Iliade, Ettore sprona Paride e interviene Elena (Libro VI): trama, parafrasi, analisi, personaggi

Trama, spiegazione e parafrasi del Libro VI dell'Iliade, dove Ettore sprona Paride e interviene Elena.
Iliade, Ettore sprona Paride e interviene Elena (Libro VI): trama, parafrasi, analisi, personaggi
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1Trama del Libro VI dell’Iliade: Ettore sprona Paride e interviene Elena

Elena e Paride
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Siamo nel VI libro dell’Iliade ed Ettore si trova all’interno della sua città su cui imperversa la rovinosa battaglia. Da poco si è combattuto il duello tra Paride e Menelao; quest’ultimo stava avendo la meglio quando Afrodite, avvoltolo in una nebbia, lo aveva condotto in salvo. 

Non è certo un modo glorioso di finire un duello secondo l’etica dei guerrieri antichi. Ettore vuole parlargli e spronarlo: per questo va alla sua ricerca. L'itinerario di Ettore all'interno della città è così articolato: in primo luogo va al palazzo di Priamo, dove incontra sua madre; poi alla casa di Paride, dove incontra suo fratello insieme ad Elena (313 e ss.); alla sua stessa casa (370 e ss.), dove lo informano che Andromaca è andata verso le mura della città per avere notizia sui combattimenti; indietro verso le porte Scee, dove incontra infine Andromaca e dove Paride lo raggiunge (da 390 alla fine). 

Ettore rimprovera Paride di essere troppo molle e codardo, di avere abbandonato l’etica guerriera e di preoccuparsi solo di cose futili e non dell’onore. Paride cerca di difendersi dalle accuse, ammettendo i suoi errori. Promette di tornare presto al campo di battaglia. 

Elena interviene, ammettendo di essere responsabile di questa immane sciagura (la guerra di Troia) e condanna apertamente anche il suo compagno, Paride, che non riesce a rinsavire dalla codardia. Invita Ettore a fermarsi e a convincere Paride. Ma Ettore ha altro da fare: deve cercare i suoi familiari e Andromaca; deve parlare con loro. Per questo si congeda e va via. 

2Ettore sprona Paride: testo del libro VI dell’Iliade, 313-368

Ettore intanto era andato alla casa di Alessandro,
bella, quella che lui stesso costruì
con i migliori carpentieri che erano in Troia fertile,
questi a lui costruirono il talamo, la sala e il cortile aperto
vicino alle case di Priamo e di Ettore, nella parte più alta della città.
Qui giunse Ettore amato da Zeus, e nella mano
aveva la lancia da undici cubiti: davanti brillava, splendeva, della lancia
la punta in bronzo, e intorno correva un anello in oro
.
Lo trova nel salone mentre sta mettendo in assetto le bellissime armi,
lo scudo e la corazza, e maneggiando l’arco ricurvo.

Elena Argiva invece con le domestiche, le serve
si era seduta, e alle ancelle ordinava lavori eccellenti.

Questi Ettore rimprovera, vedendolo, con parole
ingiuriose: «Miserabile! Non a ragione,
ti sei messo questa rabbia, nel cuore: la gente muore
intorno alla città e all’alto, ripido muro combattendo
;
per causa tua il grido di battaglia ed il combattimento
divampano intorno a questa città; anche tu avresti rancore
verso colui che vedessi mai lasciare l’odiata, abominevole, guerra.
Ma alzati affinché presto la città non debba venire bruciata nel fuoco nemico».

A lui di rimando parlò Alessandro, simile ad un dio:
« Ettore, poiché secondo giustizia mi rimproveri, e non contro giustizia,
per questo ti rispondo: ma tu sii d’accordo, comprendimi, ed ascoltami:
non per ira verso i Troiani o rancore sono rimasto nella mia stanza,

ma per sfogare il dolore. Ora mia moglie convincendomi
con parole dolci, affettuose, mi ha spinto alla guerra: e sembra
anche a me stesso che in questo modo sarà meglio,
più desiderabile
; la vittoria capita ora all’uno ora all’altro degli uomini.

Ma su! Ora aspetta, io vesto le armi di Ares, da guerra;
oppure vai, e io mi unirò: penso di raggiungerti
».
Così diceva, e non gli rispondeva nulla Ettore dall’elmo ondeggiante;
a lui allora si rivolge Elena con parole dolci, affettuose:
«O cognato mio, d’una cagna perfida macchinatrice di mali,
che desta ribrezzo, orribile, magari in quel giorno quando al principio
mia madre mi ha messa al mondo una brutta tempesta
di vento fosse venuta per portarmi via verso il monte
o verso l’onda del mare sonoro ove l’onda
mi avesse travolta prima che queste cose avvenissero.
Invece, dal momento che queste sciagure
in questo modo gli dei hanno disposto

almeno poi magari fossi stata la moglie di un uomo migliore,
che conoscesse il biasimo e le molte censure degli uomini.
Ma questo non ha ora un animo, una mente sana, stabile:
e neppure in futuro l’avrà: così prevedo, che ne raccoglierà anche il frutto.
Ma su ora vieni avanti, entra e siediti su questo sgabello,
o cognato (mio), dal momento che lo sforzo soprattutto invade te nell’animo
a causa di me cagna, e a causa della colpa di Alessandro,
sopra i quali Zeus ha posto una sorte maligna, perché anche dopo
per gli uomini futuri, di là da venire, fossimo materia di canto
».
Le rispondeva allora il grande Ettore dall’elmo ondeggiante:
«Non invitarmi a sedere, o Elena,
per quanto tu mi ami: non mi persuaderai;
già, ormai, infatti il mio cuore è in agitazione per aiutare i Troiani,
che hanno desiderio di me che sono assente.
Ma tu piuttosto sprona costui così che possa raggiungerlo
mentre si trova ancora all’interno della città.
Anch’io infatti andrò a casa, per vedere
i miei familiari e la cara, amata moglie e il figlio piccolo
.
Infatti non so se ancora di nuovo verrò, di ritorno da loro,
oppure già me, sotto le mani degli Achei, gli dei faranno morire».

3Ettore sprona Paride: parafrasi

Ettore era andato alla bella casa di Paride Alessandro, che lui stesso aveva costruito con i migliori carpentieri che erano nella fertile Troia, questi a lui costruirono il letto nuziale, la sala e il cortile aperto vicino alle case di Priamo e di Ettore, nella parte più alta della città. Qui giunse Ettore amato da Zeus, e nella mano aveva la lunga lancia: davanti brillava la punta in bronzo della lancia, e intorno correva un anello in oro. Lo trovò nel salone mentre ripuliva le bellissime armi, lo scudo e la corazza, maneggiando l’arco ricurvo. Elena Argiva si era seduta invece con le domestiche, le serve e alle ancelle ordinava lavori di grande perizia, eccellenti. Ettore, vedendolo, rimprovera Paride con parole che causano disonore: «Miserabile! Non a ragione, non giustamente ti sei messo questa rabbia nel cuore, la gente muore, perché intorno alla città e all’alto, ripido muro combattendo; per causa tua divampano grida di battaglia e combattimenti intorno a questa città; tu avresti rancore pure con un codardo che osa abbandonare l’odiata, abominevole, guerra. Ma alzati! affinché presto la città non debba venire bruciata nel fuoco distruttore, nemico». A lui in risposta parlò Alessandro, simile ad un dio: «Ettore, dato che mi rimproveri secondo giustizia, e non contro giustizia, per questo ti rispondo: ma tu sii d’accordo, ceca di ascoltarmi e di capirmi; non per ira verso i Troiani o rancore sono rimasto nella mia stanza, ma per sfogare il dolore. Ora mia moglie, convincendomi con parole dolci mi ha spinto alla guerra: e credo anch’io che così sarà meglio la vittoria capita ora all’uno ora all’altro degli uomini. Ma, ti prego, ora aspetta, io vesto le armi di Ares, da guerra; oppure vai, e io mi unirò: penso di raggiungerti». Così diceva, ed Ettore  dall’elmo ondeggiante però non gli rispondeva nulla; a lui allora si rivolge Elena con parole affettuose: «O cognato mio, imparentato a me cagna perfida, macchinatrice di mali, che desta ribrezzo, orribile, magari in quel giorno quando al principio mia madre mi ha messa al mondo magari una brutta tempesta di vento fosse venuta per portarmi via verso il monte o verso l’onda fragorosa del mare, che ruggisce forte, onda che mi avrebbe travolta prima che queste sciagure avvenissero. Invece, dal momento che queste sciagure sono state disposte dagli dei in questo modo, fossi almeno stata la moglie di un uomo migliore, che conoscesse il biasimo e il rimprovero degli uomini. Ma Paride non ha ora un animo, una mente sana, stabile: e neppure in futuro l’avrà: così prevedo, che ne raccoglierà anche il frutto. Ma su ora vieni avanti, entra e siediti su questo sgabello, o cognato, dal momento che lo sforzo occupa il tuo animo a causa di me, cagna, e a causa del peccato, della colpa di Alessandro, a causa nostra dunque sopra i quali Zeus ha posto una sorte crudele, perché anche dopo, per gli uomini che un giorno verranno, fossimo materia di canto». Le rispose allora il grande Ettore dall’elmo ondeggiante: «Non invitarmi a restare, o Elena, per quanto tu mi ami: non mi persuaderai; già, ormai, infatti il mio cuore è in tumulto per aiutare i Troiani, in pena per me che sono assente. Ma tu piuttosto sprona costui affinché possa raggiungerlo mentre si trova ancora all’interno della città. Anch’io infatti andrò a casa, per vedere i miei familiari e la mia moglie diletta e il piccolo figlio. Infatti non so se ancora di nuovo verrò, di ritorno da loro, oppure già me, sotto le mani degli Achei, gli dei faranno morire».

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4Ettore sprona Paride: analisi e personaggi

Elena di Troia. Moglie di Menelato, rapita da Paride che scatenò la guerra di Troia
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Il discorso di Ettore è semplice ma ben articolato (360-368) e poggia tutto sul problema dell’onore che Paride ha dimenticato. Può accadere di essere sconfitti in battaglia, ma non deve mai accadere di abbandonare il campo: meglio trafitti in pieno petto, che trapassati nella schiena, date le spalle al nemico per fuggire.

Paride si è rifugiato tra le braccia della sua amata Elena, la quale si sente vittima del volere degli dei e di Zeus in particolare: avverte la sua bellezza come una condanna, così come è una condanna l’essere innamorata di Paride, che a lei sembra, se non proprio codardo, certamente restio a farsi valere in battaglia.

Ettore capisce i limiti del fratello e forse non confida molto sul suo contributo alla guerra, ma ugualmente lo sprona a tornare in battaglia perché c’è bisogno di tutti, fino all’ultimo uomo. Dopotutto Paride è pur sempre uno dei figli di Priamo e ha il dovere morale di difendere la sua città: è un principe troiano anche lui. Ettore è duro, deciso, nel ricordare al fratello i suoi obblighi.  

Interviene Elena – la donna più bella del mondo – con un discorso accorato, nel quale sottolinea da una parte la sua colpa dall’altra la sua innocenza: non intenzionalmente ha causato la guerra di Troia, poiché lei è solo un meccanismo nelle mani degli Dei. Non è giusto ritenerla responsabile. Elena, certo, preferirebbe essere morta da neonata, ma ciò non è accaduto. E non è accaduto forse proprio perché gli dei rendessero materia di canto questa triste vicenda bellica.

Ettore ascolta la cognata e le chiede di non convincerlo a restare: deve ritornare dai suoi uomini in difficoltà (è il suo dovere); le chiede invece di incoraggiare Paride a raggiungerlo; lui intanto va via: sa che forse vedrà i suoi cari – e soprattutto Andromaca – per l’ultima volta.

5Guarda il video a cura di Martina Di Primio