Il Giovin Signore inizia la sua giornata: parafrasi dei versi 1-100 de Il giorno di Parini
Il Giovin Signore inizia la sua giornata: parafrasi dal verso 1 al verso 100 del poemetto incompiuto Il giorno di Giuseppe Parini.
IL GIOVIN SIGNORE INIZIA LA SUA GIORNATA: PARAFRASI DEI VERSI 1-100
Il giorno di Giuseppe Parini: parafrasi dei versi 1-100 - Il Giovin Signore inizia la sua giornata. Giovane Signore, sia che a te il sangue purissimo, divino discende da una lunga serie di nobili antenati, sia che il titolo nobiliare sia stato acquistato e le ricchezze messe insieme in pochi lustri dal padre parsimonioso con l’agricoltura o il commercio correggano la mancanza di nobiltà di sangue, ascoltami, ti insegnerò le amabili usanza della moda.
Come ingannare il tempo in questi noiosi e lenti giorni che sono accompagnati da una noia e da un fastidio insopportabile, ora ti insegnerò.
Quali al Mattino, quali dopo mezzogiorno, quali la Sera saranno le tue occupazioni se tra i tuoi ozii rimane tempo per l’ozio pur di ascoltarmi e prestarmi attenzione.
Già hai visitato in Francia e in Inghilterra le case di piacere e le case di gioco e porti impressi i segni della tua dissolutezza: ora è tempo di riposarsi. Vanamente la vita militare a sé ti chiama; è ben pazzo colui che acquista l’onore rischiando la vita, e tu naturalmente odi il sangue, la violenza.
Né ti sono meno odiosi gli studi, che ti arrecano tristezza: i pianti risonanti dei fanciulli nelle scuole ti resero avverso agli studi, dove le arti più nobili e le scienze, trasformate in mostri e in vani e orribili fantasmi, fanno echeggiare sempre le ampie aule delle strida degli scolari.
Ora per la prima volta senti quali piacevoli occupazioni il Mattino ti debba portare a fare.
Inizia il Mattino col sorgere dell’Alba davanti al grande Sole che appare nel lontano orizzonte per dare piacere agli animali, alle piante e ai campi.
Allora il buon contadino si alza dal caro letto in cui la sposa fedele e i suoi piccoli figli avevano riscaldato la notte; poi con sul collo gli attrezzi agricoli, che furono inventati da Cerere, dea dell’agricoltura, e da Pale, dea della pastorizia, va col lento bue davanti al campo, e scuote i rami curvi del piccolo sentiero e le gocce di rugiada, che come gemme, riflettono i raggi nascenti del sole.
Allora si alza il fabbro, e l’officina risonante dei colpi di martello sull’incudine riapre, e ritorna sui lavori non terminati il giorno precedente, sia che costruisca una chiave difficile da contraffare o congegni di ferro per rendere sicure le casseforti al ricco che ha sempre paura di venire derubato o se vuoi incidere i gioielli e i vasi d’ornamento di oro e d’argento alle nuove spose o a mense.
Ma che? Tu inorridisci e mostri i capelli irti come gli aculei di un istrice a sentir le mie parole? Ah non è questo, Signore, il tuo Mattino. Tu col sole che tramonta non sedesti alla scarsa mensa, e alla luce dell’incerto crepuscolo non andasti ieri a coricarti su uno scomodo giaciglio, come condannato a fare l’umile comune.
A voi, figli degli dei celesti, a voi, consesso di semidei viventi sulla Terra, altro vi concesse il buon Giove: e con altre arti e altre leggi per una strada diversa da quella dei comuni mortali a me conviene guidarvi.
Tu tra le veglie e il teatro dell’opera e il gioco che suscita forti emozioni protraesti la notte ben oltre l’ora in cui il contadino si corica; e infine stanco della carrozza dorata, con le ruote rese calde dall’attrito col terreno e il calpestio di veloci cavalli, agitasti per un largo tratto intorno la calma aria notturna, e le tenebre con le fiaccole levate in alto, come quando Plutone fece rimbombare il terreno della Sicilia dall’uno all’altro mare col carro, preceduto dalle fiaccole delle Furie, che avevano serpi al posto dei capelli.