Il fascismo al potere: riassunto
Riassunto sul fascismo al potere: gli eventi principali, i protagonisti e le interpretazioni del movimento politico fondato da Benito Mussolini
Indice
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Fascismo al potere: riassunto
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Lo squadrismo: fascismo agrario, violenza e squadrismo impunito
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I liberali guardano a destra
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Le elezioni del 1921
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Violenza e legalità: la nascita del Partito Fascista
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Le scissioni socialiste e la disfatta del socialismo italiano
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La marcia su Roma e il primo governo Mussolini
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La transizione verso la dittatura e le nuove istituzioni fasciste
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La legge elettorale maggioritaria del 1923
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La vittoria del “Listone”
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Dal delitto Matteotti al discorso del 3 gennaio 1925
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Come è stato interpretato il Fascismo?
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Ascolta il Podcast sullo squadrismo e la Marcia su Roma
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Approfondimenti sul Fascismo
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Un aiuto extra per il tuo studio
Fascismo al potere: riassunto
La nascita del fascismo va inserita nel teso clima del dopoguerra.
Il fascismo nasce come movimento nel marzo del 1919 con i Fasci di combattimento fondati da Mussolini in piazza San Sepolcro a Milano.
Mussolini era stato espulso dal partito socialista nel 1914 per la sua posizione interventista; si era poi avvicinato al nazionalismo. Alla fondazione dei Fasci troviamo ex socialisti, repubblicani, sindacalisti rivoluzionari, futuristi.
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Per conoscere e ricordare i concetti, gli eventi e i principali avvenimenti della storia dalle origini a oggi.
I Fasci nacquero come “antipartito”, con un programma (programma di San Sepolcro) sostanzialmente di sinistra, repubblicano, anticlericale, apparentemente ultrademocratico:
- diritto di voto alle donne;
- abolizione elezione regia del senato;
- giornata lavorativa di otto ore.
Tutti gli aderenti ai Fasci portavano avanti il mito della forza e violenza rigeneratrice per migliorare l’Italia. La prima azione pubblica dei Fasci fu l’incendio della sede milanese dell’Avanti! nell’aprile del 1919.
Lo squadrismo: fascismo agrario, violenza e squadrismo impunito
Alle elezioni del 1919 i fascisti si presentarono come partito ma non ottennero nessun seggio. Il movimento fascista era dunque considerato marginale nella vita politica del paese.
Nel 1920 decisero così di abbandonare il “sinistrismo” iniziale, convertendosi a destra e ponendosi a favore dei grandi imprenditori, fu così che ottennero notevole appoggio dalla borghesia.
Fu verso l’autunno del 1920 che cominciarono le spedizioni delle squadre d’azione fasciste contro esponenti e sedi del movimento socialista, con l’uso sistematico della violenza.
Questo passaggio decisivo non avvenne nelle città, ma nelle campagne. Furono i proprietari terrieri, gli agrari (con il Partito degli agrari), a utilizzare “le camicie nere” (squadre d’azione fasciste) per stroncare il movimento contadino “rosso” finanziandole, appoggiandole politicamente e dirigendone di persone le azioni.
Le squadre fasciste erano composte soprattutto da giovani esponenti della grande proprietà terriera (piccolo-borghesi) che distruggevano case del popolo, circoli, cooperative ecc. prelevavano dalle loro case i militanti sindacali e politici, uccidendoli o bastonandoli.
Le violenze avevano una doppia faccia, facendo uso dell’olio di Ricino (una purga). I rappresentanti delle squadre d’azione fasciste prendevano gli esponenti oppositori, li portavano nelle campagne bendati e gli facevano bere anche un litro di olio di Ricino.
Così facendo toglievano la dignità all'uomo; non era solo una violenza fisica, ma soprattutto psicologica. Tali violenze avevano soprattutto un forte contenuto simbolico: miravano a intimidire e svergognare l’avversario politico.
Allo stesso tempo tale violenza mirava ad attrarre, a fare nuovi proseliti. Facevano parte delle squadre d’azione fasciste anche ex reduci e studenti che non si riconoscevano nello Stato e, non avendo partecipato alla guerra, per provare l’esaltazione della guerra si fecero trasportare dalle squadre d’azione fasciste.
Le violenze squadriste crebbero di intensità nel corso del 1921/1922. L’atteggiamento delle forze dell’ordine e della magistratura, nel reprimere queste azioni, fu esitante e spesso connivente.
La violenza squadrista trovò generalmente tolleranza e complicità di molte autorità locali: i fascisti poterono reagire senza doversi scontrare con le forze dell’ordine.
Fu quindi una violenza impunita, data la notevole indifferenza delle forza dell’ordine e dello stato.
I liberali guardano a destra
Dal novembre del 1918 (fine della guerra) al 1922 (primo governo Mussolini) si susseguirono i governi: Orlando, Nitti, Giolitti, Bonomi, Facta.
Questa instabilità politica era il sinonimo di una grave crisi di una vecchia classe dirigente liberale, che non aveva più maggioranza in governo.
Le elezioni del 1919 avevo rappresentato una grande svolta perché il partito socialista e il partito popolare sommati insieme detenevano la maggioranza alla camera ma era impensabile un accordo tra liberali e socialisti.
Nella classe dirigente liberale venne ipotizzata un’alleanza elettorale che comprendesse nazionalisti e fascisti.
Le elezioni del 1921
Nelle elezioni politiche del 15 maggio 1921 i fascisti si presentarono all’interno delle liste di blocco nazionale con i liberali e altri gruppi di centro. I fascisti ottennero 31 seggi. Così facendo il parlamento risultò ancora più frazionato.
Ciò rese debolissimo il nuovo governo di Bonomi, e accrebbe il peso politico dei fascisti che nel frattempo erano padroni delle piazze.
Mussolini si inserì abilmente in questa situazione, consapevole del consenso che gli veniva dagli agrari e da crescenti settori imprenditoriali.
Violenza e legalità: la nascita del Partito Fascista
Il programma di Mussolini era quello di trasformare il movimento fascista in una forza politica, tenendo sotto controllo il fascismo “intransigente” dei capi squadristi locali (i ras) contrari ad ogni evoluzione in senso legalitario della rivoluzione fascista e ad ogni moderazione della violenza.
Nel 1921 Mussolini riuscì a trasformare il vecchio movimento nel partito nazionale fascista (dei quali principi faceva parte la violenza mirata), che gli fornì uno strumento d’azione più solido, rappresentato in parlamento e ben radicato sul territorio.
La violenza doveva divenire controllata, per non far impaurire gli alleati. Il programma del partito fascista era molto lontano da quello del 1919, prevedeva:
- uno stato forte;
- limitazione del potere del parlamento;
- esaltazione della nazione e competizione tra nazioni (Amore per la patria - Nazionalismo);
- restituzione all’industria privata di servizi essenziali gestiti dallo stato (ferrovie e telefoni);
- divieto di sciopero nei servizi essenziali pubblici.
Era un programma di impronta nettamente conservatrice e nazionalista, e rassicurava borghesia agraria industriale e commerciale.
Le scissioni socialiste e la disfatta del socialismo italiano
Mussolini consolidava sempre più la posizione del fascismo all’interno del sistema politico, mescolando violenza e legalità, senza mai avere apprezzabili reazioni da parte dello stato e del partito socialista (che si indeboliva da ulteriori divisioni).
- La prima di queste si verificò al congresso di Livorno (1921) del partito socialista: un gruppo di dirigenti dell’ala sinistra del partito (i comunisti) se ne distaccò, sostenendo che il comunismo fosse un metodo idoneo a ricreare la linea nazionale, dando vita a una nuova formazione politica, il Partito comunista d’Italia e volendo aderire alla Terza Internazionale.
- Una seconda scissione si ebbe nell’ottobre 1922 tra riformisti e massimalisti. I massimalisti non appoggiavano il governo Facta, sostenevano che una rivoluzione avesse portato allo stato socialista a cui ambivano. I riformisti appoggiavano il debole governo Facta dando vita ad una nuova formazione politica: il partito socialista unitario, che ebbe come primo segretario Matteotti.
Il partito socialista risultava ormai diviso in tre tronconi, ormai una sconfitta del movimento socialista italiano.
Segno della disfatta socialista fu il così detto sciopero legalitario: uno sciopero generale proclamato in difesa delle libertà politiche e sindacali, che fallì, dando ai fascisti il pretesto per una devastante rappresaglia contro e organizzazioni operaie.
Maturavano profonde divergenze anche all’interno del partito popolare tra le diverse “anime“ del cattolicesimo politico italiano.
L’avanzata del fascismo approfondì questa frattura, poiché la destra conservatrice si orientò sempre più decisamente verso un’alleanza con Mussolini in funzione antisocialista e anticomunista.
La marcia su Roma e il primo governo Mussolini
Nel 1922 Mussolini giudicò maturi i tempi per un azione di forza. Mentre da un lato trattava con gli esponenti liberali (Giolitti e Salandra) la formazione di un nuovo governo che sostituisse Facta e che comprendesse ministri fascisti, dall’altro preparava una concentrazione di squadristi armati nella capitale.
Nell’agosto Mussolini aveva rafforzato l’apparato militare del fascismo riorganizzando le squadre in una “milizia” fascista.
La cosiddetta marcia su Roma ebbe inizio negli ultimi giorni d’ottobre con l’occupazione di edifici pubblici in varie città d’Italia e il 28 ottobre 1922 i fascisti entrarono nella capitale, senza resistenza delle forze dell’ordine o dell’esercito.
Mussolini attendeva il compiersi degli eventi da Milano. Il 28 ottobre Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare il decreto di stadio d’assedio sottopostoli da Facta, e si dimise.
Il sovrano si piegò davanti alla minaccia dei fascisti (per evitare una guerra civile) e convocò a Roma Mussolini; il 30 ottobre Mussolini ricevette da Vittorio Emanuele III l’incarico di formare un nuovo ministero.
Il primo governo Mussolini comprendeva cinque esponenti fascisti e altri ministri liberali, popolari, indipendenti filofascisti, nazionalisti.
Il 16 novembre 1922 presentò il suo governo al Parlamento con un discorso rimasto famoso come “Discorso del Bivacco”. Al voto, 306 furono favorevoli, 116 contrari.
La marcia di Roma e la formazione del primo governo Mussolini segnano il crollo delle istituzioni liberali e democratiche: per la prima volta un uomo politico si era fatto assegnare il mandato governativo con la minaccia delle armi.
Il re aveva consegnato lo stato a Mussolini. I partiti non fascisti, votando a favore, avevano accettato la fine dello stato liberale. Nel giro di pochi anni il fascismo avrebbe cancellato ogni forma di legalità democratica e di libertà politica e sindacale.
Mussolini sarà considerato un grande uomo politico, all’interno dell’Italia perché provò a risolvere i problemi italiani, all’esterno perché rappresentava la figura sicura per contrastare il movimento socialista.
La transizione verso la dittatura e le nuove istituzioni fasciste
Il periodo dall’ottobre 1922 al gennaio 1925 è considerata una fase di transizione verso il vero e proprio regime fascista. Il fascismo veniva visto da molti come nient’altro che una forza conservatrice capace di opporsi con successo al pericolo di un’affermazione socialista, in realtà il fascismo era una forma politica tendenzialmente totalitaria, diversa dai regimi autoritari tradizionali.
Nessuno aveva capito che il fascismo stava diventando una forma totalitaria: lo Stato si occupa di ogni aspetto della vita dell’individuo.
Aspetto fondamentale del totalitarismo è la figura del capo che deve essere così carismatico da coinvolgere le masse affinché lo adorassero, quasi come un semidio, sia nel fisico (fondamentale il culto del corpo) che nelle azioni.
Il capo doveva essere l’esempio per il maschio italiano. Uno stato totalitario per essere tale ha bisogno di una notevole polizia, soprattutto segreta (OVRA), per eliminare qualsiasi opposizione all’interno dello stato. Il totalitarismo italiano era comunque meno radicato rispetto a quello tedesco.
Furono costituiti:
- il Gran consiglio del fascismo (1922): un organo che comprendeva i massimi esponenti del partito e i membri fascisti del governo, esercitava forte influenza sul governo, sarà l’unico organo che potrà consigliare Mussolini nelle proprie scelte.
- La Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (1923): una sorta di esercito agli ordini del capo del governo, con inquadramento simile alle squadre d’azione fasciste.
- La Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali, riuniva i sindacati fascisti e sarebbe divenuto l’unico sindacato ad operare nel paese.
La legge elettorale maggioritaria del 1923
La stabilità del governo Mussolini era minacciata dalle opposizioni socialiste, comuniste, popolari e liberaldemocratiche che avrebbero potuto teoricamente mettere in crisi il governo in qualsiasi momento. Nei popolari si giunse al conflitto aperto tra:
- componente sturziana: giudicava il fascismo incompatibile con gli ideali del cattolicesimo popolare;
- componente clerico-moderata, che sosteneva Mussolini.
Mussolini riuscì a guadagnare consensi tra le fasce più conservatrici del mondo cattolico e presso gli ambienti vaticani, anche grazie ad alcuni provvedimenti contenuti nella legge di riforma scolastica del 1923 a firma del ministro Gentile. Tale riforma prevedeva:
- l’obbligo nelle scuole pubbliche della religione cattolica;
- vennero parificate scuole pubbliche e scuole private attraverso l’istituzione dell’esame di Stato con commissione esterna;
- divisione sostanziale tra liceo classico e tutte le altre scuole: Il liceo classico fino al 1969/1970 dava accesso a tutte le facoltà universitarie;
- è comunque importante dire che la scuola influenzerà molto a favore del fascismo affinché fin da piccoli i bambini crescessero con l’idea che il fascismo fosse l’unico stato possibile.
L’ascesa al soglio pontificio del nuovo papa Pio XI e la violenta campagna della stampa fascista indussero don Sturzo a dimettersi da segretario del partito popolare.
Nel 1923 fu approvata una nuova legge elettorale maggioritaria (con premio di maggioranza) con nome “legge Acerbo”: alla lista che avesse ottenuto la maggioranza dei voti (superiore al 25%) sarebbero stati assegnati i due terzi dei seggi.
La vittoria del “Listone”
Il partito fascista si presentò alle elezioni all’interno di una lista nazionale (Listone), composta da 356 candidati di cui fascisti, nazionalisti, liberali, cattolici (clericomoderati).
Il Listone ottenne alle elezioni del 1924 grande successo, con il 65% dei voti. Brogli e intimidazioni di ogni tipo, operati dai fascisti, accompagnarono le votazioni.
Dal delitto Matteotti al discorso del 3 gennaio 1925
Il 10 giugno 1924 Matteotti, che con un forte discorso alla nuova camera aveva denunciato i brogli e le violenze elettorali, fu rapito e ucciso da una squadra fascista (sembra che Matteotti stava per denunciare anche la corruzione che coinvolgeva alcuni parlamentari).
Il ritrovamento del corpo di Matteotti scosse profondamente l’opinione pubblica, aprendo una grave crisi politica, per la prima volta il potere di Mussolini sembrò vacillare.
Le opposizioni parlamentari decisero per protesta di non partecipare ai lavori parlamentari, non riconoscendosi nel nuovo parlamento dominato dai fascisti (fu la cosiddetta secessione dell’Aventino) fu questa una scelta di alto significato morale ma debole politicamente anche perché il re Vittorio Emanuele III non destituì Mussolini il quale poté gradualmente riprendere in pugno la situazione.
L’epilogo fu il famoso discorso in Parlamento del 3 Gennaio 1925, con cui egli si assunse la responsabilità politica del delitto Matteotti.
Come è stato interpretato il Fascismo?
Fenomeno di reazione:
- Croce, definì il fascismo una parentesi all’interno del percorso di sviluppo dell’Italia liberale e una malattia morale, un momentaneo offuscamento provocato dalla prima guerra mondiale. Vide il fascismo come una reazione al socialismo, alla paura di una rivoluzione proletaria, e la diffusa convinzione che lo Stato italiano non fosse adatto a guidare l’Italia. Nonostante il suo pensiero fosse in contrasto con il fascismo non fu perseguitato per la paura di inimicarsi le masse popolari tra le quali Croce era molto seguito.
- Gobetti, sostiene che la classe liberale, non essendo in grado di risolvere i problemi italiani, ne di capire l’importanza delle masse nella scena politica, ha provocato lo scatenarsi del fascismo. Gobetti sarà ucciso dalle squadre di azione fasciste per bastonature.
- Impostazione marxista, sostiene che la classe borghese abbia appoggiato il fascismo solo per un ipotetico conflitto tra borghesia e classe operaia.
Rivoluzione:
- De Felice, non critica il fascismo. Sostiene che il fascismo sia nato dai ceti medi borghesi riprendendo quegli ideali portati avanti nella prima guerra mondiale. Divide il fascismo in: fascismo movimento e fascismo regime. Sostiene che non sia un movimento nato come reazione ma come rivoluzione per cambiare gli ideali del tempo. Questo discorso è in linea con il pensiero di Mussolini che voleva creare un nuovo tipo di italiano. Senza borghesia il fascismo non avrebbe vinto.
- Ragionieri, crede che il risorgimento sia stata una rivoluzione fallita, e vede il fascismo come un capitalismo immaturo.
- Canderolo, sostiene che il fascismo sia servito a mantenere in lotta quella società uscita fuori dalla guerra, rafforzato dalla irreggimentazione delle masse (organizzando la massa come un reggimento sottoposto a disciplina) e dalla repressione poliziesca.
- Quazza, sostiene che senza l’appoggio della grande borghesia agraria, la monarchia, le alte cariche dello stato, la magistratura e l’esercito (con quali si era accordato più o meno esplicitamente), il fascismo non avrebbe vinto. Il Regime Fascista non cambia dal movimento fascista, fanno parte della politica sempre i soliti nomi, e le solite liste.
- Gentile, vede il fascismo come un movimento di massa basato su una visione mistica della politica (vista come sacra), su una concezione di violenza rigeneratrice. Secondo Gentile il fascismo è espressione delle svariate forme di irrazionalismo presenti nella cultura del primo novecento.
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