I Viceré di Federico de Roberto: riassunto

I Viceré di Federico de Roberto: riassunto, analisi, commento e contestualizzazione dell'opera verista. Spiegazione breve

I Viceré di Federico de Roberto: riassunto
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I VICERÉ

Federico de Roberto è l'autore de I Viceré
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I Viceré è un romanzo storico-drammatico di Federico De Roberto, che è stato censurato per quasi cent’anni.

Lo scrittore verista racconta la storia di un’antica famiglia catanese d’origine spagnola, gli Uzeda di Francalanza, sullo sfondo di un’Italia a cavallo tra il Risorgimento e l’unificazione.

La narrazione comincia a metà dell’Ottocento, negli ultimi anni della dominazione borbonica in Sicilia, alla vigilia della nascita dello Stato italiano.

Le esequie della principessa Teresa, amministratrice del patrimonio della casata, sono l’occasione per presentare i personaggi della famiglia Uzeda, discendenti dei Viceré di Spagna.

Il lettore è subito introdotto in un mondo di fasto e di splendore, ma anche di prepotenza e di miseria, che appare, agli occhi contemporanei, familiare ed estraneo al tempo stesso.

È questo uno dei punti di forza della storia: il mescolarsi del favoloso con il reale in un impasto di profondo fascino narrativo.

Attraverso abili resoconti e descrizioni, si svelano i misteri, gli intrighi e le complesse personalità degli appartenenti alla famiglia, tutti dominati da grandi ossessioni e passioni.

Le vicende degli Uzeda e le loro brighe, raccontati da un narratore onnisciente, rappresentano la società dell’epoca in rapido divenire, in cui “sopravvivere” significa innanzitutto essere schiavo di regole e tradizioni.

In lotta l’un con l’altro, gli uomini della casata combattono per l’eredità della principessa defunta e per i desideri contrastanti di ognuno di loro.

Il piccolo Consalvo, figlio del principe Giacomo XIV e della pricipessa Margherita, rispettivamente primogenito e nuora della defunta, cresce così in una famiglia in perpetua guerra.

È confortato nei suoi primi anni dal bene volutogli della madre e dall’affetto della sorellina Teresa, ma si trova in conflitto, sin da bambino, con un padre superstizioso e tirannico, più interessato al patrimonio di famiglia che all’amore per i propri cari.

Dal mondo che lo circonda, fatto di compromessi e viltà, dunque, Consalvo coglie una profonda lezione di vita.

È una storia travolgente, che oggi si ripropone in circostanze in apparenza diversissime, eppure sorprendetemente rassomiglianti (caratterizzazione sociale, liti in famiglia, ecc.).

Una grande lezione di pathos, un affresco a forti tinte, cui le pagine di un libro possono prestare carne e scangue, ambientazioni e costumi, volti e gesti indimenticabili.

Dal punto di vista spazio-temporale, come già accennato, il romanzo tratta gli ultimi anni di dominazione borbonica prima della nascita dello Stato italiano.

La vicenda si svolge in Sicilia, e la storia si sviluppa in tre decenni cruciali dell’Ottocento indigeno, dal 19 maggio del 1855, giorno della morte della matriarca, la principessa Teresa Uzeda di Francalanza, al 1882, dopo la svolta politica della Sinistra.

I VICERÉ: PERSONAGGI

Per quanto concerne i personaggi, i protagonisti sono essenzialmente:

  • Consalvo
  • Il principe Giacomo
  • Donna Ferdinanda
  • Donna Margherita
  • Fra’ Carmelo

Consalvo, bambino ambizioso e caparbio, in perenne lotta con il padre, incarna le caratteristiche tipiche del bambino moderno, per la sua personalità e contradditorietà.

Il principe Giacomo, personaggio di grande spessore, nonché primogenito del casato, è vittima dello strapotere della madre, e diventa, a sua volta, oppressore dei fratelli e delle sorelle. Si scontra con tutti coloro che non si piegano ai suoi desideri.

Donna Ferdinanda, sarcastica, eccentrica e bizzarra, perdona tutto al pronipote Consalvo, che è diventato quindi il suo protetto.

Donna Margherita è la moglie del principe Giacomo e una madre dolcissima per il principino e la sorellina Teresa.

Fra’ Carmelo, infine, è il fratello illegittimo di don Blasco, tant’è che gli fa da servitore devoto ed umile. È forse l’unico degli Uzeda a credere in qualcosa.

La famiglia, lo Stato e la Chiesa sono i motori attorno ai quali gira il racconto, uniti in un solo credo: la sopraffazione.

È la prevaricazione dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, e dei potenti sul popolo a guidare i personaggi, i quali, in nome di un distorto senso del dominio, calpestano e travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino.

Ciò che siamo stati e ciò che siamo, i vizi che ci affliggono, la resistenza ad ogni cambiamento e, per contro, la vocazione al conformismo, la tempestività a chinare la schiena di fronte ai vincitori: questa è la materia di cui è fatto questo libro, che si snoda impiegando i tratti del dramma e del grottesco.

I VICERÉ: COMMENTO

“I Viceré” è un quadro feroce di quello che siamo noi italiani.

Il messaggio che ci viene trasmesso è quello che, allora come oggi, sono spesso l’avidità, la sete di potere, la meschinità e gli odii privati a muovere gli uomini.

Pertanto, i temi che De Roberto affronta nel suo libro sono: le istituzioni sociali, l’invidia, l’onore, il denaro, lo Stato e la Chiesa.

Nella prima parte del libro, i luoghi, le abitudini, le parentele, l’astio, il decoro e la pecunia sono introdotti in modo impietoso.

L’insieme ed il singolo sono descritti efficacemente attraverso i momenti chiave in cui gli Uzeda si ritrovano: per esempio, le esequie della principessa e la lettura del testamento.

Sono questi gli attimi in cui il racconto riesce a convincere, grazie anche alle credibili ambientazioni che lo scrittore ci fa immaginare.

Se, con “I Viceré”, l’autore vuole tracciare un parallelo fra la società attuale e quella dell’epoca, il rischio che affronta è quello di puntare su concetti semplici e diretti, che sfiorano il didascalismo, con la coscienza di saper trasferire il messaggio quando è la famiglia a parlare, eterno manifesto di ciò che siamo.

Il libro è quindi adatto a tutti, e De Roberto vuole dirci che la storia si ripete di continuo.

È un ciclo di situazioni che si ripetono sempre nell’arco degli anni; è una monotona reiterazione, in cui gli uomini sono stati, sono e saranno sempre gli stessi.

Con questo, lo scrittore vuole rappresentare la civiltà di ieri e paragonarla ad oggi.

Non ha però una visione pessimista, ma tutt’altro: l’amara presa di coscienza è il primo passo verso il cambiamento.

Paragonando, infine, quest’opera a “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, notiamo innanzitutto che ambedue i romanzi fotografano la Sicilia e la nascita dell’Italia unita.

Cambia però la prospettiva: De Roberto vedeva l’aristocrazia malata nel sangue e nella morale, ed in essa coglieva i germi del malessere italico; il principe Tomasi di Lampedusa, invece, vedeva nella nobiltà il baluardo contro il decadimento morale e materiale dell’Italia.

Su un piano più generale, comunque, Il Gattopardo è successivo a I Viceré, per cui Tomasi potrebbe anche aver attinto all’opera di De Roberto.

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