Il comunismo cinese di Mao: riassunto

Il comunismo cinese di Mao: riassunto sulle cause e le conseguenze del comunismo in Cina di Mao Zedong

Il comunismo cinese di Mao: riassunto
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COMUNISMO CINESE DI MAO

Comunismo cinese di Mao
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All’inizio del Novecento, il Celeste Impero, con capitale Pechino, comincia a vacillare, a causa della penetrazione delle potenze occidentali (“guerra delle concessioni economiche”, per cui c’era già stata la rivolta dei boxer, società segreta reazionaria anti-occidentale, nel 1900, primo episodio nazionalista in Cina) e del Giappone (guerra cino-giapponese nel 1895, con pace di Simo-Nosaki). Una carestia provoca il malcontento popolare e la conseguente diffusione di idee antimperialiste e anticolonialiste, che si condensano nella Lega unitaria dei rivoluzionari cinesi prima e nel Partito nazionale del popolo (Kuomintang) poi, capeggiati entrambi da Sun Yat Sen. Nel 1911 la dinastia Manchu viene destituita ed è proclamata la repubblica, di cui Sun Yat Sen ne diviene presidente. Il suo progetto politico s’identifica con i tre principi del popolo:

  • indipendenza nazionale e eliminazione delle concessioni straniere;
  • democrazia rappresentativa
  • superamento delle strutture feudali.

L’ostilità dell’esercito e della nobiltà rurale costringe Sun Yat Sen a dimettersi e a lasciare il posto di presidente a Yuan Shih-k’ai, che instaura una dittatura militare favorevole agli occidentali. Egli, nel 1917 decide l’entrata in guerra della Cina a fianco dell’Intesa ma, al tavolo dei vincitori, non saranno presi in considerazione i suoi interessi, di minore importanza rispetto a quelli del Giappone. La cosa suscita lo sdegno dei nazionalisti, appoggiati dalla Russia. Le numerose concessioni fatte agli stranieri e il tentativo di un’eccessiva centralizzazione del potere provocano la caduta di Yuan Shih-k’ai, determinata anche dall’opposizione dei “signori della guerra”, governatori militari contrari ad ogni riforma democratica, che detengono il potere nell’intera Cina settentrionale; le regioni centro-meridionali, legate a Sun Yat Sen, otterranno aiuti dalla Russia per combattere i “signori della guerra”. Così nel 1921 ci sono due governi:

  • governo legale di Pechino, filoborghese;
  • governo nazional-progressista al Nord.

MAO TSE TUNG

Nel 1921, studenti ed intellettuali fondano il Partito comunista cinese, e nel 1923, gli agenti sovietici riorganizzano il Kuomintang sul modello del Partito bolscevico russo e formano un esercito nazionalista rivoluzionario al comando di Chiang Kai-Shek. Nel 1927, accusati di voler instaurare la dittatura, i comunisti di Pechino e Canton vengono sterminati. Nel 1928, l’esercito nazionalista sconfigge i “signori della guerra”, occupa Pechino e Chiang Kai-Shek diviene capo del nuovo governo; con i prestiti ottenuti dall’Inghilterra e dagli Usa, si appresta a modernizzare il Paese verso un modello capitalistico. I comunisti sfuggiti alla persecuzione fuggono nelle zone rurali sotto il comando di Mao Tse-Tung, che ritiene che, essendo la Cina un paese agricolo, la rivoluzione debba coinvolgere le masse contadine, che formano già l’Armata rossa. Nel 1931, nella provincia di Kiangsi il gruppo si coagula nella Repubblica sovietica cinese. Chiang Kai-Shek proverà inutilmente a sconfiggere l’Armata rossa, riuscendoci solo nel 1934; di conseguenza, in quell’anno, i comunisti intraprendono la “lunga marcia” per spostarsi nella regione montagnosa dello Shaanxi settentrionale, nella città di Yenan.

Comunisti e nazionalisti uniranno le forze solo in occasione della minaccia giapponese tra il 1937 e il 1945; dopo la seconda guerra mondiale, però, le diverse idee di Mao e di Chiang portano ad una frattura che porterà alla guerra civile (1945-1949):

  • Mao: occorre una costituzione di modello sovietico;
  • Chiang: interessi occidentali e dei latifondisti, vuole un sistema parlamentare democratico-liberale.

L’Armata rossa, forte anche del potenziale bellico dei giapponesi e dell’appoggio dei contadini, entra infine a Nanchino, facendo fuggire Chiang, riconosciuto dalle potenze occidentali come il capo del popolo cinese, a Taiwan; il 1° ottobre 1949, Mao proclama la nascita della Repubblica popolare cinese.

Politica estera:

  • nel 1950 l’esercito cinese invade il Tibet e ne fa una regione autonoma, instaurando un clima di terrore che porta il Dalai Lama a fuggire in India;
  • Mao firma un trattato di assistenza economica con Mosca;
  • la Cina partecipa alla guerra di Corea, interviene in Vietnam e in Cambogia;
  • 1958: rottura dei rapporti con l’Urss; si arriverà, nel 1969, allo scontro armato sul fiume Ussuri e nel Sikiang;
  • 1964: la Cina ha la bomba atomica;
  • rapporti più distesi con gli Usa di Nixon, liberalizzazione degli scambi commerciali;
  • 1971: la Cina entra nell’Onu, perché gli Usa hanno tolto il veto.

Politica interna: il processo di modernizzazione attraverso:

  • riforma agraria: confisca delle terre dei grandi proprietari e dei religiosi a favore del popolo;
  • riunisce i piccoli fondi in cooperative agricole (tipo kolchoz);
  • fine della proprietà privata;
  • nazionalizzazione di tutte le industrie;
  • 1953: primo piano quinquennale: controllo della moneta e delle banche, schedatura di tutti gli individui, le unità di lavoro (danwei) regolano tutto;
  • 1958: secondo piano quinquennale e rottura con l’Urss: il malcontento dei contadini convince Mao a puntare sullo sviluppo agricolo, con la politica del “grande balzo in avanti”, creando le comuni popolari, forme di democrazia diretta, senza gerarchia (mentre il comunismo sovietico è verticistico), ma fallisce; il suo intento è di creare un comunismo che sia d’esempio ai paesi del terzo mondo (vocazione terzomondialista, diversamente dall’Urss, che ha come riferimento l’Europa).

Il fallimento della politica del “grande balzo in avanti”, che causa una crisi alimentare, è provocato anche dall’intento di Mao di conciliare il benessere delle masse con lo spirito egualitario dei principi marxisti e fa ritornare in auge le differenziazioni borghesi tra lavoro manuale ed intellettuale; ciò spinge Mao a decidersi per la rivoluzione.

PARTITO COMUNISTA CINESE

Tra il 1966 e il 1968, Mao reprime tutte le opposizioni interne allo stesso Partito comunista, compresa la corrente di Deng Xiao-Ping (chruscioviano), e dà il via alla “rivoluzione culturale”, una politica basata sul superamento del divario tra città e campagna, tra operaio e dirigente, tra lavoro intellettuale e manuale e tra colto e non, ma caratterizzata anche dalla repressione violenta di ogni opposizione, eliminando la burocrazia e la meritocrazia. In questa politica si inserisca la diffusione delle sue idee, raccolte nel Libretto rosso, attraverso le “guardie rosse” studentesche e l’Armata popolare di liberazione: Mao vuole una forma estrema di democrazia, basata su rigidi principi di uguaglianza, ma il fanatismo delle “guardie rosse” corre il rischio di far scoppiare una guerra civile; ciò convince Mao a rinunciare al nuovo corso nel 1967, promuovendo la formazione di “comitati di coalizione” tra le diverse forze politiche, militari e culturali. Con Chou En-Lai al governo come primo ministro, si apre quindi un periodo di normalizzazione, in opposizione al comunismo duro e puro propagandato da Lin Piao, contrario all’apertura con il mondo occidentale.

Nel 1976, alla morte di Mao e di Chou En-Lai, Deng Xiao-Ping inaugura una nuova politica, basata su:

  • abbandono dei principi di collettivizzazione delle terre e dell’industrializzazione pianificata;
  • riforme economiche che riammettono la proprietà privata e il libero mercato;
  • politica interna: centralizzazione e stabilità;
  • economia: quattro modernizzazioni (industria, agricoltura, esercito, preparazione tecnico-scientifica);
  • politica estera: riavvicinamento agli Usa di Nixon (il simbolo è il ping-pong) e all’Urss (il simbolo è il Panda); questo, però, provoca, all’interno, un desiderio di maggiore libertà ed autonomia, che sfocerà nella “primavera di Pechino”: in occasione di una visita di Gorbačëv a Pechino, migliaia di studenti si radunano in piazza Tien An Men per sollecitare una maggiore libertà politica; le dimostrazioni vengono stroncate dall’esercito perché Deng le definisce una “rivolta reazionaria di stampo borghese”.

Tutto questo porta ad un aumento del benessere alla metà degli anni Novanta e ad una diminuzione dell’inflazione, ma anche al fallimento di molte aziende statali e allo smantellamento delle protezioni sociali, che causano un aumento del tasso di disoccupazione.

Nel 1981 viene condannata la “banda dei quattro”, seguaci di Mao, tra cui Jiang Qing, vedova di quest’ultimo, per aver tentato di perpetuare lo spirito della rivoluzione culturale

Con l’apertura della Cina al capitalismo, viene favorito anche il riassorbimento di Hong Kong (scaduto il mandato inglese) e Macao.

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