Il raschino: testo e commento alla poesia di Eugenio Montale
Testo e commento alla poesia il Raschino di Eugenio Montale pubblicata all'interno della raccolta Satura. A cura di Marco Nicastro
IL RASCHINO: TESTO DELLA POESIA DI MONTALE
Il raschino è un componimento di Eugenio Montale inserito all'interno della raccolta Satura. Il tono è all'insegna del sarcasmo e dell'ironia.
Credi che il pessimismo
sia davvero esistito? Se mi guardo
d'attorno non ne è traccia.
Dentro di noi, poi, non una voce
che si lagni. Se piango è un controcanto
per arricchire il grande
paese di cuccagna ch'è il domani.
Abbiamo ben grattato col raschino
ogni eruzione di pensiero. Ora
tutti i colori esaltano la nostra tavolozza,
escluso il nero.
IL RASCHINO: COMMENTO
Questa poesia è un buon esempio dello spirito di Satura. C'è sarcasmo, il lessico è ordinario, il tono del discorso colloquiale. Montale gioca col significante, cioè col linguaggio, più che sondare un significato oscuro, lontano, metafisico o comunque difficile da cogliere come avveniva nelle raccolte precedenti. Giocando un po' con la fantasia, avrei preferito come titolo l'ultimo verso, ossia «escluso il nero». Sarebbe stato più elegante, avrebbe chiuso perfettamente il testo anche da un punto di vista grafico, ma è proprio questo effetto di ordine e di formalità che l'autore vuole evitare.
Il titolo diventa invece il nome di un oggetto qualunque, «il raschino», variante meno comune di “raschiatoio”. Si tratta tra l'altro di una variante al diminutivo, che può essere vista come l'emblema di questa nuova propensione ad abbassare il tono del discorso poetico.
L'IRONIA DI MONTALE
Si tratta di una poesia molto contemporanea, nel suo segnalare con ironia che si vive ormai in tempi di allegria forzata in cui ogni tristezza è bandita, che non si può far altro che esaltare il futuro (il progresso, l'avanzamento tecnologico ecc.) e che è bene concentrarsi sugli aspetti positivi della realtà.
L'atteggiamento che si è spinti ad assumere nella società è quello del politically correct, dell'esaltazione dell'esistente; un'esaltazione che facilmente rischia di impossessarsi della nostra stessa mente, sconfessando magari alcune ombrose e più realistiche sensazioni («Dentro di noi, poi, non una voce / che si lagni»). Si tratta di un insieme di aspetti che vengono paragonati da Montale, con un'efficacissima metafora, ai vari colori della tavolozza che ognuno di noi può usare per rappresentare ogni giorno la realtà. Ma da questa ricca tavolozza è escluso appunto il colore simbolo del pessimismo e della tristezza: il nero.
TEMI E STILE
Quale descrizione più efficace dei nostri tempi, in cui in molti premono per farci vedere i velocissimi cambiamenti della realtà, che gravano in particolare sui più deboli e le nuove generazioni e che a volte sembrano più degli stravolgimenti che dei cambiamenti, come una grande possibilità di realizzazione, un'opportunità da cogliere, una sfida salutare? Quale ironia più acida e penetrante era possibile in così pochi versi contro gli ipocriti cantori del «paese di cuccagna» del domani che ci attende?
Da un punto di vista formale, il componimento si presenta molto regolare: settenari, endecasillabi (alcuni ipermetri) e poi i due versi finali volutamente zoppicanti (il penultimo molto lungo e l'ultimo, un quinario) quasi a indicare ciò che non torna di tutto il ragionamento precedente (e quindi della visione positiva della realtà).
Assolutamente centrale però è proprio quell'ultimo verso che rima con il sostantivo «pensiero», a indicare proprio il nucleo del discorso, cioè la rilevanza del “pensiero nero” che la società moderna (per dirla con Leopardi: «le moderne sorti e progressive») cerca a tutti i costi di rimuovere.
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