Il lampo: testo e analisi del componimento di Giovanni Pascoli

Il lampo di Giovanni Pascoli: testo e analisi del componimento presente all'interno della sezione Tristezze di Myricae sul tema dei fenomeni naturali che il poeta osserva con inquietudine e meraviglia allo stesso tempo.
Il lampo: testo e analisi del componimento di Giovanni Pascoli
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1Il lampo di Giovanni Pascoli: introduzione alla poesia

Il poeta Giovanni Pascoli
Il poeta Giovanni Pascoli — Fonte: getty-images

Questa ballata compare per la prima volta nella terza edizione di Myricae (1894), nella sezione Tristezze (IX).  

È un’immagine folgorante che dà avvio ad una similitudine tragica: un lampo squarcia la notte e mostra la terra sconvolta e il cielo pronto a liquefarsi in un temporale.  

Per un attimo appare anche una casa, un simbolo di riparo, di sicurezza, che però viene escluso dal buio finale. È una similitudine, perché il lampo non è solo quello del temporale imminente, ma lo sparo che ha ucciso il padre di Pascoli.  

Nell’atmosfera di sospensione generale dopo quello sparo, mentre il corpo cade con evocato dall’espressione «tacito tumulto», nell’istante in cui si dice che la vita scorra davanti agli occhi di chi sta per morire, quella casa appare e scompare in un lampo – che è anche un sinonimo per dire “istante”.  

Infatti, scrisse lo stesso Pascoli come introduzione a Myricae del 1894:

«I pensieri che tu, o padre mio benedetto, facesti in quel momento, in quel batter d’ala – Il momento fu rapido... ma i pensieri non furono brevi e pochi. Quale intensità di passione! Come un lampo in una notte buia buia: dura un attimo e ti rivela tutto un cielo pezzato, lastricato, squarciato, affannato, tragico; una terra irta piena d’alberi neri che si inchinano e si svincolano, e case e croci!». 

2Il Lampo: testo

E cielo e terra si mostrò qual era:

la terra ansante, livida, in sussulto;
il cielo ingombro, tragico, disfatto
:

bianca bianca nel tacito tumulto
una casa apparì sparì d’un tratto;

come un occhio, che, largo, esterrefatto,

s’aprì si chiuse, nella notte nera.

3Il Lampo: metro

Ballata piccola di sei endecasillabi, più un verso iniziale detto “ripresa”. Schema delle rime: A BCBCCA.

4Parafrasi de Il lampo

E il cielo e la terra si rivelarono: la terra in preda all’affanno, nera, scossa dagli elementi. Il cielo ingombro di nubi, tragico, disfatto. Nel subbuglio silenzioso una casa bianca, bianca, apparì e sparì in un istante, simile a un occhio, sbarrato, atterrito, che si aprì e si chiuse nel nero della notte.

5Analisi del testo: significato de Il lampo

Lo studio di Giovanni Pascoli a Castelvecchio, Toscana
Lo studio di Giovanni Pascoli a Castelvecchio, Toscana — Fonte: getty-images

Il lampo è una delle poesie più intense di Pascoli, sempre dedicata al perenne tema della morte e in particolare della morte del padre. Tuttavia sembra abbracciare un significato più universale.

Lo scenario inquietante e tragico è ottenuto da Pascoli con la tecnica impressionistica che consiste nella giustapposizione di diversi elementi visivi, che danno mobilità alla scena.

La luce del lampo può rappresentare un’improvvisa presa di coscienza del dolore e dell’insensatezza della vita.

È quindi forte l’antitesi tra il mondo sconvolto e la casa, «bianca bianca» che appare improvvisa, come unico porto sicuro. Essa è il nido, il mondo degli affetti familiari, tema biografico della poesia pascoliana

La similitudine conclusiva dell’occhio «largo, esterrefatto» che si spalanca in quella luce, e si chiude nel nero, è un’immagine angosciante, come se il buio della notte perpetua – l’incoscienza – fosse di gran lunga preferibile alla realtà disfatta delle cose. 

Questa è una delle possibili interpretazioni, perché in verità l’obiettivo iniziale di Pascoli, come abbiamo detto nell’introduzione, era quello di descrivere gli ultimi istanti di vita del padre: in questo modo la poesia ci appare come un lunga analogia dove il lampo è la fucilata che colpisce il padre di Pascoli, il cui occhio si apre spalancato agli ultimi istanti di vita per poi chiudersi nel nero della morte.

La casa è il nido che sarà per sempre abbandonato. Il padre è infatti la rondine che non fa ritorno, secondo l’analogia presente nella famosa poesia X agosto. La prefazione a questa versione di Myricae – prefazione non pubblicata da Pascoli – lascia pochi dubbi in proposito: il simbolo cercato da Pascoli è questo.

Tuttavia, come spesso accade nelle poesie simboliste, e più in generale nelle poesie di questo autore, il simbolo supera se stesso e si presta a più interpretazioni. Infatti mancano riferimenti specifici alla figura del padre che viene ridotto in un unico particolare: l’occhio. La prospettiva può quindi essere considerata più ampia.

Gli aspetti formali del brano sono molto interessanti, a cominciare dall’incipit tipico di Pascoli con la congiunzione coordinante «e», che si lega a qualcosa che preesiste ciò che si può dire. Come se, insomma, la poesia fosse sempre legata all’indicibile.

Inoltre «cielo» e «terra» vorrebbero il verbo al plurale, ma Pascoli utilizza il singolare «era» per rendere la natura un unico elemento, quasi un essere vivente che si lascia attraversare dal dolore.

Seguono poi due climax bellissime e angoscianti, poste in parallelo. Una per la terra «ansante, livida, in sussulto»; una per il cielo «ingombro, tragico, disfatto».

La sofferenza attraversa ogni elemento, tranne una casa che appare lontana «bianca bianca», nel silenzio della luce, «nel tacito tumulto», il cui ritmo ricorda il rumore di un corpo morto che cade. È l’attimo di silenzio e di sospensione prima del tuono. 

Il ritmo è concitato e spezzato, seguendo un andamento piuttosto paratattico, quasi senza punteggiatura, dando rapidità alla successione degli eventi e delle sensazioni che avvengono quasi simultaneamente.

Le virgole tornano nel finale in un contrasto tra l’alternanza del rallentamento e l’incalzare degli eventi – gli ultimi prima di concludere nella notte nera della morte. 

6Temi: l’impossibilità della redenzione dopo la morte e il mistero della vita

Museo Casa Pascoli a San Mauro Pascoli, Emilia-Romagna
Museo Casa Pascoli a San Mauro Pascoli, Emilia-Romagna — Fonte: getty-images

In una missiva al cappellano militare Giovanni Semeria, Pascoli confida:

«Io penso molto all’oscuro problema che resta… oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano della nostra sorella grande Morte! Oh! Sarebbe pur dolce cosa il credere che di là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte, la cristiana, sono per così dire, tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno scosse».

La ricerca della fede in Pascoli è ormai impossibile, visto che il positivismo a partire da Galileo e Copernico ha scosso le fondamenta stesse del sentimento religioso. In questa poesia è ben visibile la disperazione del finire nella «notte nera» della morte, senza potersi ribellare. Il «pianto di morte» pervade ogni cosa: resta però la sensazione che il positivismo non abbia potuto davvero scalfire il grande mistero della realtà.

Il mistero resta in qualche modo salvo e il poeta veggente può scorgerlo. Per questo la morte del padre diventa un tema ossessivo che solo la poesia può riscattare ed eternare, rinnovando il mistero stesso della creazione poetica, che abita nel mistero stesso della realtà. Perché la poesia esiste di per sé, colma di significato e di bellezza, e la scienza non sa spiegarla.

La scienza con le sue illusioni ha fallito. Anche un temporale può essere carico di intimi significati di per sé inenarrabili o inaccessibili al pensiero positivo.

Pascoli decreta così la superiorità delle realtà negative (non dimostrabili) rispetto a quelle positive (dimostrabili).

Nello scritto “L’era nuova” del 1899 Pascoli accusa la scienza di aver fallito perché non è riuscita a liberare l’uomo dall’infelicità e soprattutto a sconfiggere la morte

«La scienza ha fallito! La morte doveva cancellare. Il morire doveva essere tolto dalla scienza, ed ella non l’ha tolto. A morte dunque la scienza. Noi torniamo alla fede che (è verità, è solo illusione? Ma illusione, a ogni modo, che ci vale per verità) che non solo ha abolito la morte, ma nella morte ha collocato la vita e la felicità indistruttibile! Non solo essa non ha fatto nulla di bene novello al genere umano, ma ha tentato di togliergli il bene che già possedeva… Oh! tu sei fallita, o scienza: ed è bene: ma sii maledetta, che hai rischiato di far fallire anche l’altra! La felicità tu non l’hai data, e non la potevi dare: ebbene, se non distrutto, hai attenuata, oscurata, amareggiata quella che ci ha data la fede». 

Non resterebbe altro allora che la stessa poesia come segno di divino e di umano e di concilio perenne tra gli uomini:

«… io vorrei trasfondere in voi, nel modo rapido che si conviene alla poesia, qualche sentimento e pensiero mio non cattivo. [...] Vorrei che pensaste con me che il mistero, nella vita, è grande, e che il meglio che ci sia da fare, è quello di stare stretti più che si possa agli altri, cui il medesimo mistero affanna e spaura. E vorrei invitarvi alla campagna» (Dalla Prefazione ai Primi poemetti, 1897).

7Il lampo di Pascoli: una ballata senza ballo

Il genere letterario a cui appartiene il componimento è la ballata. La ballata italiana antica ha un’origine popolare e, come suggerisce il suo nome, si collega al canto e alla danza: per questo si chiama anche “canzone a ballo”.

Risulta pertanto metricamente costruita in modo che le sue parti corrispondano ai movimenti di questa e ai motivi di quello.  

Lo schema tipico della ballata è costituito di versi o tutti endecasillabi o endecasillabi misti con settenari. I primi quattro versi sono il ritornello o ripresa e a cui corrisponde la prima frase musicale.  

Le stanze sono generalmente 4; ma può esservene anche una sola (proprio come nel caso di questa ballata pascoliana).  

Parlando della ballata medievale-rinascimentale, sappiamo che le danzatrici formavano un cerchio e aprivano il ballo cantando in coro il ritornello, compiendo un giro intero; poi la solista cantava la prima stanza e tutte compivano mezzo giro in un senso (1° piede) e mezzo giro nell’altro (2° piede) e infine un terzo giro intero (volta).

Dopo, il coro intonava di nuovo il ritornello, la solista la seconda stanza e così via per tutte le altre

Ritratto di Giovanni Pascoli
Ritratto di Giovanni Pascoli — Fonte: getty-images

Questo componimento, prediletto dai poeti nei primi tre secoli della letteratura italiana, trascurato dopo il 15° sec., fu ripreso nel 19° come gusto intellettuale. Infatti bisogna ricordare il grande sperimentalismo di Pascoli.

Qui però non sceglie un metro antico, come una strofa saffica o alcaica, ma una ballata, un genere popolare dal metro classico (endecasillabo). 

È un ballo senza ballo, naturalmente. O forse la natura è qui intenta in una danza terribile in cui figurano la vita e la morte. Forse… davvero sembrerebbe che nel finale si chiude il cerchio intorno al protagonista della vicenda.

Il ritornello sarebbe «E ciel e terra si mostrò qual era», qui ripetuto certamente non da un coro festante di fanciulli, ma quasi dal coro di una tragedia greca, mentre il protagonista soccombe.