Il piacere di D'Annunzio: analisi
Analisi de Il piacere di D'Annunzio: i temi del romanzo, il rapporto tra Andrea Sperelli e le due donne, Elena e Maria, e con l'arte
IL PIACERE DI D'ANNUNZIO: ANALISI
Andrea Sperelli, giovane aristocratico, cresciuto in una famiglia di artisti, cerca di «fare la propria vita come si fa un’opera d’arte».
Questo intento risulta però essere un’utopia per il protagonista che è un uomo dalla volontà debole, incapace di scegliere tra l’amore per due donne.
L’eroe del romanzo è dimidiato tra due figure femminili che affollano le sue fantasie e si sovrappongono in un contraddittorio gioco erotico: Elena Muti, giovane vedova, conosciuta a Roma in una fredda sera di Novembre con cui istaura una relazione sensuale e Maria Ferres, una mite signora toscana, moglie di un diplomatico guatemalteco e madre di una bambina, Delfina, che giunge a Villa Schifanoia durante la convalescenza del giovane protagonista.
Volti, gesti e comportamenti delle due amanti si intarsiano nelle pagine del libro, delineando un ritratto in chiaroscuro delle due diverse personalità.
IL PIACERE DI D’ANNUNZIO: PERSONAGGI
Elena Muti rappresenta la donna fatale che incarna l’erotismo lussurioso, il corpo desiderato ardentemente da Andrea verso il quale dimostra una «passione altissima e inestinguibile» di cui tuttavia fornisce un impietoso quadro, non appena saputo che la donna è andata in sposa ad un ricco inglese, Lord Heathfield, per un «affar di denaro».
Il protagonista «con cinico sorriso interiore» la dipinge «come uno spirito senza equilibrio in un corpo voluttuario […] direttamente dipendente dalla matrice e continuamente stimolata dall’isterismo».
Nelle relazioni sociali, nei salotti romani di fine Ottocento, la donna dimostrava una mimica sapiente e un comportamento ambiguo in grado di suscitare pericolose allusioni, fraintendimenti, tanto era la sua malia e lo stesso protagonista ritiene che fosse «occasion di ruina e di disordine più che se ella facesse professione di impudicizia».
Dall’analisi impietosa che il protagonista delinea con la ferocia dell’amante ferito, emerge una figura femminile capace di coprire «di fiamme eteree i bisogni erotici della sua carne», l’animo dunque «delle passioni fulminee e degli incendi improvvisi».
D’altro canto la scelta del nome da parte di D'Annunzio si rifà all’omen nomen latino Elena richiama la moglie di Menelao, donna fatale che ha dato origine a terribili sciagure.
Nel romanzo il suo volto appare sovrapposto a quello della Danae dipinta dal Correggio, in ordine al gusto estetizzante del protagonista.
La prosopografia di Elena risulta dominata da tinte fosche, in cui prevale il colore rosso fuoco, simbolo inequivocabile della passione amorosa e del desiderio carnale; in lei vero e falso, finzione e sincerità si mescolano in una allucinazione dei sensi.
Elena non è che il doppio negativo della donna stilnovista, ossia la figura femminile in grado di rovesciare potentemente il principio dell’amor cortese «Amor ch’a nullo amato amar perdona», una Beatrice negativa della quale lo stesso Andrea dimostra segni di disagio e insofferenza.
«Ormai la diffidenza gli impediva qualunque dolcezza d’abbandono, qualunque ebrezza dello spirito. Ingannare una donna sicura e fedele, riscaldarsi a una grande fiamma suscitata con un baglior fallace, dominare un’anima con l’artifizio, possederla tutta e farla vibrare come uno strumento, habere e non haberi, può essere un alto diletto. Ma ingannare sapendo d’essere ingannato è una sciocca e sterile fatica, è un gioco noioso e inutile».
Ben altro spessore morale ed aspetto fisico dimostra Maria Ferres, donna pura e angelicata, esatta antitesi della sensuale Elena. Lo stesso Andrea Sperelli la descrive in una fantasia amorosa suscitata in una notte di luna piena a Roma d’innanzi a palazzo Barberini.
In queste pagine oggetti ed eventi si trasformano in immagini simboliche e tutto appare dominato da un lunare biancore reso ancor più luminoso da un limpido plenilunio di una notte di Febbraio.
Il paesaggio che fa da sfondo all’apparizione di Maria è quello di una Roma barocca innevata, in cui palazzi, giardini e strade sono coperti di una fitta coltre bianca e sembrano descrivere «gigli enormi e difformi».
L’apparizione di Maria assume i toni di una rievocazione onirica, «era un sogno poetico, quasi mistico», la donna appare vestita di ermellino ed il suo incedere in questo paesaggio lunare è lento e solenne, tanto da assumere i toni di una vera e propria liturgia: la pagina è infatti intessuta di riferimenti biblici, allusioni alla Vergine «candida super nivem», «incedit per lilia et super nivem» e antiche formule latine («ave», «amen»).
Da un punto di vista cromatico gli insistiti toni del bianco e dell’avorio rimandano dunque ad un’ideale di purezza e spiritualità che Maria incarna nel suo biancore dominante e sono strettamente correlati all’atmosfera di silenzio e di freddo pungente che trovano un corrispettivo nell’animo della donna «fredda muta ma con gli occhi ardenti ed eloquenti».
Tuttavia il grande candore della pagina è offuscato da immagini di decadenza e morte rese da alcuni simboli che si intravedono nel paesaggio: gli «asfodilli», le chiese, i campanili di Roma e le ombre che aleggiano sulle prodigiose architetture create dalla neve.
IL PIACERE DI D’ANNUNZIO: RAPPORTO TRA ANDREA SPERELLI E L’ARTE
Valore assoluto de Il Piacere è l’arte, che è un programma estetico ed un modello di vita, a cui Andrea Sperelli subordina tutto il resto, giungendo alla corruzione fisica e morale.
È, insomma, la realizzazione di un’elevazione sociale e di quel processo psicologico che affina i sensi e le sensazioni:
“bisogna fare la propria vita come si fa un’opera d’arte […]. La superiorità vera è tutta qui. […]. La volontà aveva ceduto lo scettro agli istinti; il senso estetico aveva sostituito il senso morale. Codesto senso estetico […] gli manteneva nello spirito un certo equilibrio. […] Gli uomini che vivono nella Bellezza, […] che conservano sempre, anche nelle peggiori depravazioni, una specie di ordine. La concezione della Bellezza è l’asse del loro essere interiore, intorno a cui tutte le loro passioni ruotano...”.
Dopo la convalescenza, successiva alla ferita procuratasi a causa del duello con Giannetto Rutolo, Andrea scopre che l’unico amore possibile è quello dell’arte:
“l’amante fedele, sempre giovine mortale; eccola fonte della gioia pura, vietata alle moltitudini, concessa agli eletti; ecco il prezioso alimento che fa l’uomo simile a Dio”.
Questa attrazione per l’arte viene rappresentata dall’inclinazione di Andrea verso la poesia che:
“può rendere i minimi moti del sentimento […] può definire l’indefinibile e dire l’ineffabile; può abbracciare l’illimitato e penetrare l’abisso; […] può inebriare come un vino, rapire come un'estasi; […] può raggiungere infine l’Assoluto”.
Il culto “profondo e appassionato dell’arte” diventa per Andrea l’unica ragione della sua vita, tirato in gioco anche nei rapporti con Elena Muti e Donna Maria Ferres, perché egli è convinto che la sensibilità artistica illumini i sensi e colga nelle apparenze le linee invisibili, percepisca l’impercettibile, indovini i pensieri nascosti della natura.
Il piacere racconta la vacuità e la decadenza della società aristocratica, vicina al proprio annichilimento morale, poiché il valore del profitto ha sostituito quella della bellezza.