuire a creare un ambiente favorevole allo sviluppo, fornendo risorse e opportunità, ma in ultima analisi sono i paesi del Terzo Mondo che devono prendere nelle loro mani la responsabilità di garantirsi uno sviluppo sostenibile, i cui frutti siano condivisi.
Un modo per raggiungere un maggiore equilibrio sarebbe quello di rafforzare il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite.
Il malcontento nei confronti della globalizzazione, ma soprattutto nella sua gestione, riguarda anche i risultati da essa raggiunti e la mancanza di democrazia. Sanare il deficit di democrazia sarebbe un importante passo avanti sulla strada di una globalizzazione che funziona su entrambi i fronti.
La sfida per una globalizzazione che funziona è universalizzare queste preoccupazioni e democratizzare le procedure.
Il dibattito sulla globalizzazione mette in luce un tema importante: la globalizzazione politica non riesce a tenere il passo della globalizzazione economica. Siamo diventati interdipendenti dal punto di vista economico prima di aver imparato a vivere in pace. Sebbene i vincoli posti in essere dalla globalizzazione economica siano un forte incentivo per la pace, da soli non bastano, e se non c’è la pace, non può esserci nemmeno il commercio.
Gli Stati Uniti, da una parte reclamano la necessità della globalizzazione economica, dall’altra indebolisce le fondamenta politiche indispensabili perché la globalizzazione possa funzionare. Gli Stati Uniti hanno giustificato il loro operato sostenendo di agire per rafforzare la democrazia di tutto il mondo, ma hanno indebolito la democrazia globale. Fin dall’inizio della loro storia nazionale, gli Stati Uniti hanno tratto vantaggio dalla globalizzazione, con l’enorme afflusso di lavoratori provenienti da tutte le parti del mondo, di capitali e d’idee.
Anche oggi, questo paese è tra i beneficiari della globalizzazione economica, ed è nell’interesse degli Stati Uniti garantire che non si torni indietro, hanno anche l’interesse a fare in modo che si riduca il ritardo tra la globalizzazione economica e globalizzazione politica.
Per gran parte dei paesi del mondo, la globalizzazione assomiglia ad un patto col diavolo. In ogni paese c’è qualcuno che si arricchisce, ma il tenore di vita generale e i valori fondamentali sono messi in pericolo.