L'infinito di Leopardi: testo e spiegazione
Indice
1L’infinito di Leopardi: testo e parafrasi
Testo
Sempre caro mi fu quest’ermo colle, 1
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani 5
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce 10
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare. 15
Parafrasi
2L’infinito di Leopardi: analisi
L'infinito, composto a Recanati nel 1819, fu pubblicato una prima volta sulla rivista milanese «Il Nuovo Ricoglitore» alla fine del 1825 e poi nell'opuscolo Versi del 1826 come primo di sei Idilli.
2.1La forma
L'infinito di Leopardi è composto da una sola strofa di 15 endecasillabi. I versi non sono collegati dalle rime e, a prima vista, non sono individuabili suddivisioni interne.
A vederlo più da vicino, però, il blocco compatto dei 15 endecasillabi dell'Infinito di Leopardi appare scomponibile in due o forse tre unità ritmico-sintattiche minori e non proporzionate: in effetti, a un primo terzetto di versi, isolato da un punto fermo, fa seguito un unico movimento di 10 versi; alla metà del decimo prende avvio un altro terzetto di chiusura. Il «Così» che lo apre si ricollega al «Ma» a inizio del corpo di versi centrale.
Dopo il punto fermo del v. 3, l'unico a fine di verso di tutta la poesia, e dopo l'avversativa che apre il successivo («Ma sedendo e mirando»), il testo presenta un andamento più mosso e frastagliato, ma tuttavia scorrevole. L'effetto di continuità discorsiva deriva soprattutto dal fatto che la struttura sintattica non coincide con quella metrica.
L'isolamento dei primi tre versi non è dovuto, però, solo alla sintassi. Il loro andamento piano, caratterizzato anche dalla cadenza uniforme degli accenti («érmo còlle», «tànta» «pàrte», «guàrdo esclùde»), suggerisce infatti quasi l'idea di un inizio di canzone, cioè di una forma metrica chiusa e regolare e di un discorso altrettanto piano e regolare.
In particolare, un numero altissimo di enjambement tende ad annullare le pause di fine verso. E sono enjambement molto rilevati, dal momento che disgiungono elementi lessicali collegati in modo stretto dal punto di vista logico e grammaticale (aggettivo e nome: «interminati / spazi, sovrumani /silenzi; dimostrativo e nome: «quello / infinito silenzio, questa / immensità»).
Il momentaneo disordine è ricomposto nel verso finale, quasi isolato e riconnesso al primo da un forte parallelismo («quest'ermo colle», «questo mare»). Il richiamo inizio-fine produce una sensazione di circolarità e di chiusura.
2.2Infinito di Leopardi: spiegazione di parole e suoni
Dopo l'avversativa «Ma» anche il lessico conosce una profonda trasformazione.
Mentre nei primi tre versi compaiono parole («caro», «ermo», «colle», «siepe», «parte», «guardo», «orizzonte») molto usate nella produzione poetica italiana dei secoli precedenti, e per di più di misura breve (tutte bisillabiche, tranne «orizzonte»), dopo l'avversativa c'è un improvviso affollarsi di parole («interminati», «sovrumani», «profondissima») che spiccano sia per la loro lunghezza (quadrisillabi e pentasillabi) sia per la loro estraneità alla tradizione lirica. Queste parole inusitate (alle quali si può aggiungere "immensità", di particolare valenza tematica) sono forse i fattori formali più innovativi dell'Infinito di Leopardi.
Esse sono connesse al tema dell'infinito non solo da un punto di vista semantico («interminati spazi», «immensità» lo suggeriscono) ma anche dalla ricorrenza della vocale tonica à, che le collega fra loro e finisce per ricondurre a quel tema anche parole che a prima vista sembrerebbero estranee al motivo dell'infinito: per esempio, «interminàti», «sovrumàni», «màre», a fine di verso; «miràndo», «comparàndo», «immensità», «naufragàr», a fine di emistichio; «tànta pàrte» e«interminàti / spàzi», in posizione ravvicinata.
A rinforzare l'idea di infinito concorrono anche i plurali («interminati spazi», «sovrumani silenzi», «morte stagioni») e le serie di coordinazioni in e («e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete»; «e mi sovvien l'eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e via, e il suon di lei»).
Insieme agli enjambement, i plurali e le coordinate in e producono una sensazione di molteplicità e di dilatazione spazio-temporale.
2.3L'Infinito di Leopardi: il racconto di un processo interiore
I versi iniziali sembrerebbero dare l'impressione che il tema della poesia sia quello tradizionale del piacere della solitudine ricercata in luogo ameno e riparato. L'avvio sembra narrativo, perché il «sempre caro mi fu» suggerisce l'idea di un legame antico, che rimanda al passato. Ma subito dopo subentra e domina in assoluto il presente. L'esperienza descritta è dunque attuale o, piuttosto, si ripete ogni volta con la stessa forza della prima.
Dopo l'avversativa, infatti, nel testo dell'Infinito, Leopardi si mette a raccontare una esperienza unica ed eccezionale vissuta nel momento stesso in cui viene raccontata. L'idea stessa che sia una siepe a suscitare l'immaginazione di spazi infiniti e lo faccia proprio perché impedisce la vista, è di per sé sorprendente. Ci aspetteremmo che a farlo siano piuttosto gli spazi aperti dai quali sia possibile spingere lo sguardo a grande lontananza.
Per Leopardi l'infinito è connesso con l'immaginazione. Nel luglio del 1820 (quindi dopo la composizione di questo idillio) scrive sullo Zibaldone che a volte «l'anima» desidera «una veduta ristretta […] perché allora in luogo della vista lavora l'immaginazione, e il fantastico sottentra al reale.".
L'anima s'immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista s'estendesse per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario. [Lo Zibaldone, 1820]
Ebbene, l'Infinito di Leopardi racconta un processo interiore: di come gradualmente, partendo dalle concrete esperienze sensoriali, il soggetto giunga a immaginare ciò che non ha limiti di spazio e di tempo, fino a uscire da se stesso e a sprofondare («naufragar») in quella sensazione assoluta. Potremmo anche dire che esso racconta una esperienza di perdita della coscienza, di annullamento di sé.
Anche se l'intelaiatura di pensiero è del tutto razionale, il racconto non si struttura su nessi logici. A farlo procedere è la registrazione dei diversi stimoli sensoriali che, in maniera casuale, colpiscono la sensibilità del soggetto. La «siepe», oggetto immobile che chiude, fa nascere per contrasto il pensiero degli spazi infiniti. Un pensiero, o immaginazione, con il quale fa corpo una percezione del tutto mentale di assoluto silenzio. Come sopraffatto da questa scoperta, l'io avverte una sensazione di sconforto e di paura: «ove per poco / il cor non si spaura».
Nella prima parte, dunque, il silenzio, inteso più come idea che come evento fisico, è una componente dell'infinito spaziale. Ma ecco che il rumore del vento tra le fronde, stimolo acustico inatteso, mette in moto un processo interiore dal quale affiora l'intuizione di un diverso infinito, quello temporale. Il rumore del vento è il rumore della vita, riporta al presente, ma nello stesso tempo, imponendo quasi il confronto tra l'evento contingente e il sovrumano silenzio appena immaginato negli spazi infiniti, suscita un altro paragone, quello tra l'ora, il momento presente, e il passato, o meglio i passati, anche quelli dilatabili all'infinito, fino a confondersi con l'eternità.
Catturato da queste due sensazioni di infinito, il soggetto perde la sua identità, e la perdita consiste, letteralmente, nel venir meno delle coordinate spazio-temporali: «naufraga» nell'«immensità», sprofonda. Ma questa volta non avverte paura e si abbandona totalmente a una sorta di «dolce» regressione prenatale.
La felicità, così rara per un teorico del piacere mancato come Leopardi, viene a coincidere con l'annullamento di sé.
3Significato de l'Infinito di Leopardi
L' Infinito di Giacomo Leopardi esprime il contrasto tra i limiti della realtà e il desiderio umano di infinito. Il poeta si rifugia su un colle da cui, osservando l'orizzonte limitato da una siepe, lascia libero il pensiero di vagare oltre, immaginando spazi infiniti. Questa contemplazione lo conduce a una sensazione di eternità e di immensità che provoca in lui una fusione tra finito e infinito. L'opera riflette il sentimento del sublime e la tensione leopardiana tra la percezione del nulla e l'aspirazione verso l'assoluto.
L’ Infinito di Giacomo Leopardi ancora oggi è considerato un componimento attuale per le tematiche profonde e universali che affronta, per la sua capacità di esplorare temi filosofici, spirituali ed esistenziali che restano di interesse nella società contemporanea. La sua universalità e la sua capacità di catturare l'essenza della condizione umana fanno sì che la poesia continui a ispirare e a stimolare la riflessione anche dopo così tanti anni. In questo componimento convivono insieme la riflessione sulla natura umana, sul rapporto tra uomo e natura, l'esperienza della contemplazione di ciò che è universale, la riflessione sul contrasto tra i limiti umani e l'immensità dell'Universo.
4Ascolta la spiegazione nel podcast sulla poesia di Leopardi
Ascolta la puntata del nostro podcast dedicata alla poesia di Leopardi!