La destra storica dal 1861 al 1876

La destra storica in Italia: le decisioni prese dal 1861 al 1876. La situazione politica e sociale italiana alla vigilia dell'Unità d'Italia

La destra storica dal 1861 al 1876
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DESTRA STORICA

Il brigantaggio in Italia è stato uno dei problemi con cui la destra storica si è scontrata
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Il 27 gennaio 1861 si svolsero le prime elezioni politiche dell'Italia unita. Ma meno del 2% della popolazione votò perché il diritto di voto era limitato ad una cerchia piuttosto ristretta: potevano votare solo coloro che sapevano leggere e scrivere, chi aveva già superato i 25 anni d’età e coloro che pagavano almeno 40 lire d’imposte dirette: proprietari terrieri, industriali, latifondisti, commercianti. La borghesia, in poche parole.

Il nuovo stato quindi nasceva escludendo dalla vita politica la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, e prendendo al suo servizio solo piemontesi e toscani che avevano studiato nella scuola di Cavour, e che già avevano un'esperienza politica.

In questo modo si riaffermava la continuità istituzionale tra il regno sabaudo e lo stato unitario, che era fondata sulla non modificazione della numerazione progressiva delle legislature, e sull’organizzazione costituzionale stabilita dal vecchio statuto Albertino.

Durante i primi quindici anni governò la Destra, che dovette cercare di cancellare tutti i dissidi tra nord e sud. Era un obiettivo complicato, perché oltre al fatto che allo stato mancassero una struttura amministrativa e ordinamenti scolastici e militari, gli abitanti delle diverse regioni erano divisi nettamente da culture molto diverse e dialetti incomprensibili tra loro.

La Destra formulò due ipotesi d’azione:

  • salvaguardare spazi di autogoverno tra le varie regioni, pur nel timore di non riuscire a controllare il paese;
  • accentrare i poteri nelle mani del governo, idea molto più ragionevole.

Fu scelta la seconda opzione. Con il decreto legge che prevedeva la nascita della nuova figura del prefetto, il governo adottò un metodo per tenere sotto controllo l’Italia. Presente in ogni regione, il prefetto conferiva direttamente con il ministro degli interni, e si occupava di verificare se tutto andasse per il verso giusto, dalla tutela dell’ordine pubblico alla nomina dei sindaci.

IL BRIGANTAGGIO

Tra i miglioramenti attuati dal governo, per combattere l’elevato analfabetismo si decise di rendere obbligatori due anni di scuola elementare. Venne instaurata una politica liberistica inspirata a Cavour, venne poi promulgato il nuovo codice civile e le norme di sicurezza pubblica.

Restava però un grande problema: l’infelicità dei contadini del sud che non avevano trovato conforto nella nuova politica. I loro desideri erano, oltre che migliorare le loro condizioni, anche riuscire a ottenere la garanzia dell’accesso alla proprietà.

Il governo si mostrò del tutto indifferente: fu allora che nacque il brigantaggio, un fenomeno che prevedeva l’abbandono dei paesi da parte dei contadini, il ritiro sulle montagne, il saccheggio e l’uccisione.

Questo mostrava apertamente la profonda frattura tra nord e sud; ma come al solito, invece di trovare una soluzione pacifica e cercare di risolvere il problema dalla radice, il governo decise di debellare il brigantaggio con un’azione violenta che causò la morte di migliaia di contadini ribelli.

L’integrazione nazionale fu facilitata dalla costruzione delle ferrovie e dall’abolizione delle dogane.

Pian piano il mercato si sviluppò maggiormente, i beni iniziarono a circolare più facilmente. Ma il sud iniziò a dipendere progressivamente dal nord.

Lo sviluppo delle manifatture comportò la scomparsa del lavoro a domicilio, elemento fondamentale per l’equilibrio economico della famiglia. Migliaia di contadini da produttori divennero consumatori, e il loro malcontento crebbe a dismisura: erano costretti a vivere in piccole cascine o in borghi su montagne, si svegliavano all’alba per andare a lavoro o a piedi o con il mulo, e molto spesso per via della distanza restavano a dormire fuori. Le loro donne vivevano in isolamento ed erano totalmente subordinate all’uomo.

Ma queste condizioni non erano caratteristiche solo dei contadini, ma anche dei cittadini: la scarsa alimentazione, il troppo lavoro, le precarie condizioni igieniche portavano ad una mortalità molto alta e alla diffusione di malattie mortali come colera, malaria, tifo e pellagra.

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Estrema povertà e continue riforme portarono all’aumento sempre maggiore del debito pubblico. La risposta che il governo diede fu l’aumento del prelievo fiscale, l’imposta del macinato al quale i più poveri si ribellarono, e le imposte dirette, anche se tutto questo non bastò a pareggiare i bilanci.

Chiunque possedesse denaro in contante aveva paura che ben presto la sua copertura sarebbe venuta meno, quindi iniziò un giro di conversione in oro che contribuiva all’indebolimento.

Al governo non restò altro che impedire il cambio in oro, cosa che provocò un aumento dell’inflazione.

Quando finalmente anche questo problema venne risolto, si cercò di risolvere quello dell’annessione dello stato pontificio. Già Cavour aveva cercato di instaurare un rapporto tra stato e chiesa secondo il quale la chiesa avrebbe dovuto rinunciare al potere temporale, ma naturalmente non era stato portato a buon termine.

Pio IX continuava a mantenere le truppe in sua difesa e a confidare in Napoleone III.

Chi cercò di prendere in mano la situazione fu Garibaldi che per due volte - una dove fu bloccato sull’Aspromonte e l’altra dove fu fermato a Mentana - tentò di marciare su Roma per sottrarla al dominio della chiesa.

Dopo un accordo con Napoleone, la convenzione di settembre, e un attacco dei bersaglieri a Porta Pia, Roma divenne sotto il controllo Italiano la capitale.

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