Irrazionalismo: Schopenhauer, Nietzsche e Kierkegaard
L'irrazionalismo di Schopenhauer, di Nietzsche e di Kierkegaard: analisi del pensiero dei tre filosofi da un brano di Sergio Moravia
IRRAZIONALISMO: SCHOPENHAUER, NIETZSCHE E KIERKEGAARD
Dall’Europa Settentrionale vengono tre filosofi che interrompono il dominio del razionalismo ottocentesco. Si tratta dei tedeschi Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche e del danese Kierkegaard.
Sergio Moravia presenta i tre filosofi nei tratti salienti e distintivi rispetto al pensiero del loro tempo.
Lo scenario intellettuale dell’800 è innegabilmente dominato da tre indirizzi filosofici: l’idealismo, il positivismo e il materialismo marxista e non. Tuttavia esso ha ospitato almeno tre pensatori diversi, di grande rilievo: Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche.
Nel loro tempo nessuno di essi ha avuto modo, sia per ragioni oggettive (l’egemonia dei sistemi speculativi) sia per ragioni soggettive (la loro vita in vario modo strozzata, i loro scritti spesso troppo eccentrici rispetto al costume intellettuale dell’epoca) di allevare dei discepoli, di costituire una vera e propria scuola.
Ciò non significa che i tre filosofi siano rimasti, per così dire, dei corpi estranei rispetto al pensiero europeo e ai suoi problemi. Essi hanno anzi espresso, meglio di chiunque altro, alcune precise inquietudini e istanze della coscienza moderna, in una fase particolarmente delicata della sua storia.
Contro le certezze idealistiche e positivistiche relative alla razionalità del mondo e alle possibilità illimitate del sapere, alla trasparenza dell’uomo e alla natura progressiva della storia, all’esistenza di principi morali assoluti e alla capacità-doverosità della filosofia di cogliere le strutture universali e necessarie del reale, Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche conducono, ciascuno a modo suo, una critica radicale, che ha suggerito nuovi itinerari al pensiero europeo.
Per essi, la realtà non è tutta razionale e tra ordine delle cose e ordine dei concetti v’è un’eterogeneità di fondo, che nessuna dialettica verrà a colmare interamente.
Per quanto riguarda il sapere, esso ha limiti precisi, sia a causa della natura finita del soggetto e sia a causa dell’opacità e irriducibile differenza delle cose.
Per quanto riguarda l’uomo, il suo essere appare eccedente rispetto alle categorie della razionalità tradizionale e soprattutto diverso e incommensurabile rispetto agli altri enti naturali.
Circa il divenire storico dell’umanità, è pura ipotesi metafisica dire che è guidato da una più o meno immanente finalità.
Circa la morale, essa non può fornire alcuna sicurezza assoluta al soggetto (Kierkegaard); non enuncia verità che valgano per tutti gli individui in ogni circostanza; e forse, nonché essere la più alta espressione della natura umana, ne è il più fuorviante stravolgimento (Nietzsche).
Quanto alla filosofia, se mai può avere un compito positivo, esso consisterà non certo nel ricercare inesistenti fondamenti assoluti, bensì nel far acquisire all’uomo una maggiore consapevolezza della sua finitudine e nel promuovere la sua liberazione dai pregiudizi che lo imprigionano.
Oltre a questo aspetto critico o negativo, i tre pensatori hanno molteplici contenuti positivi.
A questo proposito, viene da pensare all’analisi della dimensione dell’esistenza (Kierkegaard) dell’uomo concreto, della singolarità.
Ma a tale analisi si può e si deve collegare idealmente la potente raffigurazione dell’essere umano (Schopenhauer), della centralità in esso di una dimensione pratico-affettiva, e della sua natura bisognosa e desiderante.
In reale sintonia con Dostoevskij e Baudelaire e spesso anticipando da vicino Freud, i nostri tre autori hanno portato, come nessun altro, alla luce della riflessione aspetti oscuri e pur tanto reali della persona: la pressione della volontà inconscia (Schopenhauer), l’angoscia costitutiva dell’io (Kierkegaard) e l’azione molteplice degl’istinti (Nietzsche).
Anche sotto il profilo gnoseologico, i tre filosofi hanno delineato dottrine ricche d’implicazioni e di risonanze che non si sono ancora spente.
Basti pensare all’analisi di Schopenhauer della conoscenza come organizzazione pratica dei fenomeni, che anticipa sorprendentemente alcuni aspetti del pragmatismo; e soprattutto alle tesi di Nietzsche sulla conoscenza come punto di vista, prospettiva, interpretazione, tesi che, a tacer d’altro, hanno alimentato un preciso filone del pensiero ermeneutico contemporaneo.
Assai più discutibile appare, invece, la frequente definizione della filosofia di Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche come pensiero irrazionalistico.
Non già, beninteso, che manchino nell’opera dei tre filosofi contenuti e aspetti considerabili a buon diritto irrazionalistici; ma l’espressione irrazionalismo, usata come connotazione di tutto il pensiero dei tre autori, appare riduttivamente privativa ed è spesso ricca d’ingiustificate implicazioni negative sotto il profilo intellettuale e morale. (…) Ora, è per più versi illegittimo leggere l’opera di Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche come una mera polemica subalterna contro posizioni altrui, negare a questi tre autori una tematica autonoma, ricca di contenuti positivi e non includibili entro la ristretta dicotomia ragione-non ragione.
È stato anche osservato che la battaglia dei tre filosofi si è svolta non tanto contro la ragione in sé, quanto contro il razionalismo; vale a dire, non tanto contro una certa funzione intellettuale dell’uomo, quanto contro un sistema teorico che assolutizza l’area del razionale, generalizzandone in modo indebito i principi e le categorie.
Né si può trascurare il fatto, certo paradossale, che la riflessione irrazionalistica di Kierkegaard, Schopenhauer e Nietzsche ha contribuito ad allargare assai, rispetto alle posizioni e agli orizzonti del razionalismo, l’ambito di ciò che può e deve essere sottoposto alla riflessione umana.
Si pensi, a questo proposito, all’analisi dell’inconscio e della “malattia mortale” (Kierkegaard), che abita gli strati profondi dell’uomo. Si pensi ancora a certe indagini genealogico-critiche di Nietzsche intorno ai significati nascosti, e volutamente ignorati dal pensiero razionale, di certi comportamenti morali, dell’interpretazione tradizionale della coscienza e dell’io e perfino della struttura logico-sintattica della comunicazione linguistica.