L'imputazione dell'attività d'impresa

Chi è l'imprenditore occulto e l'impronditore incapace di agire. Quando nasce e quando "muore" un'impresa. Spiegazioni che troverete in questo articolo

L'imputazione dell'attività d'impresa

Argomenti trattati: L’imprenditore e il rischio di impresa: l’imprenditore occulto - L’imprenditore incapace di agire - Altri casi di sostituzione nell’esercizio dell’impresa - L’inizio e la fine dell’impresa

L’IMPRENDITORE E IL RISCHIO DI IMPRESA: L’IMPRENDITORE OCCULTO

Art. 2082: l’impresa è un’attività economica professionalmente esercitata al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi. È imprenditore colui che esercita questa attività. Egli sopporta il rischio dell’attività di impresa rischiando la propria ricchezza. Subire il rischio di impresa significa essere chiamati a rispondere dei debiti sorti nell’esercizio di impresa.
L’imprenditore potrà essere chiamato a rispondere dei debiti relativi all’impresa con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’astratto rischio si può tradurre in un’effettiva perdita o se insolvente, in una dichiarazione di fallimento dell’imprenditore.
Art. 2086: capo dell’impresa è l’imprenditore, il soggetto che subisce il rischio di impresa. Secondo i giuristi è imprenditore il soggetto nel nome del quale l’impresa è esercitata.
L’attività imprenditoriale è esercitata sotto nome altrui quando un soggetto interpone fra se e i terzi un prestanome (la ditta è formata con il nome o la sigla di quest’ultimo). L’imprenditore occulto è un soggetto che si cela dietro il prestanome, i terzi ne ignorano l’identità. Viene fatto per diverse ragioni, è prevalente l’intento di sottrarsi ai rischi che l’esercizio di un’impresa comporta. Si sceglie come prestanome un nullatenente. Il rischio di impresa viene così trasferito sui creditori (fornitori e dipendenti).
Dato che il loro debitore è insolvente, essi potranno chiedere la dichiarazione di fallimento, ma la chiederanno del prestanome che scopriranno nullatenente (non avrà niente da perdere con il fallimento). Il prestanome sarà il solo soggetto al quale può essere imputata l’attività di impresa (non l’imprenditore occulto).
Art. 1705: è imprenditore agli effetti giuridici il soggetto nel nome del quale l’impresa è esercitata: occorre la spendita del nome.
Non fallisce l’imprenditore occulto ma fallisce invece il socio occulto. È previsto il fallimento dei soci l’esistenza dei quali è stata scoperta solo nel corso della procedura fallimentare.
Fallisce anche se la dichiarazione del suo fallimento ledono le aspettative dei suoi creditori personali. Socio occulto di società palese: l’esistenza della società è nota ai terzi, occulta è l’esistenza di alcuni soci.
Socio occulto di società occulta
: la spendita del nome è requisito superfluo per imputare ad un soggetto un’attività di impresa e renderlo responsabile dei relativi debiti à è irrilevante nelle società di persone la spendita del nome della società e dei soci.

L’IMPRENDITORE INCAPACE DI AGIRE

Il tema dell’impresa tocca il tema della capacità, chi non ha la capacità di agire si trova nella giuridica impossibilità di esercitare un’impresa.
In teoria i minori non possono acquistare la qualità di imprenditore, i genitori li rappresentano in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni.
Il minore acquista la qualità di imprenditore in virtù dell’attività d’impresa svolta, con i suoi beni, dall’esercente la patria potestà.
L’esercizio di un’impresa commerciale non può essere continuato se non con l’autorizzazione del tribunale, su parere del giudice tutelare.
La norma ammette la continuazione di un’impresa commerciale, ma non permette ai genitori di iniziare, con i beni del figlio, l’esercizio dell’impresa. Si vuole evitare che l’azienda pervenuta al minore debba essere ceduta o data in affitto.
Fenomeno risultante: dissociazione tra titolarità dell’impresa ed esercizio della stessa. L’impresa è esercitata dai genitori ma ogni atto di impresa è imputato al figlio.
Ai genitori spetta l’usufrutto legale dei beni del minore: faranno propri i frutti dei beni del figlio (utili dell’azienda).
È il figlio che in caso di insolvenza sarà dichiarato fallito subendone a rigore tutte le conseguenze patrimoniali, gli effetti personali del fallimento saranno imputati al capo dell’impresa (i genitori).
Per il minore sottoposto a tutela la differenza è che il tutore non ha usufrutto legale sui beni del minore, gli utili dell’impresa appartengono al minore.
Il minore emancipato può ottenere dal tribunale l’autorizzazione ad esercitare un’impresa commerciale e se ottenuta l’autorizzazione può compiere da solo gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. L’inabilitato può essere solo autorizzato a continuare l’esercizio di un’impresa commerciale.
Egli è un infermo di mente, sia pure di grado minore, di cui si accerta, con la sentenza di inabilitazione, la ridotta idoneità ad amministrare in modo autonomo il proprio patrimonio.
Anche per l’interdetto vale il principio che limita la possibilità di autorizzazione alla sola continuazione dell’impresa, è come il minore emancipato à l’interdetto resta titolare dell’esercizio nell’impresa. L’interdetto è solo centro di imputazione di un attività imprenditoriale da altri svolta nel suo interesse.
Il tutore
potrà, per i rischi cui ha esposto il patrimonio dell’interdetto, essere rimosso e chiamato a risarcire i danni cagionati all’interdetto oltre che essere chiamato a risarcire i danni cagionati ai terzi contraenti.
Se poi sia lo stesso interdetto ad esercitare l’impresa, il tutore risponderà per il negligente esercizio dei suoi poteri verso l’incapace e verso i terzi.
L’inabilitato
che eserciti l’impresa senza autorizzazione del tribunale dovrà farsi assistere dal curatore e autorizzare dal giudice tutelare per gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, pena l’invalidità degli atti compiuti.
Il CC tace riguardo alle imprese agricole su minori e incapaci. Al minore o all’infermo di mente che sia proprietario di un’attività agricola si applicheranno le norme comuni sulla potestà o sulla tutela o sulla curatela.
L’impresa agricola verrà esercitata in nome dell’incapace, dall’esercente la potestà o dal tutore; ma costoro dovranno ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare per ogni atto di straordinaria amministrazione.
La piccola impresa non tollera una dissociazione tra titolarità ed esercizio dell’impresa. Il tutore del piccolo imprenditore interdetto non potrà mai chiedere di essere autorizzato ad esercitare un’impresa artigiana nell’interesse dell’interdetto.
Il titolare dell’impresa
dovrà essere cancellato dall’albo delle imprese artigiane essendo venuti meno i requisiti per l’iscrizione (è interdetto). L’inabilitato può essere autorizzato a continuare la gestione personale dell’impresa: per gli atti di straordinaria amministrazione sarà richiesta assistenza dal curatore e dal giudice tutelare.

ALTRI CASI DI SOSTITUZIONE NELL’ESERCIZIO DELL’IMPRESA

Altri casi sono il sequestro giudiziario di azienda, l’esercizio provvisorio da parte del curatore fallimentare dell’impresa del fallito, l’amministratore giudiziario di società di capitali nominato in caso di gravi irregolarità da parte di amministratori e sindaci, il commissario governativo nominato nelle cooperative o nei consorzi.
Un’azienda può essere sequestrata
quando ne è controversa la proprietà o il possesso, ed è opportuno provvedere alla sua gestione temporanea: impresa esercitata da custode nominato dal giudice ma l’attività di impresa sarà imputata al titolare dell’azienda.
Il curatore fallimentare si troverà nella condizione di chi esercita l’altrui impresa quando il tribunale abbia disposto la continuazione dell’impresa del fallito: le attività e le passività dell’impresa gestita dal curatore saranno attività o passività del fallito.
Imprenditore rimane sempre il sostituito: a costui vengono imputati non solo gli effetti dei singoli atti compiuti dal sostituto ma anche l’attività nel suo insieme.
Art. 2203: l’imprenditore prepone un institore all’esercizio della sua impresa: la preposizione all’esercizio dell’impresa è volta dall’imprenditore. L’institore è un lavoratore subordinato dell’imprenditore, tenuto ad osservare le direttive.
Art. 2205: l’institore è tenuto, insieme con l’imprenditore, all’osservanza delle disposizioni sull’iscrizione nel registro delle imprese e la tenuta delle scritture contabili.
Secondo lo schema della preposizione institoria, l’imprenditore conserva le prerogative del capo d’impresa: rende partecipe l’institore di un potere che tuttavia rimane nelle sue mani.
In pratica si verifica il caso dell’imprenditore che rinunci per contratto ad ogni potere direttivo sulla sua impresa e lo trasferisca ad un diverso soggetto. Accade così che l’impresa sia diretta di soggetti che non subiscono il rischio di impresa.
L’esercente la potestà o il tutore agiscono sotto il controllo del tribunale e del giudice tutelare; il curatore fallimentare agisce sotto il controllo del giudice delegato e del comitato dei creditori; gli amministratori giudiziari e i commissari governativi sono sottoposti a controllo giudiziario.
Solo chi dirige la propria impresa non è sottoposto ad alcun controllo esterno.
Il soggetto a favore del quale l’imprenditore si sia privato, per contratto, del potere di dirigere l’impresa agisce oltre che senza alcun rischio personale al di fuori di ogni controllo esterno.

L’INIZIO E LA FINE DELL’IMPRESA

Art. 2082: acquista la qualità di imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica, la semplice intenzione non basta, occorre l’effettivo esercizio di un attività imprenditoriale.
Basta anche solo il compimento di un solo atto di impresa purché accompagnato da circostanze che non lascino dubbi sul fatto che esso sia il primo di una lunga serie di atti.
È necessario predisporre l’organizzazione necessaria per esercitare l’impresa a rendere l’imprenditore già assoggettabile al fallimento.
Per primo atto di impresa si è inteso un primo atto di gestione; si è detto che la professionalità di chi compie questo primo atto è rivelata dal fatto che egli ha predisposto un’organizzazione per l’esercizio di un’impresa. Ma non è sufficiente.
Gli atti di organizzazione
però possono essere insufficienti a fare assumere la qualità di imprenditore.
Gli atti dell’organizzazione sono i soli idonei a questo effetto.
Sono atti di impresa tutti gli atti preordinati al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi: idonei a fare acquistare la qualità di imprenditore. Ciò che conta è che possa dirsi certo l’intento di esercitare professionalmente una data attività di produzione o di scambio.
La cessazione dell’impresa è normalmente seguita dalla liquidazione.
L’imprenditore vende le rimanenze di magazzino, gli impianti, le attrezzature e tutti gli elementi che componevano la sua azienda. L’impresa può dirsi cessata solo quando sia avvenuta la disgregazione del complesso aziendale.
L’imprenditore che ha cessato l’esercizio di impresa può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa. L’attività di impresa perdura anche in fase di liquidazione, fino a quando l’imprenditore compie operazioni economiche.
Il fatto che sopravvivano crediti o debiti non comporta persistenza dell’impresa.

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