Iliade, il riscatto del corpo di Ettore (Libro XXIV): trama, parafrasi e commento

Trama, parafrasi e commento del Libro XXIV dell'Iliade dove si racconta del riscatto del corpo di Ettore da parte di suo padre Priamo, che implora Achille di restituirgli il corpo del figlio caduto in battaglia.
Iliade, il riscatto del corpo di Ettore (Libro XXIV): trama, parafrasi e commento
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1Il riscatto del corpo di Ettore: trama

Incisione d'epoca del funerale di Ettore
Incisione d'epoca del funerale di Ettore — Fonte: getty-images

Priamo, non visto da nessuno, giunge all’accampamento dei Greci. Tutti restano sbigottiti: hanno davanti a loro il re nemico: quella che era un’entità, una specie di astrazione, “il nemico”, è lì davanti a loro ed è un vecchio, fragile, un padre distrutto dal dolore che ha perso il suo figlio prediletto. Nessuno sa bene cosa fare. Priamo si getta immediatamente alle ginocchia di Achille e lo prega di restituirgli il corpo del figlio affinché possa piangerlo e onorarlo insieme ai suoi cari. Offrirà un riscatto infinito in cambio.

Per convincere il famoso eroe, gli ricorda il padre, Peleo, e Achille stesso si abbandona al ricordo, e piange. Una volta goduti i lamenti e il pianto, Achille acconsente a restituire il corpo. L’impazienza di Priamo viene scambiata come un gesto di arroganza e Achille gli ricorda che è lui, obbedendo agli dei, a fargli questo favore. In un attimo potrebbe cambiare idea.

2Il riscatto del corpo di Ettore: testo

Priamo implora Achille di restituirgli il corpo del figlio Ettore
Priamo implora Achille di restituirgli il corpo del figlio Ettore — Fonte: istock

Entrò non visto il gran Priamo, e standogli accanto
strinse fra le sue mani i ginocchi d’Achille, 

baciò quella mano tremenda, omicida, che molti figliuoli gli uccise.
Come quando grave colpa ha travolto un uomo,
che, ucciso in patria qualcuno, fugge in altro paese,
in casa d’un ricco, stupore afferra i presenti;
così Achille stupì, vedendo Priamo simile ai numi,
e anche gli altri stupirono e si guardarono in faccia.
Ma Priamo prendendo a pregare gli disse parola:
<<Pensa a tuo padre, Achille pari agli dèi,
coetaneo mio, come me sulla soglia tetra della vecchiaia,
e lo tormentano forse i vicini, standogli intorno,
perché non c’è nessuno che il danno e il male allontani.
Pure sentendo dire che tu ancora sei vivo,
gode in cuore, e spera ogni giorno
di vedere il figliuolo tornare da Troia.
Ma io sono infelice del tutto, che generai forti figli
nell’ampia Troia, e non ne resta nessuno.
Cinquanta ne avevo quando vennero i figli dei Danai,
e diciannove venivano tutti da un seno,
gli altri altre donne me li partorirono in casa:
ma Ares furente ha sciolto i ginocchi di molti,
e quello che solo restava, che proteggeva la rocca e la gente,
tu ieri l’hai ucciso, mentre per la sua patria lottava,
Ettore... Per lui vengo ora alle navi dei Danai,
per riscattarlo da te, ti porto doni infiniti.
Achille, rispetta i numi, abbi pietà di me,
pensando al padre tuo: ma io son più misero,
ho patito quanto nessun altro mortale,
portare alla bocca la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!>>
Disse così, e gli fece nascere brama di piangere il padre:
allora gli prese la mano e scostò piano il vecchio;
entrambi pensavano e uno piangeva Ettore massacratore
a lungo, rannicchiandosi ai piedi d’Achille,
ma Achille piangeva il padre, e ogni tanto
anche Patroclo
; s’alzava per la dimora quel pianto.
Ma quando Achille glorioso si fu goduto i singhiozzi,
passò dal cuore e dalle membra la brama,
s’alzò dal seggio a un tratto e rialzò il vecchio per mano,
commiserando la testa canuta, il mento canuto,
e volgendosi a lui parlò parole fugaci:
<<Ah misero, quanti mali hai patito nel cuore!
E come hai potuto alle navi dei Danai venire solo,
sotto gli occhi d’un uomo che molti e gagliardi
figliuoli t’ha ucciso? Tu hai cuore di ferro.
Ma via, ora siedi sul seggio e i dolori
lasciamoli dentro nell’animo, per quanto afflitti:
nessun guadagno si trova nel gelido pianto.
Gli dèi filarono questo per i mortali infelici:
vivere nell’amarezza: essi invece son senza pene.
Due vasi son piantati sulla soglia di Zeus,
dei doni che dà, dei cattivi uno e l’altro dei buoni.
A chi mescolando ne dia Zeus che getta le folgori,
incontra a volte un male e altre volte un bene;
ma a chi dà solo dei tristi, lo fa disprezzato,
e mala fame lo insegue per la terra divina,
va errando senza onore né dagli dèi né dagli uomini.
Così a Peleo doni magnifici fecero i numi
fin dalla nascita; splendeva su tutti i mortali
per beata ricchezza; regnava sopra i Mirmίdoni,
e benché fosse mortale gli fecero sposa una dea.
Ma col bene, anche un male gli diede il dio, ché non ebbe
nel suo palazzo stirpe di figli nati a regnare,
un figlio solo ha generato, che morrà presto:
e io non posso aver cura del vecchio perché lontano dalla mia patria
qui in Troia siedo, a te dando pene e ai tuoi figli.
E anche tu, vecchio – sappiamo – fosti felice prima:
quanto paese di sopra limita Lesbo, la sede di Màcaro,
e di sotto la Frigia e lo sconfinato Ellesponto,
su tutti, raccontano, o vecchio, per figli e ricchezze splendevi.
Da che questo male, invece, i figli del cielo ti diedero,
sempre battaglie vi sono intorno alla rocca e stragi d’uomini.
Sopporta, dunque, e non gemere senza posa nel cuore:
nulla otterrai piangendo il figlio, non lo farai
rivivere, potrai piuttosto patire altri mali>>.
E il vecchio Priamo pari ai numi rispose:
<<Non m’irritare ora, o vecchio; son io che voglio
renderti Ettore, perché messaggera mi venne da Zeus. 

La madre che mi partorì, figlia del vecchio marino.
Anche te, o Priamo – lo so in cuore e non mi sfugge –
guidò qualcuno dei numi alle rapide navi degli Achei

Non oserebbe venire un mortale, neppure nel fior dell’età,
nel nostro campo, né sfuggirebbe alle guardie, né il chiavistello
della mia porta potrebbe spostare senza fatica.
perciò, fra tante pene, non mi gonfiare il cuore di più,
ch’io non ti lasci stare, o vecchio, neppur nella tenda,
benché supplice, e violi il comando di Zeus!>>
Disse così, e il vecchio tremò e obbedì alla parola. 

3Il riscatto del corpo di Ettore: parafrasi

Entrò senza farsi vedere il grande Priamo e, fattosi accanto ad Achille, ne strinse tra le mani le ginocchia, baciò la sua mano tremenda e omicida, che gli uccise numerosi figli. Come quando un uomo si è macchiato di una grave colpa, avendo ucciso qualcuno in patria, fugge in un altro paese nella casa di un ricco, e lo stupore afferra i presenti; così Achille rimase stupito dal vedere Priamo simile agli dei e anche tutti gli altri soldati si stupirono e si guardarono l’un l’altro in cerca di spiegazioni. Ma Priamo cominciò subito a pregare, prendendo la parola: «Pensa al tuo padre che ha i miei stessi anni, Achille pari agli dei, tuo padre che come me è sulla soglia oscura della vecchiaia, e lo tormentano forse i suoi vicini avidi, circondandolo, perché non c’è più nessuno a difenderlo dai mali e dai pericoli. Tuttavia, sentendo dire che tu sei ancora vivo, si rassicura nel cuore e gioisce e spera ogni giorno di poter riabbracciare il figlio che torna da Troia. Io, invece, sono infelice del tutto, io che generai forti figli nell’ampia Troia, e più nessuno di essi è ancora vivo. Ne avevo cinquanta quando giunsero i figli dei Danai e, di essi, addirittura diciannove venivano tutti dallo stesso seno (gli altri me li partorirono in casa altre donne). Ma Ares furente ha sciolto la forza di molti e l’unico che mi restava, che proteggeva la rocca e il suo popolo, l’hai ucciso tu, ieri, mentre stava lottando per la sua patria, Ettore… Per lui sono venuto adesso alle navi dei Danai, per riscattarlo da te portandoti in cambio doni immensi. Achille, rispetta gli dei, abbi pietà di me, pensa a tuo padre: io sono più misero di lui, ho sofferto quanto nessun altro mortale, ho baciato la mano dell’uomo che ha ucciso i miei figli!» Disse così, e fece nascere in Achille il desiderio di piangere per il padre: allora gli prese la mano e lo allontanò un poco da lui. Entrambi pensavano e uno piangeva ancora Ettore massacratore, rannicchiato ai piedi di Achille, ma Achille piangeva il padre e ogni tanto anche Patroclo: quel pianto si innalzava per la casa. Dopo che Achille glorioso fu sazio dei suoi singhiozzi, dopo che si spense il desiderio di piangere dal cuore e dal corpo, si alzò di colpo dal suo seggio e rialzò il vecchio per mano, provando tenerezza per quella testa bianca, per quello mento canuto, e rivolto a lui gli disse parole fugaci: «Ah povero vecchio, quanti mali hai sopportato! E come hai potuto venire da solo alle navi greche al cospetto di un uomo che ti ha ucciso molti e gagliardi figli? Tu hai un cuore forte come il ferro. Ma adesso non pensarci, siedi con me sul seggio e i dolori lasciamoli nell’animo, sebbene siamo tristi: piangere non serve. Gli dei ci destinarono queste cose, vivere nell’amarezza, loro che invece vivono senza soffrire. Due vasi sono piantati sulla soglia di Zeus, ciascuno con dei doni, un vaso per i buoni, uno per i cattivi. A coloro che Zeus scaglia folgori dà mescolando dall’uno e dall’altro incontrano ora un bene ora un male; ma a chi dà solo cose tristi, certo egli lo disprezza e lo insegue una nera miseria per la terra divina e va errando senza ricevere onore dagli o dei o dagli uomini. Così a Peleo fecero gli dei fin dalla sua nascita; splendeva su tutti i mortali per la sua beata ricchezza; regnava sopra i Mirmidoni e, nonostante fosse un mortale, gli diedero in sposa una dea. Ma insieme al bene, il dio gli diede anche un male perché non ebbe nel suo palazzo a regnare una stirpe di figli; un solo figlio ha generato, che morirà presto: e io non posso avere cura del vecchio padre perché sono lontano dalla mia terra e sono qui a Troia, tormentando te e i tuoi figli. E anche tu, vecchio, un tempo sei stato felice: per tutto il paese limitato da Lesbo, la sede di Macaro e, più sotto, la Frigia e lo sconfinato Ellesponto, su tutti, e tutti lo raccontano, splendevi per la tua stirpe e le tue ricchezze. Sopporta, dunque, e non affliggerti: non otterrai nulla piangendo tuo figlio, non lo farai rivivere, soffrirai piuttosto altri mali». E il vecchio Priamo pari ai numi rispose: «Non farmi sedere sul seggio, figlio di Zeus, fino a quando Ettore giace straziato nella tua tenda, ma ti prego di rendermelo subito affinché possa vederlo: accetta il riscatto abbondante che ti porto; spero tu possa goderne e tornare nella tua terra paterna, tu che mi lasci vivere ancora e ancora vedere la luce del sole». Ma guardandolo con rabbia gli rispose Achille dal piede rapido: «Adesso non irritarmi, vecchio. Sono io che voglio renderti Ettore, ma solo perché mi venne messaggera da Zeus la madre che mi ha partorito, figlia del vecchio dio marino Nereo. Anche tu, Priamo – lo so per certo – sei stato guidato da un nume qui alle rapide navi dei Greci. Un mortale non oserebbe venire al nostro campo, neppure se fosse nel fiore dell’età, né sfuggirebbe alle sentinelle, né potrebbe spostare senza fatica il chiavistello della mia porta. Perciò, fra tanti dolori, non mi appesantire ancora il petto, perché altrimenti, vecchio, non ti lascerei stare neanche nella mia tenda e violerei il comando di Zeus». Disse così, e il vecchio tremò e obbedì alla parola. 

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4Analisi e personaggi del Libro XXIV dell’Eneide: il riscatto del corpo di Ettore

Giacere insepolti era una grande vergogna; si era abbandonati allo scempio, i corvi, gli sciacalli, i topi gli insetti avrebbero mangiato il corpo del defunto, che si sarebbe disfatto senza essere salutato nel rito solenne del funerale. Di tanto in tanto possiamo intuire che questi corpi venissero raccolti, ammassati e bruciati con un rito rapido perché nelle battaglie non c’era modo di seppellire tutti i caduti. Dobbiamo immaginare cumuli di corpi che venivano lasciati così: Omero stesso ce lo ricorda nel proemio dell’Iliade «(…) gettò in preda all’Ade molte vite gagliarde / d’eroi, ne fece il bottino dei cani, / di tutti gli uccelli». Immaginiamo che sfacelo la visione di un campo di battaglia: corpi spezzati, lacerati, terribilmente osceni. Immobili che imputridiscono, mentre gli animali cominciano a divorarli. 

Ma Ettore è un simbolo di Troia – è il principe, l’eroe – e deve essere onorato con il funerale cittadino – il suo corpo è il simbolo stesso della città. Priamo è sconvolto, ma gli dei lo hanno rassicurato del fatto che deve chiedere ad Achille il corpo di suo figlio Ettore, corpo che Achille vuole continuare a deturpare e sfregiare

Priamo è “supplice”, parola che deriva dal latino dal latino sub (sotto) + plectere (piegarsi, sottomettersi), a sua volta derivante dal greco plékein “flettere”. È infatti una sottomissione il primo gesto di Priamo: abbraccia le ginocchia di Achille (sede della forza degli uomini e quindi del loro potere). 

Priamo cerca la simpatia di Achille ricordandogli il padre Peleo e a quel pensiero l’eroe, sempre estremo nei suoi sentimenti, cede ai singhiozzi e al pianto perché vede in lui la tragedia che un giorno dovrà vivere suo padre. Lo aiuta a rialzarsi e discorrono sull’inutilità di affliggersi: tutto ciò che è dato all’uomo viene dagli dei e gli dei hanno in serbo per ciascuno il bene e il male in proporzioni sconosciute (sarebbe il mito dei due vasi, uno per il bene e uno per il male). Dunque non ha senso affliggersi più del necessario: sono parole stranamente misurate per essere di Achille

In questo passo Priamo ancora non capisce se l’eroe greco voglia o meno restituirgli il suo Ettore. Achille, all’incalzare della richiesta, per un attimo si spazientisce: acconsentirà, ma solo perché è volere degli dei

Nella scena successiva, così, ecco che viene Ettore al padre, il quale, caricatolo sul carro, tornerà a Troia e chiamerà tutti al solenne funerale. Ecuba, Elena, Andromaca e tutte le donne troiane intonano il solenne lamento funebre, mentre il fumo della pira si alza verso l’alto per nove giorni mentre si svolgono i giochi funebri. 

Lo stile di questo passo è molto solenne: ancora una volta Omero dà prova di un incedere lento e maestoso, carico di pathos, grazie al frequente uso delle ripetizioni e al lessico formulare. Achille e Priamo mostrano una straordinaria abilità retorica qui intonata allo stile patetico, al flectere cioè muovere a compassione, piegare il cuore del nostro interlocutore. 

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