Il passero solitario: analisi, figure retoriche e spiegazione
Il passero solitario: analisi, figure retoriche, stile e spiegazione, strofa per strofa, di una delle poesie più famose di Leopardi
IL PASSERO SOLITARIO: ANALISI E SPIEGAZIONE
La canzone Il passero solitario, elaborata in un lungo periodo che va dal 1819 al 1829 circa, fu pubblicata da Leopardi nel 1835 e posta fisicamente come prologo agli Idilli. L'intero componimento presenta il primo autentico autoritratto del poeta e si pone come una lunga similitudine tra la figura del passero e quella del poeta stesso, stabilendo dunque un'analogia tra i comportamenti propri dell'animale e quelli dell'uomo.
La canzone si articola in tre strofe di endecasillabi e settenari rispettivamente di sedici, ventotto e quindici versi.
IL PASSERO SOLITARIO: FIGURE RETORICHE
La prima strofa de Il passero solitario può essere suddivisa in tre parti: la prima va dal verso 1 al 5° e presenta il passero impegnato in un canto solitario mentre spicca il volo dal campanile della chiesa di Sant’Agostino a Recanati, quest'ultimo indicato dalla sineddoche "torre antica"(v.1); l'armonia del canto del piccolo animale si diffonde per tutta la valle recanatese. Da qui prende vita la seconda parte, vv. 6-11, in cui viene descritto il luogo in cui si osserva il passero. L'immagine è quella di una natura rigogliosa che trasmette felicità in tutti i suoi punti e in cui gli "altri augelli" (v. 9) festeggiano l'arrivo del loro periodo migliore, identificato sia con la stagione vera e propria, sia con la loro giovinezza. A questa immagine di gioia, determinata dal ritorno della primavera, si contrappone la solitudine del passero specificata nella terza parte della strofa: vv. 12-16; è questa una solitudine volontaria che determina quindi una diversità dell'animale rispetto ai suoi simili: costui decide quindi di passare il periodo migliore della sua vita estraniandosi dal resto del mondo. Predomina il campo semantico dell'udito, come si può notare dal "D'in" al v. 1, che rappresenta un suono onomatopeico e richiama il suono della campana, dal verbo cantando al v. 3 e dai versi degli animali, riportati nel chiasmo al v. 8 (greggi belar, muggire armenti).
La seconda strofa è costruita simmetricamente alla prima ed è ad essa collegata attraverso la similitudine dei versi 17-18 che prosegue in tutta la strofa, la quale rappresenterà un'esplicitazione dei versi suddetti. Il poeta dunque stabilisce un'ulteriore analogia tra la vita solitaria del passero e la sua, esplicitando quelle che sono le massime tendenze del suo stile di vita (vv. 18-26): rifiuta ogni tipo di intrattenimento e di gioia, quasi spinto da un personale destino che lo costringe in una situazione di infelicità, cosa che lo rende differente dagli altri coetanei (indicati con l'espressione "gioventù del loco"). L'isolamento del poeta è in netto contrasto con l'ambiente che lo circonda, quello di una festa popolare, probabilmente la festa dell'annunciazione del 25 Marzo che introduce la primavera, da cui egli prende le distanze preferendo trascorrere "la sua primavera" (v. 26) in solitudine, contemplando la natura. Il tramonto descritto dal v. 41 al v. 44 attraverso il paradosso "Il sol… cadendo si dilegua", riflettendosi negli occhi del poeta riconduce la sua attenzione alla realtà. Questa immagine è allegoria del trascorrere della vita e della giovinezza, destinata a svanire e a lasciare il posto alla vecchiaia.
Il ritmo delle prime due strofe è reso veloce dalle numerose virgole ed in particolar modo nella seconda strofa dove sono presenti delle anafore (vv. 23-24, vv. 29-30).
Tra le prime due strofe si assiste ad un spostamento dello spazio, che dalla campagna focalizza l'attenzione sul paese, ma anche del tempo, perché al pomeriggio della prima strofa subentra il tramonto nella seconda.
Se le prime due strofe possono essere accomunate in quanto entrambe di stampo descrittivo, la terza va considerata come un blocco unico, poiché scompaiono lo scenario recanatese e il presente, lasciando spazio ad una riflessione sul futuro del poeta e del suo alter ego, cioè il passero, condotta attraverso delle interrogative retoriche nei versi 56 e 57.
Pertanto nella terza strofa la similitudine precedente si rivela in realtà illusoria: se il passero vive la sua condizione di solitudine perché spinto dal suo naturale istinto non vivrà la sua vecchiaia con il rimpianto di aver perduto i momenti migliori della sua giovinezza. Al contrario il poeta che avrà sprecato la sua età migliore, sarà costretto ad un'esistenza inutile e soffocante a causa dei rimorsi per il resto dei suoi giorni.
IL PASSERO SOLITARIO: STILE
Dal punto di vista stilistico, si noti come tutto il canto è giocato sulle contrapposizioni, suggerite dall'uso di verbi dinamici per la descrizione della natura e della primavera (brilla, esulta, intenerisce vv. 6-8), e di verbi spenti se riferiti allo stile di vita del poeta (indugio, fere, cadendo, dilegua, vien meno, vv. 39-44). L'uso del tempo presente per descrivere il futuro, nell'ultima strofa, può essere interpretato come un desiderio del poeta di evitare la vecchiaia per giungere immediatamente alla morte, così da poter risparmiare quel senso di angoscia e di disperazione che lo invade poiché, scoprendosi solo, sente tutta la tristezza del suo vivere chiuso in se stesso.