Il passero solitario di Leopardi | Video
Il passero solitario di Giacomo Leopardi: analisi e spiegazione di uno dei capolavori dell'autore di Recanati. Video a cura di Emanuele Bosi
IL PASSERO SOLITARIO DI GIACOMO LEOPARDI
"D’in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finchè non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle."
Non puoi non averli riconosciuti: sono i primi quattro versi di una delle poesie più famose di Giacomo Leopardi, Il passero solitario. Non esiste libro di testo che non riporti questa poesia, o professore che non interroghi sul suo significato. Ecco perché nel video di seguito la spiegheremo meglio con l'aiuto di Emanuele Bosi.
Iniziamo subito col dire che dietro a questa poesia si cela un mistero. Non immaginare scenari da film giallo: è solo che la sua data di composizione è avvolta nella nebbia. L’idea risale certamente al 1820, ma il componimento deve essere stato scritto o completato molto dopo, probabilmente fra il 1829 e il 1835. Quel che è certo, comunque, è che nei Canti Leopardi lo ha collocato prima degli Idilli, quasi come fosse un’introduzione.
Dal punto di vista stilistico, Il passero solitario è una canzone libera di tre stanze variamente rimata, talvolta anche a metà verso. Ecco, a proposito, questa tipologia di rima si chiama rima al mezzo. Dicevamo, la canzone è strutturata in forma di dialogo con un alter ego nel quale il poeta si riconosce: il passero solitario, appunto.
Quando Leopardi scrive: «Oimé, quanto somiglia / al tuo costume il mio!», fa un'analogia, e la fonda su un concetto che torna in tutto il componimento. Già, proprio lei: la solitudine. Così come il passero canta solitario, «pensoso» e «in disparte», allo stesso modo il poeta non partecipa né ai divertimenti della gioventù, né all’amore che la rende vitale e piacevole.
La differenza tra l'autore e il passero
Ma l’analogia serve anche a fondare una differenza fra l’autore e il passero: quella che per il passero è una scelta necessaria e indolore, perché indotta dalla natura, per il poeta è invece una costrizione dolorosa. Lui stesso, infatti, una volta venuta meno «la beata gioventù», si pentirà di non averla saputa cogliere quando l’aveva tra le mani.
Il passero solitario è dunque un ritratto di Leopardi da giovane, ma con uno sguardo sul Leopardi invecchiato. Leopardi è consapevole di essere diverso dagli altri, ma non se ne chiede le ragioni: semplicemente, analizza e descrive la propria condizione di vita e ne prevede l’inevitabile catastrofe, quando «sconsolato» non potrà che rimpiangere il passato non vissuto.
L'infelicità come fatto individuale
Ecco, tieni presente una cosa importante. Se nei canti pisano-recanatesi l’infelicità di Leopardi sarà parte di una condizione collettiva, comune a tutti gli uomini, in questa poesia resta ancora un fatto individuale. L’infelicità, qui, è una condizione di vita alla quale si vede costretto suo malgrado. Forse è anche per questo che Leopardi scelse di collocare il Passero solitario prima dei canti pisano-recanatesi: lì infatti la condizione dell’io è solo il punto di partenza per un discorso ben più ampio.