Jean Racine: biografia e opere
Indice
1Vita e opere di Racine
Nella seconda metà del Seicento, Jean Racine portò a compimento il teatro classico, scalzando Pierre Corneille dal piedistallo di autore del secolo. Dopo il dramma morale di Corneille, lui mise al centro della scena la «verità» della condizione umana. Considerato il creatore della «perfezione tragica», e «il più grande poeta del XVII secolo», fu ammirato e imitato in tutta Europa.
Non estremamente prolifico, scrisse undici tragedie e una commedia. Con l’eccezione di Bajazet (1672), tutte le sue pièces prendono in prestito argomenti dell’antichità classica: sia storici, ispirati agli scritti di Tacito e Svetonio, sia mitologici, ispirati soprattutto a Euripide, da lui considerato il più tragico dei tre autori classici.
Jean Racine nacque nel 1639 a La Ferté-Milon, nel dipartimento dell’Aisne, da una famiglia borghese impoverita. Rimasto orfano da piccolo, venne accolto nel monastero di Port Royal, grazie a una zia. Lì fu educato dai maestri giansenisti, e studiò approfonditamente latino e greco. Il giansenismo, con la sua concezione pessimista dell’uomo, lasciò tracce nell’opera di Racine.
Nel 1658 si spostò a Parigi, dove pensò alla carriera ecclesiastica, ma in breve decise di dedicarsi a letteratura e poesia.
Mentre Racine si apprestava a esordire, Luigi XIV aveva da poco preso il potere personalmente: continuò la politica di autocelebrazione dell’assolutismo di Richelieu e Mazzarino, promossa anche tramite il mecenatismo. Il teatro aveva riacquistato centralità, dopo i disordini del periodo di rivolte come quella della Fronda. Racine doveva fare i conti con la tragedia eroica di Pierre Corneille, e la tragedia galante di autori come Thomas Corneille e Philippe Quinault (1635-1688).
Esordì con l’intento dichiarato di:
- tornare alla semplicità dei modelli antichi, per produrre uno scarto rispetto alla «grandezza barocca» di Corneille;
- rispettare la «norma classicista», derivata dalla Poetica di Aristotele, e in seguito messa nero su bianco da Pierre Boileau nell’Art poétique (1674).
Per ribadire questi concetti, tutte le sue pièces sono corredate da prefazioni: «action simple, chargée de peu de matière», si legge per esempio in quella al Britannicus (1669).
Il suo debutto fu un fallimento: la messa in scena della Thébaide (1664), modulata sulle Fenicie di Euripide, era della compagnia di Molière.
Racine ruppe allora per sempre con Molière, affidandosi, per Alexandre le Grand (1665), alla troupe rivale dell’Hôtel de Bourgogne. Questa volta fu un successo: la pièce ibridava la tragedia storica ed eroica con la tragedia galante.
Nel 1666 Racine tagliò i ponti anche con i maestri di Port Royal, scrivendo un pamphlet che difendeva il teatro, contro il quale loro polemizzavano, considerandolo amorale e anticristiano. Aveva ventisette anni e si era emancipato da tutti i suoi tutori, per inseguire la strada del successo, secondo le sue regole.
Con Andromaque (1667) rivelò tutta la sua originalità e conquistò la corte: il re in persona lo applaudì. Il successo era dovuto anche all’attrice Mlle du Parc, che interpretava Andromaque ed era l’amante di Racine. Alla rappresentazione accorsero le folle, in lacrime di fronte alla «catena degli amori» infelici. La tragedia si rifaceva all’Andromaca di Euripide, all’Eneide di Virgilio, e al Pyrrhus di Thomas Corneille.
La guerra di Troia è finita, e Andromaque è prigioniera di Pyrrhus, re dell’Epiro e figlio di Achille, il quale lascia per lei la fidanzata Hermione, che lo ama, ma è amata da Horeste. Andromaque è fedele al ricordo di Hector, ma accetta di sposare Pyrrhus, per salvare il figlio Astyanax, che Horeste vuole uccidere per evitare che si vendichi del padre. Al matrimonio, Horeste uccide Pyrrhus. Il destino ineluttabile, per tutti i personaggi, è essere succubi delle proprie passioni. La scelta tragica di Andromaque – «tradire» la memoria di Hector per salvarne il figlio – rappresenta il trionfo discreto dell’erede legittimo al potere, Astyanax: un rimando alla legittimità del monarca.
La «catena degli amori» diventò una costante nel teatro di Racine. In Britannicus (1669), Néron ama Junie, in Bérénice (1670), Antiochus ama Bérénice che ama Titus, in Bajazet (1672) Roxane ama Bajazet che ama Atalide. Seguirono Mithridate (1673), Iphigénie (1674) e Phèdre (1677), la sua pièce più celebre.
Ispirata all’Ippolito di Euripide e alla Fedra di Seneca, narra l’amore incestuoso di Phèdre – moglie del re Thésée, partito per la guerra – per il figliastro Hyppolite. Phèdre si strugge, mettendo in scena il conflitto tra civiltà e natura, tra ragione e passione. Dichiara il suo amore a Hyppolite, che la respinge perché ama Aricie. La sua confidente Œnone cerca di salvarla, dicendo a Thésée, ritornato, che Hyppolite ha attentato alla virtù di Phèdre. Thésée caccia il figlio maledicendolo, e Hyppolite è ucciso da un mostro marino inviato da Poseidone. Distrutta dal senso di colpa, Phèdre si avvelena e, agonizzante, ammette le sue responsabilità a Thésée. La passione è per Phèdre una fatalità ineluttabile, già inscritta nella sua genealogia: figlia di Minosse e di Pasifae, porta in sé il conflitto tra legge e desiderio irrazionale. «Le mal vient de plus loin», dichiara infatti sulla scena.
Il favore di cui godeva a corte aveva condotto Racine a una condizione molto agiata. Nel 1677 fu nominato storiografo del re, si sposò e ottenne il titolo nobiliare di gentilhomme ordinaire de la chambre. Smise di scrivere per il teatro, fatta eccezione per le tragedie religiose Esther (1689) e Athalie (1690), richieste da Madame de Maintenon, sposa segreta di Luigi XIV.
Quando morì, nel 1699, fu seppellito a Port Royal, secondo le sue volontà: si era, nel frattempo, riconciliato con il monastero e con i suoi insegnamenti.
2I temi nelle opere di Racine: l’universo tragico del drammaturgo francese
Con Racine il teatro tragico si distacca dall’eroismo, acquisendo una perfetta unità tra la forma e il tono, che non è più glorioso, ma misurato e sobrio, in accordo con i gusti mutati della nobiltà di corte del tempo.
Il rigore nella struttura delle tragedie rimanda al rigore del destino inesorabile che grava sui personaggi, destino incarnato dalle loro passioni. La scena inizia sempre nel momento in cui le passioni si scatenano.
L’ambientazione è regale e leggendaria a un tempo, perché più i personaggi sono nobili, e possono aspirare al massimo prestigio, più la loro sventura è grande. Tra la miseria umana e la felicità ideale si apre un baratro, che produce la «tristezza maestosa», considerata da Racine l’anima della poesia tragica.
Attorno a questo nucleo costitutivo, il suo universo tragico si articola in una serie di temi:
- L’amore, in varie accezioni. Gli innamorati perseguitati, o impediti da ostacoli, sono presenti in tutte le tragedie, e derivano dal teatro di Corneille. In Racine però l’amore è deluso, perché non è ricambiato, ed è anche pudico. All’amore-dedizione, rassegnato al sacrificio, si oppone la passione sfrenata e fatale, che corrisponde alla perdita della ragione e produce disastri.
- La violenza è la passione che muove il mondo: le anime nobili sono consapevoli della propria impotenza di fronte a essa, e sono rassegnate alla condizione di vittime.
- La virtù, soprattutto per le donne, sta nell’essere minacciate o sacrificate, e però rimanere integerrime e fedeli.
- La natura umana è governata dagli istinti e perciò non è libera: è preda della fatalità. Il male è quindi una presenza invincibile. È questa la concezione pessimista di Racine, che mostra l’uomo debole e crudele.
3Lingua e stile nelle opere di Racine
Anche l’aspetto formale risponde in Racine alle necessità di una struttura rigorosa e semplice. Lo svolgimento delle tragedie è lineare, rispetta l’unità aristotelica, e sono quasi assenti i coups de theâtre.
Il lessico è limitato e casto – c’è anche molta terminologia biblica – e usato per lo più in senso letterale: ci sono poche metafore e in generale poche figure retoriche.
Il verso usato è l’alessandrino, verso classico della poesia francese da Ronsard in poi.